Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22680 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22680 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 7652/2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata – avverso la sentenza n. 2731/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, depositata il 29 settembre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificò ad RAGIONE_SOCIALE , esercente l’attività di commercio di opere d’arte, un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione maggiori redditi, ai fini Irap, Ires ed Iva per l’anno 200 6 , all’esito di accertamento cd. induttivo puro condotto anche sulle movimentazioni bancarie dei soci.
I maggiori redditi accertati attenevano, per la gran parte, al corrispettivo di cessioni di opere che risultavano, invece, effettuate a titolo gratuito.
L’atto impositivo venne impugnato dalla società innanzi alla C.RAGIONE_SOCIALE. di Brindisi, che accolse il ricorso.
Detta sentenza fu poi confermata dalla C.T.R. della Puglia -sezione staccata di Lecce -all’esito di appello erariale.
Quest’ultima decisione fu , però, cassata da questa Corte con ordinanza n. 1358/2022, in quanto l’annullamento dell’atto impositivo si fondava su una circostanza -il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 non applicabile alla fattispecie.
Riassunto il giudizio a cura della contribuente, la Corte di giustizia tributaria della Puglia, con la sentenza in epigrafe, ritenne fondata la pretesa erariale, sul presupposto della legittimità dell’accertamento.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato tale pronunzia con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Amministrazione erariale non ha svolto difese.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata per asserita motivazione apparente.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe sorretta da argomentazioni inadeguate in punto alla ritenuta legittimità dell’accertamento induttivo puro.
I giudici regionali, in particolare, non avrebbero chiarito «se, nel caso di specie, i rilievi mossi dall’Ufficio fossero così gravi e ripetuti da rendere inattendibile l’intero impianto contabile, nonché se il criterio dell’antieconomicità, tenuto conto della particolare attività svolta, possa integrare i presupposti per ricorrere a tale metodo accertativo».
Il secondo motivo denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 600 del 1973, in combinato disposto con l’art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972 , e con gli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.».
La ricorrente afferma che i giudici d’appello non avrebbero preso in considerazione le circostanze fattuali dalla stessa addotte a supporto della esiguità dei ricavi rispetto ai costi, dalle quali poteva ben evincersi che l’accertata antieconomicità dell’attività svolta non aveva carattere strutturale, ma contingente, ed era finalizzata alla promozione di diversi artisti in una futura ottica lucrativa.
Infine, con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 39, comma secondo, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e 55, comma secondo, del d.P.R. n. 633 del 1972, «per avere il giudice di appello ritenuto sussistenti i presupposti legittimanti l’accertamento c.d. induttivo puro basato sull’asserita antieconomicità dell’attività e per avere ritenuto legittimi i maggiori ricavi determinati dall’Ufficio mediante l’appli cazione delle medie di settore relative alla comp ravendita di opere d’arte, senza che fossero state indicate le fonti e ogni altro elemento utile affinché la società potesse verificarne l’astratta riferibilità alla sua realtà aziendale ».
Fermi restando i rilievi di cui alla prima censura, la società assume che il ricorso al metodo di accertamento induttivo puro è consentito all’Erario in presenza di violazioni così gravi e ripetute «da far venire meno le ‘garanzie proprie di una contabilità sistematica’ », ovvero «tali da rendere priva di affidabilità l’intera contabilità ».
Nel caso di specie, invece, si era «in presenza di rilievi di scarsa rilevanza, dovuti, nella maggior parte dei casi, ad errori materiali e comunque non idonei ad inficiare le scritture contabili»; né, ad avviso della prevalente giurisprudenza, il rilievo di antieconomicità delle operazioni poteva giustificare la valutazione di complessiva inattendibilità delle scritture contabili.
Il primo e il terzo motivo possono essere scrutinati congiuntamente; entrambi, infatti, e seppur da diversa visione prospettica, sottopongono a critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’impiego del metodo di accertamento cd. induttivo puro da parte dell’Amministrazione erariale.
4.1. La prima censura, che denunzia la nullità della sentenza per motivazione apparente, non è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando la decisione non illustra le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire ad essa, ovvero non chiarisce su quali prove il giudice ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare
la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
4.2. In tal senso, è inoltre noto che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
In questo caso, la mera apparenza della motivazione inficia di nullità la sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
4.3. Tale non è, certamente, la situazione che ricorre nel caso di specie.
La sentenza impugnata, infatti, sul punto si articola secondo un chiaro e congruo percorso logico.
In primo luogo, i giudici regionali attestano che l’Ufficio aveva accertato il protrarsi di una gestione secondo conclamati criteri antieconomici per un lungo periodo di tempo, non adeguatamente giustificata dalla contribuente (« nel caso in questione rileva il fatto che l’antieconomicità è durata per diversi esercizi a partire dal 2004 e la circostanza che un’impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito, rilevanti perdite, nonché un’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una
rettifica della dichiarazione ai sensi dell’art. 39 del DPR 600/73, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate »).
In secondo luogo, gli stessi giudici di appello osservano che il conseguente ricorso alla verifica sulle movimentazioni bancarie ha poi corroborato l’ipotesi di inattendibilità delle scritture contabili, essendo emerse consistenti movimentazioni di somme sul conto del legale rappresentante e della di lui moglie, non giustificate e non giustificabili altrimenti che con il rilievo di complessiva inattendibilità dei dati contabili.
Risulta, così, emergente in modo univoco ed adeguato l’ iter logicogiuridico seguito dai giudici regionali per giungere alla decisione, in particolare con riferimento alla valutazione di inattendibilità della documentazione contabile.
4.4. Su questo ultimo punto si innestano le doglianze contenute nel terzo motivo di ricorso, del quale va parimenti affermata l’infondatezza.
La decisione impugnata si pone, infatti, in continuità con l’orientamento di questa Corte, secondo cui l’accertamento induttivo puro è giustificato da omissioni o false (od inesatte) indicazioni così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità -e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento -di tutti i dati contabili, compresi quelli apparentemente regolari, sicché l’amministrazione finanziaria può prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (così Cass. n. 33604/2019; nello stesso senso Cass. n. 26035/2024 e, da ultimo, Cass. n. 8749/2025).
D’altro canto, i l tentativo della ricorrente di rimettere in discussione il livello di effettiva gravità delle omissioni ed inesattezze contabili, riproponendo a questa Corte una valutazione delle incongruenze
emerse, nonché delle giustificazioni offerte al riguardo, costituisce richiesta di un nuovo apprezzamento di dati fattuali, che non è consentito nel presente giudizio di legittimità.
5. Il secondo motivo è inammissibile per come formulato.
Infatti, dietro l’apparente contestazione di una violazione di legge, la censura si risolve, in realtà, nella richiesta di una rilettura dei complessivi dati probatori acquisiti nel giudizio di merito, con valorizzazione di quelli che, secondo la società contribuente, meglio supporterebbero le sue argomentazioni.
Anche tale motivo, pertanto, finisce per sollecitare un sindacato sulle prove che sfugge all’oggetto del presente giudizio di legittimità, essendo attività riservata al giudice del merito.
6. Il ricorso è, dunque, complessivamente infondato e va, pertanto, rigettato.
Nulla sulle spese, in mancanza di attività difensiva da parte dell’Amministrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema