Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17394 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17394 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.5452/2024 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore , domiciliata ope legis in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
Contro
NOME;
-intimata- avverso la sentenza n.700/2024 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, depositata il 24 gennaio 2024 e non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Irpef, Irap e Iva
FATTI DI CAUSA
L’ Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione con due motivi contro la contribuente NOME COGNOME che è rimasta intimata, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con cui è stato accolto l’appello de lla citata contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento per maggiori Irpef, Irap ed Iva dell’anno di imposta 2010.
Nella sentenza impugnata, la Corte di giustizia tributaria ha affermato che la contribuente ha dato prova che le somme incassate nell’anno di imposta 2010 non fossero frutto di attività di lavoro autonomo, di cui era stata omessa la dichiarazione, come affermato dall’Ufficio , ma derivavano da un atto di liberalità ad opera di NOME NOME, padre della contribuente.
Il giudice di secondo grado ha, inoltre, ritenuto che l’ Ufficio non fosse stato in grado di confutare la veridicità della suddetta donazione da parte del genitore, specificando che aveva proceduto alla ricostruzione induttiva del reddito della contribuente, senza dare la prova che questa ultima avesse incassato, per prestazioni professionali, somme non fatturate e non registrate.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 4 giugno 2025, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 -bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1.Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., nonché dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546 , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
Ad avviso della ricorrente, le ragioni esposte a sostegno dell’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati si risolvono
in proposizioni assertive, peraltro non tecnicamente coordinate, che non consentono di comprendere il percorso logico-giuridico compiuto dal giudice per pervenire alla decisione di annullamento della pretesa fiscale.
1.2.Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, 2° comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, dell’art. 7, comma 5 bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Secondo la ricorrente, la Corte di secondo grado ha omesso di individuare ed indicare gli elementi di prova concretamente posti alla base della decisione, in violazione delle suddette norme; inoltre, ha mancato di dar conto degli elementi di prova addotti dalla ricorrente in rapporto con quelli rivenienti dall’atto impugnato in violazione del disposto del menzionato art. 39, comma 2, DPR 600/1973.
2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno, quindi, accolti.
Nella specie, l’accertamento trae origine dal sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria , da cui era emerso che la società RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato due operazioni nei confronti della contribuente per un ammontare complessivo di € 102.000,00. Inoltre, per l’anno di imposta 2010, oggetto di istruttoria, la contribuente aveva presentato la dichiarazione del sostituto di imposta da cui risultavano 8 lavoratori subordinati per i quali erano stati versati contributi INPS -Codice DM10. Nonostante ciò, la contribuente non aveva compilato il quadro RE del modello Unico, omettendo di dichiarare i redditi da lavoro autonomo. All’esito dell’istruttoria condotta sulla documentazione presentata dalla contribuente emergeva che le fatture della RAGIONE_SOCIALE non erano state registrate; inoltre, la contribuente esibiva alcuni assegni relativi agli importi più rilevanti dei movimenti sottoposti a verifica, precisando che la fattura intercettata dall’Ufficio era in realtà un pro -forma il cui
importo ammontava ad € 51.200,00 e non ad € 102.000,00. In proposito produceva un’autocertificazione della RAGIONE_SOCIALE con la quale la società dichiarava di non aver mai corrisposto alcun compenso alla contribuente, e i partitari anni 2010-2013. Quanto ai dipendenti, la contribuente precisava che erano stati assunti per la costruzione della propria abitazione, i cui costi erano sopportati con gli importi relativi agli assegni, oggetto di donazione da parte del padre.
La Corte di secondo grado ha ritenuto che che, dunque, per ; che, invece,
Secondo la C.g.t., l’ufficio
Le affermazioni della C.g.t. risultano apodittiche, non palesando il percorso logico seguito, ed omettono la valutazione e la comparazione degli elementi istruttori forniti dalle parti.
L’ufficio, invero, aveva contestato la riconducibilità degli assegni esibiti al padre della contribuente ed aveva evidenziato che la società RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato due operazioni nei confronti della contribuente per un ammontare complessivo di € 102.000,00 , e non una sola per euro 51.200,00.
In particolare , l’amministrazione finanziaria aveva rilevato che gli assegni prodotti dalla contribuente (corrispondenti alle operazioni
bancarie rilevate sul suo conto corrente) erano a firma illeggibile, che l’autodichiarazione del padre era stata prodotta solo tardivamente in udienza, che la società RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato due operazioni nei confronti della contribuente e non aveva corretto il modello 770.
I giudici di appello, nella sentenza impugnata, non hanno esaminato in alcun modo il quadro indiziario fornito dall’amministrazione, neanche per rilevarne eventualmente l’infondatezza, né chiariscono perché la contribuente abbia fornito adeguata prova contraria, arrestandosi ad affermazioni che non sono adeguatamente motivate.
Ciò è contrario all’orientamento costante di questa Corte secondo cui l’ art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e l’ art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (per l’Iva) prevedono che l’ accertamento tributario possa basarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”; pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, c.c. (v. da ultimo, Cass. n. 10615/2024 e Cass. n. 2746/2024).
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa
composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 4 giugno 2025