Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31184 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31184 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16715/2017 R.G. proposto da COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME NOME e COGNOME Rosa -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, SEZIONE STACCATA DI TARANTO, n. 17/17 depositata il 9 gennaio 2017
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 3 ottobre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Taranto dell’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME titolare di un laboratorio di corniciaio, un avviso di accertamento con il quale, constatato che la predetta
contribuente aveva omesso di presentare la prescritta dichiarazione fiscale per l’anno 2002, determinava d’ufficio, con metodo induttivo extracontabile, il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari riferibili alla sua attività, recuperando a tassazione, rispettivamente ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA, l’imponibile ritenuto evaso.
La COGNOME impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, la quale, con sentenza n. 17/17 del 9 gennaio 2017, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione Finanziaria, rigettava l’originario ricorso della contribuente.
A fondamento della pronuncia adottata il collegio regionale osservava che: -avendo la COGNOME omesso di presentare la dichiarazione inerente all’anno 2002, legittimamente l’Ufficio si era avvalso, ai fini della determinazione del reddito d’impresa dalla stessa conseguito in quel periodo, del metodo induttivo puro di cui all’art. 39, comma 2, lettera a), del D.P.R. n. 600 del 1973, basato su presunzioni semplici, anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; -in particolare, essendo emerso che nel modello UNICO 2002, relativo all’anno 2001, la contribuente aveva indicato rimanenze finali per un importo di 71.749,29 euro, era lecito presumere che le dette giacenze corrispondessero alle esistenze iniziali al 1° gennaio 2002 e che fossero state destinate all’autoconsumo, sì da giustificarne la ripresa a tassazione come reddito d’impresa, senza alcun ricarico; -spettava alla contribuente offrire la prova contraria idonea a superare le presunzioni poste a base dell’accertamento tributario; -di tanto essa non si era fatta carico, essendosi limitata ad asserire, in modo del tutto generico, che «l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi non
legittima l’ufficio a presumere immotivatamente l’esistenza di un reddito, dovendosi necessariamente riferire a tutti i dati e a tutte le notizie disponibili» .
Contro questa sentenza la COGNOME ha spiegato ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera in consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Entro il termine di cui al comma 1, terzo periodo, del menzionato articolo la ricorrente ha depositato memoria illustrativa, nella quale ha comunicato di aver aderito alla definizione agevolata ex art. 1, commi 231 e seguenti, della L. n. 197 del 2022, instando per la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto disattesa l’istanza per la declaratoria di cessazione della materia del contendere avanzata dalla ricorrente nella memoria illustrativa ex art. 380 -bis .1, comma 1, terzo periodo, c.p.c., non ricavandosi dalla documentazione ad essa allegata: (1) se i carichi esattoriali oggetto della domanda di definizione agevolata ex art. 1, comma 235, della L. n. 197 del 2022 (cd. «rottamazione -quater» ) siano ricollegabili all’avviso di accertamento impugnato nel presente giudizio; (2) se gli importi dovuti per il perfezionamento della definizione siano stati versati alle previste scadenze, come richiesto ai fini dell’estinzione del giudizio dal comma 236, secondo periodo, del medesimo articolo (risulta depositato unicamente un prospetto riassuntivo tratto dal sito web dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione, riportante la della contribuente alla data del 30 giugno 2023).
1.1 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, lettera a), e 42, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 51 -57 del
D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 (statuto del contribuente) e degli artt. 3, 21 -septies e 21 -octies della L. n. 241 del 1990.
1.2 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, sebbene viziato da : in esso, infatti, erano richiamate norme prive di attinenza con la fattispecie concreta (segnatamente: l’art. 51, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, riguardante il reddito di lavoro dipendente; l’art. 53, comma 2, anziché l’art. 57, dello stesso D.P.R., in materia di autoconsumo) e non si era tenuto conto dei costi relativi ai maggiori ricavi induttivamente determinati e di .
Con il secondo motivo è lamentata la della sentenza impugnata della Commissione regionale in ordine alle eccezioni sollevate dalla contribuente, concernenti .
Nell’ordine logico -giuridico si appalesa prioritario lo scrutinio del secondo motivo, con il quale vengono denunciati pretesi vizi processuali suscettibili di determinare la nullità della decisione gravata.
3.1 Il motivo è inammissibile.
3.2 Per quanto attiene al dedotto vizio di omessa pronuncia, va osservato che la censura difetta di autosufficienza, non evincendosi dal ricorso se le asseritamente non esaminate dal collegio di appello fossero state puntualmente sollevate fin dal libello introduttivo del giudizio di primo grado (a pag. 2, righi 18 -22, si legge che con l’atto incoativo della lite erano state genericamente eccepite: ) e se fossero state specificamente riproposte in appello ai sensi dell’art. 56 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
3.3 Riguardo, invece, alla lamentata , va rammentato che, a sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità in questo campo è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del cd. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di motivazione «perplessa od incomprensibile» o «apparente», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della stessa.
3.4 In base a tale nuova disposizione processuale, applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 3, del D.L. citato, alle sentenze (comprese quelle emesse dalle Commissioni Tributarie Regionali: cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014) pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della relativa legge di conversione (vale a dire dall’11 settembre 2012 in poi), è da escludere che possa ancora denunciarsi in sede di legittimità la mera motivazionale, intesa come insufficiente illustrazione delle ragioni sottese alla decisione adottata.
3.5 Anche «in parte qua» , dunque, il mezzo di gravame in scrutinio non supera il vaglio di ammissibilità.
Il primo motivo è parimenti inammissibile per difetto di autosufficienza.
4.1 Invero, le questioni che esso veicola non risultano trattate nella sentenza impugnata e dal ricorso non emerge se, come e quando siano state specificamente introdotte nei gradi di merito.
4.2 Fermo quanto precede, deve comunque rilevarsi che la decisione resa dalla CTR si fonda sulle seguenti argomentazioni:
-legittimamente l’Ufficio si era avvalso del metodo induttivo extracontabile, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lettera a), del D.P.R. n. 600 del 1973, non avendo la contribuente presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2002;
-era da ritenersi corretta la ripresa a tassazione, come reddito d’impresa, dell’importo delle rimanenze finali dichiarate dalla COGNOME in riferimento al precedente anno d’imposta;
-a fronte delle presunzioni semplici addotte dall’Amministrazione Finanziaria a fondamento dell’avanzata pretesa impositiva, la contribuente non aveva offerto la prova contraria atta a superarle.
4.3 Lungi dal confrontarsi con la motivazione della pronuncia gravata e dall’evidenziare in quale modo determinate affermazioni in diritto in essa contenute debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici del caso controverso o con l’interpretazione fornitane dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., sull’argomento, Cass. n. 3572/2024, Cass. n. 19822/2023, Cass. n. 37257/2022, Cass. n. 41722/2021), la ricorrente si limita a criticare direttamente l’avviso di accertamento, atto propedeutico al giudizio, omettendo, peraltro, di trascriverne o quantomeno di riportarne il contenuto essenziale; il che costituisce ulteriore ragione di inammissibilità della doglianza (cfr. Cass. n. 19248/2024, Cass. n. 16108/2015, Cass. n. 841/2014, Cass. n. 6134/2009, nonché, con particolare riferimento all’onere di trascrizione dell’atto impositivo, Cass. n. 10665/2018, Cass. n. 19901/2016, Cass. n. 2928/2015, Cass. n. 18557/2010).
Per quanto precede, il ricorso non può trovare ingresso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del
D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.000 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P .R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione