Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13621 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13621 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
IRPEF -IRAP -IVA anni 2014 e 2015
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10961/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege ,
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Lucca INDIRIZZO con indirizzo pec. EMAIL
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO della TOSCANA n. 1154/2023, depositata in data 14 novembre 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME, esercente l’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti e di commercio all’ingrosso di abbigliamento e accessori, gli avvisi di accertamento n. T8K01C402037 e n. T8K01C402043, ai fini
IRPEF, IVA, IRAP per gli anni di imposta 2014 e 2015 ai sensi e per gli effetti degli artt. 39 comma 2 del d.p.r. n. 600/73 e 55 del d.p.r. n. 633/72.
Avverso gli avvisi di accertamento, il contribuente proponeva due ricorsi dinanzi alla C.t.p. di Lucca; si costituiva l’Agenzia delle Entrate rilevando la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Lucca con sentenza n. 17/2020, accoglieva i ricorsi.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana; il contribuente si costituiva in giudizio, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 1154/2021, depositata in data 14 novembre 2023, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana rigettava l’appello.
Avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo. Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 marzo 2025.
Considerato che:
1.Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 55, d.P.r. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché dell’art. 18, primo comma, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, con errata ricognizione interna della fattispecie, ha violato le norme di legge, disattendendo l’indirizzo di Codesta Suprema Corte in materia di ricostruzione induttiva, per non regolare tenuta dei documenti afferenti all’ inventario di magazzino.
2. Il motivo è fondato.
Va rilevato che costituisce principio giurisprudenziale in materia (Cass. 29/03/2021, n. 8698) quello secondo cui, in tema di accertamento del reddito di impresa, la verifica dei maggiori ricavi non dichiarati dall’impresa commerciale, pur dovendo in linea di massima essere condotta attraverso la determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, può essere svolta in via induttiva ex art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati o notizie conosciute dall’Amministrazione finanziaria, allorché vi sia omessa o irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, non potendosi in tal caso procedere alla corretta analisi del contenuto dell’inventario e dunque alla ricostruzione analitica dei ricavi di esercizio.
2.1. Nella fattispecie in esame, la C.g.t. di II° grado ha fatto mal governo dei principi normativi e giurisprudenziali testè declinati allorché ha disatteso i criteri di ricostruzione induttiva per non regolare tenuta dei documenti afferenti all’inventario di magazzino, non avendo proceduto a valorizzare i presupposti di diritto che legittimavano l’Agenzia delle Entrate all’utilizzo dell’accertamento induttivo. In particolare, nella stessa sentenza, si dà atto di una caotica situazione dei magazzini che, tuttavia, non rilevava ai fini delle prove atteso che, appunto, tale dato non era stato possibile verificare.
Parimenti, non corretta è l’affermazione secondo cui la parte contribuente non era tenuta alla tenuta delle distinte inventariali essendo il contribuente una impresa minore e, come tale, esonerato dalla loro tenuta.
Entrambe le affermazioni, su cui poggia la decisione risultano errate.
2.2. La prima affermazione muove da un presupposto illogico in sé atteso che, se il contribuente rende, con dolo o colpa, non possibile la ricostruzione della giacenza delle merci in magazzino l’Ufficio è tenuto ad applicare il comma 2 dell’art 39 del d.p.r. 600/73, il quale prevede che ‘in deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito di impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettere d) del precedente comma’.
L’Ufficio, pur ricorrendo i presupposti per addivenire ad una ricostruzione reddituale fondata su profili presuntivi sprovvisti dei connotati di gravità, precisione e concordanza, ha correttamente utilizzato uno strumentario probatorio ricavabile dai dati integrati nel sistema di contabilità proprio del contribuente, benché complessivamente affetto da rilevanti elementi di inattendibilità.
Inoltre, non essendo state tenute dal contribuente le distinte inventariali, i verificatori, non obbligati alla determinazione analitica delle rimanenze, avrebbero potuto determinarle induttivamente prendendo il valore delle medie del settore oppure stimare un valore anche pari a zero.
2.3. Quanto all’affermazione secondo cui la parte contribuente non era tenuta alla tenuta delle distinte inventariali essendo una impresa minore, essa è sconfessata dal dato normativo. L’art. 18 comma 2 del d.P.R. n. 600/73 (in vigore fino al 31/12/2016) che disciplina le modalità di tenuta della contabilità semplificata per le “imprese minori” prevede che “i soggetti che fruiscono dell’esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, indicano nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze”. Tale norma, però, disciplina solo l’aspetto formale della condotta che
deve essere tenuta dalle imprese minori sul punto (indicazione delle rimanenze), mentre il contenuto sostanziale della stessa è disciplinato dall’art. 62 comma 1 del d.P.R. n. 597/1973 il quale dispone che “le rimanenze dei beni indicati nel primo comma dell’art. 53 si valutano distintamente per categorie omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e della medesima qualità”.
2.4. La giurisprudenza di legittimità è concorde nell’affermare (Cass. n. 22174/2006; Cass. n. 9946/2003; Cass. n. 11515/1997) che anche le imprese minori devono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini IVA il valore delle rimanenze, la cui valutazione deve essere fatta distintamente per categorie omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e della medesima quantità con la necessità intrinseca di dover redigere un prospetto analitico.
In altri termini, quindi, l’art. 18 detta la disciplina formale delle rimanenze, mentre l’articolo 62 contiene la disciplina sostanziale per la valutazione delle stesse in modo da completare la disciplina tributaria che presuppone necessariamente una articolazione di beni per tipi, qualità e valore unitario (al riguardo Cass. n. 8907/2018).
La mancanza dell’inventario autorizza gli organi di controllo ad applicare la metodologia dell’accertamento induttivo nella ricostruzione del reddito.
In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio al giudice di merito affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di giustizia di secondo grado della Toscana affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e
motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2025