Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31920 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31920 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14063/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 10628/2016 depositata il 25/11/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificato il 14 novembre 2013, mediante il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato induttivamente il reddito d’impresa, liquidando i diversi importi IVA dovuti. Il recupero fiscale s’incentrava, infatti, sull’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini della tassazione IVA, per l’anno d’imposta 2008, da parte della società, dichiarata fallita nel 2009. La CTP di Avellino rigettava il ricorso della contribuente. La CTR della Campania ha respinto l’appello della contribuente. Quest’ultima ha affidato il proprio ricorso per cassazione a quattro motivi. L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. ex art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché la violazione degli artt. 7 e 10 L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 55, co. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 39, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973; si deduce poi l’inidoneità delle percentuali di ricarico utilizzate ai fini della rideterminazione dei ricavi oltre che la rilevanza della situazione pre-fallimentare ai fini della crisi d’impresa; di deduce, infine, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e la mancata valutazione delle prove dell’assenza di antieconomicità.
Con il secondo motivo si lamenta l’illegittimità della pretesa per infondatezza dell’obbligazione tributaria IVA, l’effettività, certezza ed esistenza del credito Iva disconosciuto sebbene esposto in dichiarazione Iva, la violazione della Direttiva Iva e del principio della neutralità, la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 18 e ss. d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e
l” eccedenza di credito Iva: deduzione anche in assenza di dichiarazione Ires e Irap ‘ e l’illegittimo disconoscimento del credito Iva ‘ come statuito dalle Sezioni Unite ‘.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di legge ex art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992 nonché la violazione degli artt. 7 e 10 L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.; si deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 55, co. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 17, 18 e ss. d.P.R. n. 633 del 1972; si deduce, inoltre, la mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale; si deduce, ancora, la nullità dell’atto di accertamento per omesso contraddittorio preventivo anche per i tributi armonizzati.
Con il quarto motivo si lamenta la nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché l” error in judicando e procedendo della sentenza per non aver annullato la sentenza di primo grado’.
Il primo motivo è infondato e va respinto.
La composita censura non coglie nel segno a fronte dell’accertamento di merito compiuto minuziosamente dal giudice d’appello.
La CTR ha osservato testualmente che ‘ non è revocabile in dubbio, ai sensi dell’art. 55, comma 2, n. 3, d.p.r. n. 633/72, l’Agenzia potesse effettuare un accertamento induttivo sulla base delle incongruenze riscontrate e … elencate ‘. Pertanto, ‘ acclarato il legittimo esercizio del potere impositivo controverso è a dirsi come spettasse alla contribuente dimostrare l’infondatezza dei rilievi addotti dall’ufficio, mentre essa si è limitata a mere asserzioni generiche e di principio’ . Soggiunge, il giudice d’appello, che ‘ a prescindere da eventuali minime differenze tra ricavi e volume d’affari che possono essere effettivamente giustificate dal diverso criterio di computo dei suddetti valori ai fini contabili e fiscali -il
fallimento non ha dato alcuna plausibile spiegazione dell’enorme divergenza tra il costo del venduto e i ricavi (pari a oltre la metà), limitandosi, nella nota di chiarimenti rilasciata per il riconoscimento del credito IVA, a evidenziare il progressivo degli imponibili, ma non anche a indicare una causa specifica del differenziale’. Evidenzia, ancora, la CTR che ‘ il valore del costo del venduto, peraltro, è stato chiaramente ricavato dai dati di bilancio e non si comprende, dunque, come possa essere contestato (tra l’altro in maniera del tutto generica) dall’appellante medesima ‘.
In buona sostanza, il giudice d’appello ha compiuto un accertamento di fatto in ordine all’entità del ‘costo del venduto’, sulla scorta di una percentuale di ricarico mutuata dallo studio di settore reputato applicabile e non contestato in costanza di giudizio, da lì evincendo la percentuale di redditività del 3%.
In tal senso, la CTR si è posta nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua ‘L’accertamento analiticoinduttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale, operata attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico medio ponderato, si effettua: a) applicando detta percentuale sul costo del venduto quale accertato nei confronti dell’impresa; b) sommando l’importo cosi ottenuto (margine di guadagno) al predetto costo del venduto accertato; c) detraendo dall’importo cosi ottenuto (ricavi accertati) i ricavi dichiarati dall’impresa o comunque accertati sulla base della sua contabilità ‘ (Cass. n. 19213 del 2017).
Quanto alla porzione di censura in cui si adombra la violazione dell’art. 115 c.p.c., essa è addirittura inammissibile, in quanto sotto le mentite spoglie del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente mira ad ottenere una rivisitazione del merito della controversia, aspirando ad una diversa valutazione del materiale probatorio
destinata a soppiantare quella compiuta dal giudice d’appello nell’esercizio libero del proprio sindacato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
Di recente è stato soggiunto dal giudice nomofilattico che ‘ In tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo (ipotesi diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto), a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza ‘ (Cass. n. 12971 del 2022).
Il secondo motivo è infondato e va disatteso.
La CTR ha osservato che la contribuente si è limitata ‘ nella nota di chiarimenti rilasciata per il riconoscimento del credito IVA, a evidenziare il progressivo degli imponibili, ma non anche a indicare una causa specifica del differenziale ‘. Il giudice d’appello, con ogni evidenza, valorizza una carenza di attività allegatoria e probatoria della contribuente.
Invero, quanto all’Iva è stabile l’ insegnamento secondo cui, ove l’Ufficio proceda alla determinazione induttiva dei ricavi, si determina un’inversione dell’onere della prova, essendo a carico del contribuente la prova di indicare gli elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (Cass. n. 15027 del 2014; Cass. n. 23115 del 2013; Cass. n. 7871 del 2012), che sebbene l’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento induttivo sia tenuta a procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, ciò nondimeno occorre che esse siano comunque ” emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente ” (Cass. n. 25317 del 2014; Cass. n. 5192 del 2011; Cass. n. 3995 del 2009). Pertanto, grava sul contribuente l’onere di provare, in coerenza con il principio enunciato dall’art. 2697 c.c., i fatti modificativi della pretesa esercitata dall’Ufficio mediante l’allegazione degli elementi reddituali in grado di incidere negativamente su di essa, senza che in ciò egli possa sperare di essere sostituito da un apprezzamento discrezionale operato d’ufficio dal giudice, dato che anche nel giudizio tributario il giudice è vincolato a pronunciare la propria decisione iuxta alligata et probata partium (Cass. n. 37260 del 2021). Nella specie, d’altronde, la contabilità è stata ritenuta in radice inattendibile.
Il terzo motivo è infondato e va respinto.
Mette in conto evidenziare che ‘ In materia di garanzie del contribuente, la violazione del diritto di difesa, ed in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’invalidità del provvedimento conclusivo solo se in mancanza di tale irregolarità il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso, come si desume dalle sentenze della Corte di giustizia del 3 luglio 2014 in C-129/13 e del 22 ottobre 2013 in C-276/12. (Principio applicato in relazione ad un accertamento induttivo originato dall’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, di cui è stata confermata la legittimità, nonostante l’omessa attivazione del contradditorio preventivo, non avendo il ricorrente neppure prospettato un risultato diverso) ‘ (Cass. n. 16036 del 2015; Cass. n. 24823 del 2015). Nella specie il contribuente non ha assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere.
Il quarto motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR ha compiuto un accertamento di fatto per il cui tramite ha inequivocabilmente ritenuto che ‘ appare evidente dal tenore del percorso motivazionale adottato, che a prescindere da pur innegabili imprecisioni lessicali, la c.t.p. abbia inteso decidere dell’accertamento IVA 2008 e non dell’omologo e coevo avviso IRES ‘. Del resto, il giudice d’appello mette in risalto a più riprese la declinazione delle censure della contribuente, dalla quale si desume l’alveo della controversia investita dal presente giudizio, consistente in un’imposizione fiscale concernente proprio l’Iva. Pertanto, il tentativo di parte ricorrente di adombrare una violazione di legge traligna il paradigma del relativo vizio ex art. 360, n. 3, c.p.c., per tendere ad una più appagante rivisitazione del merito della controversia, con l’esercizio di una riedizione del relativo sindacato, invero preclusa nella presente sede. Né si può trascurare di rilevare il deficit di specificità del motivo, in quanto non si cura di riportare i passaggi della sentenza contestata che
deporrebbero per l’afferenza della pronuncia ad un atto impositivo concernente tributi altri rispetto all’Iva.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/09/2024.