Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8807 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8807 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23522/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende (EMAIL
-ricorrente-
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE – DIREZIONE PROVINCIALE DELL’AQUILA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’ABRUZZO n. 214/2021 depositata il 23/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ( hinc: CTR), con la sentenza n. 214/2021 depositata in data 23/03/2021, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformando la sentenza n. 337/2019, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di L’Aquila aveva accolto, parzialmente, il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale era stato accertato, per l’anno 2016, un reddito di impresa pari ad € 326.975,00, a fronte di quello dichiarato pari a € 0,00, un valore della produzione lorda ai fini IRAP pari ad € 326.975,00, a fronte di quello dichiarato pari ad € 0,00, operazioni attive imponibili ai fini IVA pari ad € 647.156,00, a fronte di un dichiarato pari ad € 226.874,00 ed operazioni passive imponibili ai fini IVA pari ad € 260.326,00, a fronte di un dichiarato pari ad € 254.334,00, con la conseguente richiesta del pagamento delle imposte dovute per IRES (€ 89.918,00), IRAP (€ 15.760,00), IVA (€ 91.145,00), oltre interessi e sanzioni (queste ultime per € 123.045,75).
In senso contrario rispetto alla statuizione del giudice di prime cure -che aveva ritenuto irragionevole e sproporzionata la percentuale di carico applicata dall’amministrazione finanziaria, rideterminandola nel 31% – la CTR ha evidenziato come, nel c aso di specie, l’Agenzia delle Entrate avesse proceduto alla ricostruzione dei ricavi per l’anno 2016 sulla base della stessa percentuale di ricarico rilevata per l’annualità
2015 (accertata con avviso di accertamento oggetto di separato ricorso). Il dato storico dell’anno precedente era stato correttamente e ragionevolmente preso a riferimento, alla luce della constatazione che la società aveva conseguito ricavi e sostenuto costi similari a quelli dell’annualità in trattazione.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
Considerato che:
1 . Con l’unico motivo di ricorso proposto la società contribuente ha censurato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 39, secondo comma, e dell’art. 32, n. 2, d.P.R. 29/09/1973, n. 600, nonché degli artt. 83 e 109 t.u.i.r.
1.1. La parte ricorrente -richiamata Corte cost. 08/06/2005, n. 225 -ha evidenziato che, nel caso di specie, l’amministrazione ha considerato i prelevamenti come acquisti nella parte IVA dell’accertamento, ma non nella parte IRES e IRAP. Evidenzia, quindi (v. pag. 3 ricorso), che: « la CTR erra nella parte in cui pretende la dimostrazione di spese che sono insite nei risultati delle stesse indagini finanziarie. Omettendo così di contrapporre ai ricavi la imprescindibile quota di costi di produzione, e così determinando un reddito lordo, lontano dalla base imponibile prevista dagli artt. 83 e 108 T.u.i.r. e oltretutto inaccettabile, come si è visto, sotto il profilo costituzionale. »
1.2. Il secondo errore in cui è incorsa la sentenza impugnata è quello di aver trascurato che l’amministrazione finanziaria avesse fatto un accertamento induttivo, fondato sulla documentazione incompleta prodotta dalla società, determinando il reddito al lordo, cioè senza considerare una quota percentuale anche dei costi. Rileva, a tal fine, che l ‘art 39 , secondo comma, d.p.r. 600 del 19 73 attenua l’onere
probatorio a carico dell’ufficio in merito alla ricostruzione dei diversi componenti positivi e negativi di reddito ma, proprio perché fa oggetto della determinazione induttiva il reddito nella sua interezza, non autorizza l’identificazione di un imponibile distorto e anzi impone che la risultante sia -come è proprio del concetto di reddito -una somma algebrica tra elementi attivi e passivi; la mancanza dei secondi rende impossibile l’esistenza dei primi.
La parte ricorrente richiama, quindi, la giurisprudenza di questa Corte e della Corte costituzionale (C. cost. n. 225 del 2005, cit. ), evidenziando che l’Agenzia delle Entrate non era legittimata a operare una ricostruzione, come quella fatta nel caso in esame, dove, sono stati individuati (ricavi induttivi per Euro 419.869,58 calcolati sui costi di Euro 201.357,40 con una percentuale di ricarico del 108%).
Passando all’esame del ricorso, occorre rilevare, in via preliminare, come nel caso di specie l’avviso di accertamento costituisca l’esito di un accertamento induttivo cd. puro ex art. 39, comma 2, lett. a) e c), d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972, in considerazione della presentazione di dichiarazioni fiscali nulle, per omessa indicazione del reddito d’impresa e degli altri elementi necessari alla determinazione dell’ammontare delle operazioni imponibili ai fini IVA, oltre che per la sottrazione delle scritture e registri obbligatori previsti ex art. 14 d.P.R. n. 600 del 1973.
2.1. Occorre, poi, rilevare come nel caso di specie non venga in rilievo un accertamento fondato su indagini bancarie ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, con la conseguenza che tale parametro normativo è inconferente e, sotto tale profilo, il motivo di ricorso è inammissibile.
Ciò premesso, questa Corte ha rilevato che « quanto all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti
ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, §2) (Cfr. Cass., V, n. 2581/2021).» (Cass., 17/04/2023, n. 10192).
Nel caso di specie, come risulta, dall’esposizione del ricorso (v. pag. 2) la contestazione della ricorrente si incentrava sul mancato riconoscimento di ulteriori costi deducibili.
Ora, trattandosi dell’accertamento svolto, in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. a) e c), d.P.R. n. 600 del 1973 la ricostruzione tanto dei componenti positivi che di quelli negativi viene svolta, in via presuntiva, non risultando indicati i dati da parte del contribuente nella dichiarazione e non essendo state messe a disposizione dell’amministrazione finanziaria neppure le scritture contabili. Di conseguenza, ai fini della coerenza con il principio di capacità contributiva è sufficiente che l’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, abbia tenuto conto (anche) dei costi unitamente ai ricavi, potendo procedere, in via presuntiva, anche all’accertamento dei primi. Una volta che risulti che l’amministrazione abbia considerato anche i costi, la prova di una misura maggiore di questi ultimi fa necessariamente capo al contribuente, che non può limitarsi a evocare la richiesta di deduzione di ulteriori costi forfettizzati (v. pag. 2 del ricorso), ma è onerato di fornire la prova contraria ai dati forniti da parte dell’amministrazione finanziaria.
3.1. Nella specie la sentenza impugnata ha ritenuto congruente il riferimento al dato storico dell’anno precedente, perché erano stati conseguiti ricavi e sostenuti costi similari a quelli dell’annualità in trattazione.
Il metodo di accertamento induttivo incentrato sulla percentuale di ricarico non presenta, quindi, di profili di criticità rispetto al principio di capacità contributiva, nella misura in cui sono proprio i costi rilevati a costituire la base di calcolo su cui si fonda l’accertamento in via presuntiva. A pag. 4 del controricorso, si legge infatti, che: « per l’anno d’imposta 2016, i verificatori hanno quantificato i ricavi imponibili in € 808.588,29, hanno riconosciuto i costi deducibili (nella determinazione del reddito d’impresa e del valore della produzione lorda ai fini IRAP) per complessivi € 481.612,63 ed hanno ammesso in detrazione l’IVA afferente le fatture passive esibite per € 24.230,45» .
Risulta, quindi, che la determinazione induttiva ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 abbia tenuto conto anche dei costi, mentre il contribuente non ha fornito la prova di maggiori costi sostenuti rispetto a quelli indicati dall’amministrazione finanziaria.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La parte ricorrente deve essere condannata a pagare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, così come liquidate nel dispositivo.
…
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/02/2025.