Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8751 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8751 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 18658/2021 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici di quest ‘ ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE , con sede in Francavilla D ‘ Ete (FM), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), in persona del legale rappresentante pro tempore , COGNOME , (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME , (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME , (Codice
n. 18658/2021 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 28 gennaio 2025
Tributi -Avviso di accertamento IVA, IRPEF e IRAP Accertamento induttivo.
Fiscale: CODICE_FISCALE, le ultime tre quali eredi del socio deceduto COGNOME NOME
-intimate – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 9/2021, pubblicata il 5 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- La vicenda trae origine da indagini finanziarie eseguite nei confronti della società semplice COGNOME Antonio RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, esercente l ‘ attività di « coltivazioni miste di cereali e altri seminativi e allevamento di ovini » e dei rispettivi soci svolte nell ‘ ambito del procedimento penale n. 3922/2006 relativo ad attività di repressione e contrasto delle frodi comunitarie F.E.O.G.A..
A seguito dell ‘ autorizzazione dell ‘ Autorità giudiziaria all ‘ utilizzo dei documenti acquisiti ai fini fiscali nel rispetto dell ‘ art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, l ‘ attività di verifica confluiva nel processo verbale di constatazione n. 16/11/2007 per il periodo d ‘ imposta 2004-2006, redatto dalla Guardia di Finanza.
Sulla base di tale p.v.c., l ‘ amministrazione finanziaria invitava la società a fornire giustificazioni delle movimentazioni (eccetto quelle già riferibili a spese personali o bancarie o giroconti, o accrediti di Agea) sui conti correnti intestati alla società ed ai singoli soci, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché a COGNOME NOME, ritenuto amministratore di fatto della società medesima, non ottenendo riscontro alcuno.
Pertanto, l ‘ amministrazione procedeva a ricostruire l ‘ imponibile relativo alle imposte dirette con modalità meramente induttiva, ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, basata sul ricorso a presunzioni cd. semplicissime e l ‘ imponibile I.V.A. sulla base dei versamenti rimasti privi di giustificazione ex art. 51, comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633 del 1972, sanzionando le violazioni commesse.
A tal fine, l ‘ amministrazione finanziaria considerava: – che dalle indagini finanziarie erano emersi, per l’anno 2004, versamenti e prelevamenti non giustificati per un totale di €. 1.501.746,00 (euro unmilionecinquecentounomilasettecentoquarantasei/00); – che la società aveva duplice oggetto, esercitando l ‘ attività di « coltivazioni miste di cereali e altri seminativi e allevamento di ovini »; – che le cessioni compiute dalla società avevano scontato l ‘ IVA con aliquota del 4%, propria dei prodotti agricoli, in misura pari al 20,26% del totale delle cessioni; – che, pertanto, l ‘ Ufficio riteneva che in tale percentuale l ‘ attività fosse ascrivibile a coltivazioni, dando luogo a reddito già accertato su base catastale ai sensi dell ‘ art. 34 TUIR, mentre per la restante parte doveva riferirsi ad attività di allevamento; – che l ‘ allevamento, ai sensi dell ‘ art. 32, comma 2, lett. b) e comma 3, TUIR, dà luogo a reddito d ‘ impresa, quando supera determinati limiti fissati da tali norme in relazione all ‘ impiego di mangimi autoprodotti; che, dunque, in assenza di collaborazione della contribuente e di altre indicazioni, l ‘ ufficio fissava equitativamente tale misura nella metà e deduceva una percentuale di costi, desunta dalla dichiarazione dei redditi della società, pari al 18,31%.
In base a siffatta ricostruzione, l ‘ amministrazione finanziaria emetteva avvisi di accertamento dei maggiori imponibili e delle maggiori imposte ai fini IRAP e IVA nei confronti della società semplice per le varie annualità, nonché i conseguenti avvisi nei confronti dei singoli soci volti ad imputare ad essi i redditi ai fini delle imposte dirette per le varie annualità.
In particolare, con l ‘ avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO nei confronti della società, oggetto del presente giudizio, veniva accertato il maggiore imponibile per le imposte dirette per un ammontare pari ad €. 489.120,00 (euro quattrocentottantanovemilacentoventi/00) e le imposte IRAP e IVA per l ‘ anno 2004.
L ‘ imponibile IVA veniva invece accertato in base alle presunzioni di cui all ‘ art. 51, comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633 del 1972 sulla base dei soli versamenti non giustificati, applicando l ‘ IVA con l ‘ aliquota propria dei
prodotti agricoli (4%) per la percentuale sopra indicata di cessioni riferite a tali prodotti, con l ‘ aliquota propria dei prodotti da allevamento (pari al 10%) per la restante percentuale, con una maggiore imposta dovuta di €. 65.432,00 (euro sessantacinquemilaquattrocentotrentadue/00). Le sanzioni IVA per mancata regolarizzazione venivano determinate con riferimento all ‘ ammontare dei prelevamenti rimasti privi di giustificazione.
La società semplice e COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi del socio deceduto COGNOME NOME, ricorrevano dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, lamentando: 1) l ‘ incompetenza territoriale della Direzione Provinciale di Fermo; 2) la violazione della l. n. 241 del 1990; 3) l ‘ omessa allegazione del p.v.c.; 4) nel merito, la rideterminazione dell ‘ Ufficio, in quanto l ‘ attività agricola poteva dar origine soltanto a reddito agrario.
La Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno, nella resistenza dell ‘ amministrazione finanziaria, con sentenza n. 7/2/2013, accoglieva il ricorso, ritenendo la Direzione Provinciale di Fermo non competente per territorio, essendo la sede legale della società ubicata in Montemonaco (AP).
2.La Commissione Tributaria Regionale, investita dall ‘ appello proposto dall ‘ Agenzia delle Entrate, con la sentenza oggetto dell ‘ odierna impugnazione, pur ritenendo sussistente la competenza della Direzione Provinciale di Fermo, lo rigettava nel merito.
In particolare, a sostegno dell ‘ adottata pronuncia la Commissione Tributaria Regionale rilevava, per quanto di interesse in questa sede, che: « Nel merito, la decisione può essere assunta in applicazione del principio della ragione più liquida, quale principio che consente al Giudice di esaminare prioritariamente il motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di questioni antecedenti, secondo l ‘ ordine logico-giuridico (Cass. 9936/2014, 23542/2015, 9218/2018). Le presunzioni su cui si basa l ‘ ufficio per ricostruire il reddito di impresa della società semplice esercente attività agricola, facendo
riferimento alle movimentazioni bancarie, non appaiono sostenute da un adeguato impianto probatorio. Trattandosi di attività basata sullo sfruttamento di beni sottoposti a determinazione catastale del reddito, l ‘ ufficio non è stato in grado di identificare, se non in via meramente ipotetica e senza alcun elemento obiettivo, quale sia la parte dei proventi eccedenti rispetto ai proventi derivanti dai beni (terreni agricoli) soggetti a determinazione catastale del reddito. L ‘ ufficio ha infatti proceduto ad una ripartizione ‘ secondo equità ‘ dei maggiori redditi contestati pari ad 1.197.504,60 – quale somma di versamenti per euro 578.139,89 e prelevamenti per euro 923.621,58 al cui totale di euro 1.508.763,47 è stata detratta la quota corrispondente ai prodotti ceduti con Iva 4% per euro 304.256,97 – per un 50% ai proventi agrari e per un 50% ai proventi d ‘ impresa. Tale ripartizione del 50% si presenta sfornita di qualunque elemento probatorio e motivazionale, se non per il riferimento ad un ipotetico criterio di equità che secondo questo giudicante, nel caso di specie non può essere validamente invocato dall ‘ amministrazione. Appare evidente, infatti, che la tassazione dei redditi agrari e dominicali secondo criteri catastali ai sensi dell ‘ art. 34 t.u. 917/1986, come riportato anche nell ‘ avviso di accertamento, non consente di imputare il coacervo delle movimentazioni bancarie – peraltro assommate sia dal lato dei versamenti che dal lato dei prelievi a singole operazioni economiche, se non per la eventuale parte eccedente il reddito fondiario ai sensi dell ‘ art. 32, comma 3 t.u. 917/1986, su cui l ‘ atto impositivo non offre alcun elemento di approfondimento o valutazione, se non per il richiamo al criterio di equità, da ritenersi in concreto non applicabile. L ‘ atto impositivo si basa infatti soltanto sulle movimentazioni bancarie, che, ai fini della determinazione dei redditi, nel caso di specie non possono essere significativamente trasposte in elementi reddituali, in assenza di adeguata contestazione sullo svolgimento di attività eccedente o estranea all ‘ esercizio dell ‘ azienda agricola (cfr. Cass. 15708/2009). Le contestazioni mosse dall ‘ ufficio sull ‘ eccedenza di ricavi rispetto al reddito fondiario appaiono quindi
insufficienti, in quanto costruite in modo generico e senza carattere di perspicuità e non costituiscono quindi, a parere del Collegio, una presunzione idonea a sostenere l ‘ accertamento. Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene quindi il Collegio che l ‘ atto impositivo non sia assistito da adeguato impianto probatorio. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, l ‘ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.- Le contribuenti sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, l ‘ amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e la falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 2727 c.c..
Sostiene, in particolare, che, pur essendo pacifica l ‘ avvenuta applicazione, nella specie, di un accertamento di tipo induttivo ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, nondimeno la Commissione Tributaria Regionale ha annullato l ‘ avviso d ‘ accertamento sulla base della considerazione secondo cui le presunzioni poste a fondamento della ricostruzione dei redditi compiuta dall ‘ Ufficio non sarebbero dotate dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Evidenzia, ancora, come tale assunto si traduca in una falsa applicazione dell ‘ art. 2727 c.c. e dell ‘ art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e violi altresì l ‘ art. 39, comma 2, già sopra menzionato che, infatti, non richiede che l ‘ accertamento meramente induttivo debba fondarsi su presunzioni munite dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, ben potendo fondarsi su presunzioni cd. semplicissime, ossia che non raggiungono l ‘ intensità indiziante della vera e propria prova presuntiva.
Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato lettera e ratio dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, esigendo in sostanza che l ‘ Ufficio si munisse di elementi presuntivi con forza indiziante superiore a quella delle mere presunzioni semplicissime previste per il
caso di accertamento induttivo puro. Inoltre, il giudice d ‘ appello avrebbe applica falsamente l ‘ art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e l ‘ art. 2727 c.c., estendendone l ‘ applicazione a fattispecie diversa da quella prevista dalla norma.
2.- Con il secondo motivo, l ‘ amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 2, 35, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 112 e 277 c.p.c.
Sostiene, in particolare, che, la Commissione Tributaria Regionale, una volta affermata l ‘ inattendibilità della ricostruzione dei redditi operata dall ‘ Ufficio in ragione del difetto di perspicuità delle presunzioni utilizzate riguardo alla ripartizione dei redditi provenienti dall ‘ allevamento degli ovini tra redditi agrari e redditi d ‘ impresa, avrebbe omesso di rideterminare l ‘ entità dei redditi imponibili della società e, dunque, avrebbe arrestato la propria cognizione all ‘ accertamento dell ‘ illegittimità, sottraendosi al giudizio sul merito della pretesa tributaria che le competeva, così disattendendo il principio secondo cui il processo tributario non è un giudizio sull ‘ atto, ma sul rapporto e il giudice, ove ritenga invalido l ‘ avviso di accertamento per motivi di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l ‘ atto impositivo, ma è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria, dovendo accedere all ‘ accertamento del rapporto.
3.- Con il terzo (e ultimo) motivo, l ‘ amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all ‘ art. 112 c.p.c.
Sostiene, in particolare, che l ‘ avviso di accertamento oggetto del giudizio non si era limitato ad accertare l ‘ imponibile ai fini delle imposte dirette, ma aveva accertato anche l ‘ IVA non corrisposta sulla base delle presunzioni in tema di indagini finanziarie e irrogato la sanzione per omessa regolarizzazione sulle fatture in entrata.
Sostiene, altresì, di aver appellato la sentenza di primo grado, chiedendo la conferma integrale dell ‘ avviso di accertamento, compresi i rilievi in materia di IVA e di sanzioni correlate a tale imposta.
Evidenzia, infine, che la Commissione Tributaria Regionale, a fronte di tali domande, si sarebbe limita a pronunciarsi con riguardo alla determinazione dell ‘ imponibile ai fini delle imposte dirette, basata oltretutto su un metodo di accertamento e di calcolo completamente diverso, omettendo di pronunciarsi in ordine alle domande concernenti l ‘ IVA e le sanzioni.
4.- La prima censura è senz ‘ altro fondata con assorbimento delle restanti.
Ed invero, ai sensi dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, l ‘ ufficio, nei casi previsti da tale disposizione normativa, procede alla rettifica dei redditi d ‘ impresa con il metodo induttivo cd. ‘ puro ‘ , ovvero sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, in deroga alle disposizioni di cui al comma 1 del medesimo art. 39 e sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti.
Parimenti, in tema di IVA, l’art. 55 , comma 1, parte seconda, d.P.R. n. 633 del 1972, prevede che l ‘ ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33.
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice « in tema di rettifica dei redditi d ‘ impresa, il discrimine tra l ‘ accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la ‘incompletezza, falsità o
inesattezza’ degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l ‘ Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell ‘ esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all ‘art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, ‘le omissioni o le false od inesatte indicazioni’ sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l ‘ attendibilità -e dunque l ‘ utilizzabilità, ai fini dell ‘ accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l ‘Amministrazione finanziaria può ‘prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti’ ed è legittimata a determinare l’ imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 33604 del 18 dicembre 2019, Rv. 656397-01; conf. Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 4662 del 15 febbraio 2023, non massimata).
L ‘ accertamento induttivo puro, svolto ai sensi dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, consente dunque all ‘ amministrazione finanziaria di prescindere del tutto dalle risultanze delle scritture contabili e di determinare l ‘ imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, costituenti presunzioni cc.dd. ‘ supersemplici ‘, cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 19191 del 17 luglio 2019, Rv. 654710-01, secondo cui « In caso di accertamento induttivo puro l ‘ Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, poiché, altrimenti, sarebbe oggetto di imposizione il profitto lordo in luogo di quello netto, in violazione dell ‘ art. 53 Cost., non potendo trovare applicazione l ‘ art. 109 TUIR che ammette in deduzione solo i costi risultanti dal conto economico. »), quando i dati in esse contenuti siano assolutamente inattendibili e tali da inficiare l ‘ utilizzabilità anche di quelli apparentemente
regolari (Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 24278 del 14 novembre 2014, Rv. 633556-01), ponendo a carico del contribuente l ‘ onere di fornire la prova contraria, ossia di dimostrare di non aver conseguito il reddito accertato (Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 20793 del 27 febbraio 2020, non massimata) ovvero di avere conseguito un reddito inferiore a quello indicato dall ‘ Ufficio (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 12127 del 14 aprile 2022, non massimata).
Nella specie, dagli atti – e, in particolare, dalla sentenza impugnata risulta che l ‘ accertamento è stato condotto a termini dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e risulta altresì che non è stata contestata, ad opera delle contribuenti, l ‘ ammissibilità del ricorso, da parte dell ‘ufficio , al metodo induttivo, nel qual caso, come già sopra chiarito, l ‘ amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni cc.dd. « supersemplici », ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 19191 del 17 luglio 2019, Rv. 654710-01), le quali determinano un ‘ inversione dell ‘ onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall ‘ ufficio (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 15027 del 2 luglio 2014, Rv. 631522-01).
Identiche considerazioni vanno fatte con riguardo all’IVA.
È, invero, stabile insegnamento di questa Corte regolatrice, quello secondo cui, ove l ‘amministrazione finanziaria proceda alla determinazione induttiva dei ricavi, si determina, a carico del contribuente , un’inversione dell’onere della prova relativo agli elementi contrari diretti a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore rispetto a quella indicata dall’ufficio. In tal modo, trova quindi conferma che grava sul contribuente l’onere di provare, in coerenza con il principio enunciato dall’art. 2697 c.c., i fatti modificativi della pretesa esercitata dall’ufficio, mediante l’allegazione degli elementi reddituali in grado di incidere negativamente su di essa,
senza che, in ciò, egli possa sperare di essere sostituito da un apprezzamento discrezionale operato d’ufficio dal giudice, dato che anche nel processo tributario il giudice è vincolato a pronunciare la propria decisione « iuxta alligata et probata partium » (cfr., in tal senso ed ‘ ex multis ‘, Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 37260 del 29 novembre 2021, Rv. 663063-01, in motivazione).
5.- Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza impugnata, non ha fatto buon governo di tali principi, avendo ritenuto che, in presenza di un accertamento induttivo puro, le presunzioni addotte dall ‘ ufficio (e, in particolare, le movimentazioni bancarie) non fossero dotate di pregnanza indiziaria e, conseguentemente, che l’atto impositivo non fosse « assistito da adeguato impianto probatorio » (cfr., all’uopo, l’ultima pagina della sentenza impugnata) .
6.- In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza deve, pertanto, essere cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, che deciderà tenendo conto del seguente principio di diritto, e provvedendo altresì a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità:
« Nel caso in cui l’accertamento sia condotto con metodo induttivo a termini dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 o dell’art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972 , l’amministrazione finanziaria ha facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e può fondare l’accertamento su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, avente ad oggetto la dimostrazione che l’imponibile accertato non è stato conseguito o è stato conseguito in misura inferiore rispetto a quella indicata mediante l’atto impositivo . ».
7.- Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,