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Accertamento induttivo: onere della prova sui costi

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un accertamento induttivo basato sulla percentuale di ricarico dell’anno precedente. Se l’amministrazione finanziaria ha già considerato presuntivamente i costi, spetta al contribuente fornire la prova di costi maggiori per ottenerne la deduzione. La mancata esibizione delle scritture contabili giustifica il ricorso a tale metodo di accertamento.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Induttivo: L’Onere della Prova sui Costi Ricade sul Contribuente

L’accertamento induttivo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Quando un contribuente omette di presentare le dichiarazioni o le scritture contabili, il Fisco può ricostruire il reddito presuntivamente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un aspetto fondamentale di questa procedura: la ripartizione dell’onere della prova relativo ai costi. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata si vedeva notificare un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2016. A fronte di una dichiarazione che indicava un reddito d’impresa e un valore della produzione ai fini IRAP pari a zero, l’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito induttivamente un reddito imponibile di oltre 326.000 euro, basandosi sulla percentuale di ricarico applicata nell’anno precedente (2015), in cui ricavi e costi erano risultati simili.

La società impugnava l’atto, sostenendo che l’accertamento fosse illegittimo in quanto non teneva conto dei costi di produzione, tassando di fatto il reddito lordo e violando il principio di capacità contributiva. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva parzialmente accolto le ragioni del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione, dando piena ragione all’operato del Fisco. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando la piena legittimità dell’avviso di accertamento. I giudici hanno chiarito che, nel contesto di un accertamento induttivo cosiddetto ‘puro’ (effettuato in assenza totale di contabilità), l’Amministrazione Finanziaria ha il dovere di ricostruire il reddito tenendo conto sia delle componenti positive (ricavi) sia di quelle negative (costi), anche in via presuntiva.

Accertamento Induttivo e Riconoscimento dei Costi

Il punto cruciale della decisione risiede nella ripartizione dell’onere probatorio. La Corte ha stabilito che, una volta che l’Ufficio ha operato una ricostruzione presuntiva che include una stima dei costi (come nel caso di specie, dove si è utilizzato il dato storico della percentuale di ricarico), spetta al contribuente dimostrare di aver sostenuto costi maggiori rispetto a quelli riconosciuti.

Il contribuente, pertanto, non può limitarsi a lamentare una generica mancata considerazione dei costi o a chiederne una deduzione forfettizzata. Deve, al contrario, fornire prove concrete e specifiche a sostegno delle proprie affermazioni. L’inerzia del contribuente nel fornire la documentazione contabile non può tradursi in un obbligo per il Fisco di riconoscere costi non provati.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione sottolineando che il metodo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate, basato sulla percentuale di ricarico dell’anno precedente, era congruente e ragionevole. Questo metodo, infatti, non si limita a presumere i ricavi, ma fonda la sua base di calcolo proprio sui costi, implicitamente riconoscendone l’esistenza e l’incidenza. Nel caso specifico, l’Amministrazione aveva quantificato i ricavi imponibili e, di conseguenza, riconosciuto costi deducibili per un importo significativo.

Dato che la ricostruzione induttiva aveva già tenuto conto dei costi in maniera presuntiva, il ricorso della società è stato ritenuto infondato. Il contribuente non ha fornito alcuna prova di aver sostenuto costi ulteriori rispetto a quelli già considerati dall’Ufficio, rendendo la sua contestazione generica e inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di accertamento tributario: in caso di accertamento induttivo ‘puro’, se il Fisco effettua una ricostruzione dei ricavi basata su un metodo presuntivo che tiene conto anche dei costi (come la percentuale di ricarico), l’onere di provare l’esistenza di costi maggiori si sposta interamente sul contribuente. La mancata presentazione delle scritture contabili legittima la ricostruzione presuntiva e impone al contribuente di superare la presunzione dell’Ufficio con prove concrete e documentate.

Quando è legittimo per il Fisco utilizzare un accertamento induttivo ‘puro’?
È legittimo in caso di presentazione di dichiarazioni fiscali nulle (per omessa indicazione del reddito d’impresa) e per la sottrazione delle scritture e dei registri contabili obbligatori, che impediscono un accertamento analitico.

In un accertamento induttivo, chi deve provare l’esistenza dei costi deducibili?
Se l’amministrazione finanziaria ha già tenuto conto dei costi in via presuntiva (ad esempio, usando una percentuale di ricarico), l’onere della prova per eventuali costi maggiori ricade interamente sul contribuente, che deve fornire prove concrete e non può limitarsi a una richiesta generica.

È valido un accertamento basato sulla percentuale di ricarico dell’anno precedente?
Sì, la Corte ha ritenuto congruente e ragionevole il riferimento al dato storico dell’anno precedente, specialmente se in tale annualità la società aveva conseguito ricavi e sostenuto costi simili a quelli dell’anno in accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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