Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13326 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13326 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
Oggetto: accertamento analitico induttivo -studio di settore
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10914/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (indirizzo di posta elettronica certificata: ) e dall’Avv. NOME COGNOME (indirizzo di posta elettronica certificata: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 449/19/2022, depositata il 20.1.2022 e non notificata. camerale del 12 marzo 2025
Udita la relazione svolta nell’adunanza dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 449/19/2022, depositata il 20.1.2022 veniva rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento n. 179/1/2015, la quale aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito di impresa ai fini IRAP e IVA per il periodo d’imposta 2007, accertamento nell’ambito del quale veniva applicato lo studio di settore corrispondente al codice attività commercio al dettaglio di tessuti per l’abbigliamento, l’arredamento e di biancheria per la casa.
Il giudice d’appello confermava tale decisione tenuto conto del l’abnorme spesa per lavoro dipendente e la sproporzione dell’incremento del magazzino rispetto al reddito d’impresa, e ritenendo che sussistessero indizi gravi, precisi e concordanti di una ingiustificata situazione di anormalità di ricavi, in relazione alla quale il contribuente nulla aveva addotto per giustificare in maniera logica e puntuale la bassa redditività dell’impresa per l’anno di imposta in esame.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente deducendo due motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’ error in iudicando per violazione e la falsa applicazione di legge in relazione all’art. 62 -sexies, comma 3, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. con l. 29 ottobre 1993, n. 427.
Il motivo è inammissibile, in quanto aspecifico. L’intero corpo della censura ragiona solo in diritto e non fa mai riferimento alla sentenza di appello impugnata, mancando di individuarne sia il capo oggetto di impugnazione sia le ragioni specifiche di critica alla luce della decisione concretamente adottata.
Con il secondo motivo, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., si censura la sentenza per violazione del d.l. n. 331 del 1993 per assenza del requisito delle gravi incongruenze ai sensi dell’art. 62 sexies atteso che lo scostamento fra i ricavi dichiarati e quelli accertati con studio di settore si attesterebbe intorno al 15%.
Il motivo è inammissibile.
4.1. La doglianza si limita a riproporre argomentazioni di merito circa l’assenza di grave incongruenza tra dichiarazione e risultato dello studio, omettendo di impugnare l’accertamento fattuale del giudice d’appello che ha valutato il compendio probatorio traendone le conseguenze con una motivazione logica.
Il giudice , tra l’altro, ha stabilito a pag. 3 della sentenza: « E’ significativo rammentare in questo grado di giudizio la gravità della anomalia delle spese sostenute dal contribuente per il lavoro dipendente di un lavoratore a tempo pieno che genera nella contabilità una spesa annua pari ad euro 24.094,00 mentre il reddito di impresa dichiarato dal contribuente ammonterebbe ad euro 11.399,00, cioè a meno della metà della spesa da lavoro dipendente; ed è inutile aggiungere che tale grave incongruenza avalla le risultanze degli studi di settore, perché nessun operatore economico in regime di normalità è disposto ad accettare esborsi e spese da lavoro dipendente che non siano poi giustificati da un congruo ritorno economico in fase di percezione del reddito d’impresa. Il giudice di primo grado ha poi apprezzato sfavorevolmente l’evidente ed oggettiva sproporzione tra l’incremento del magazzino e le disponibilità finanziarie liquide per l’anno d’imposta in questione; anche tale elemento, rapportato in un quadro di normalità economica, depone ad avallare le
risultanze degli studi di settore a fronte dell’ingiustificato ed abnorme reddito d’impresa dichiarato dal contribuente».
4.2. Orbene, nel passaggio argomentativo sopra riprodotto la CTR conferma la sentenza di primo grado sulla base di un duplice presupposto fattuale, ulteriore allo scostamento tra dichiarazione e risultanze dello studio di settore, emergente dal compendio probatorio, che non è stato specificamente contestato dal ricorrente nei limiti in cui ciò sia possibile, vista la doppia pronuncia di merito conforme, ossia l’ «abnorme spesa per lavoro dipendente e la sproporzione dell’incremento del magazzino rispetto al reddito d’impresa» ( ibidem ). Da tali elementi il giudice ha tratto indizi «gravi, precisi e concordanti di una ingiustificata situazione di anormalità di ricavi, in relazione alla quale l’odierno appellante nulla ha saputo addurre in questo grado per giustificare in maniera logica e puntuale la bassa redditività dell’impresa per l’anno preso in esame» ( ibidem ). L’accertamento, in altri termini, secondo i giudici dei due gradi non è fondato solamente sullo scostamento tra dichiarazione e studio -grave o meno che sia -, ma su un compendio di elementi probatori che non sono stati scalfiti dal contribuente e lo studio ha avuto in questo contesto una funzione solo di quantificazione della misura dell’evasione , con conseguente inammissibilità del mezzo di impugnazione che non ha neppure compiutamente impugnato tale complessa ratio decidendi espressa dalla sentenza di appello.
5 . In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 4.300 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.3.2025