Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18757 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18757 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9861/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO (TEL NUMERO_TELEFONO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 2506/2016, depositata il 10/10/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE opera nel settore del mercato immobiliare e presenta ristretta base sociale, costituita da due soci al 50% ciascuno, i signori NOME e NOME COGNOME
Sull’anno di imposta 2006 era accertata per maggior reddito derivante da tre compravendite, i cui prezzi dichiarati erano risultati inferiori agli importi del mutuo bancario contratto all’uopo, ovvero al valore dichiarato in banca al fine di ottenere la linea di credito. Ove non vi era ricorso al mutuo, l’Ufficio aveva calcolato sulle consimili vendite assistite da mutuo il ‘prezzo normale’ che aveva poi applicato alle altre coeve operazioni immobiliari del medesimo plesso. Sullo sfondo e come base di partenza restavano i valori OMI.
Insorgevano tanto la società che i due soci, accertati di riflesso, ove i ricorsi riuniti esitavano in rigetto integrale, mentre l’appello riduceva la pretesa impositiva, provocando comunque la parte privata al ricorso per cassazione su tre motivi, cui rep lica l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
In via preliminare di rito, giova precisare che il contenzioso riferito ai due soci paritari della società, oggetto già di trattazione congiunta in primo grado e poi invece trattato separatamente in grado di appello, è stato definito -a seguito di procedura agevolata da parte dei soci, ex art. 6 d.l. 119/2018, con decreti n. 33290/22 (COGNOME NOME) e 31771/22 (COGNOME NOME), sicché in questa sede non si pone alcun problema di litisconsorzio.
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile, per
violazione e falsa applicazione degli articoli 39, 40 e 42 del DPR numero 600 del 1973, nonché dell’articolo 24, comma quarto, lettera F), e comma quinto della legge comunitaria numero 88 del 2009.
Nella sostanza si lamenta che il giudice di secondo grado non abbia tenuto conto della novellazione che ha tolto il carattere presuntivo ai prezzi derivanti dagli studi OMI, procedendo quindi al calcolo del valore normale in assenza di un parametro di riscontro normativamente fondato.
1.2. Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 40 e 42 del DPR numero 600 del 1973, nonché dell’articolo 39, lettera d, dell’articolo 32, primo comma, numero 7, degli articoli da 31 a 37 del DPR numero 600 del 1973, nonché ancora dell’articolo 51, secondo comma, numero 7 del DPR numero 633 del 1972, nonché ancora dell’articolo 54, commi primo e secondo, del DPR numero 633 del 1972, nonché infine degli articoli 10 e 12 della legge numero 212 del 2000.
Nella sostanza si lamenta non sia stato dato riscontro al contraddittorio preventivo endoprocedimentale, necessario dove si proceda ad indagini presuntive.
1.3. Con il terzo motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 47 del DPR numero 445 del 2000, degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, dell’articolo 39, lettera d, del DPR numero 600 del 1973, nonché infine dell’articolo 113 della Costituzione.
Nello specifico si contestano le prove ritenute fondate dal collegio di appello e si lamenta il carattere illogico ed abnorme del ricarico sul prezzo secondo la ricostruzione dell’Ufficio.
Il primo motivo non può essere accolto.
È appena il caso di osservare che la sentenza in scrutinio riconosce l’operato dell’Ufficio non già sorretto sulla base delle presunzioni legali dei valori OMI, ma da un insieme di indagini bancarie che dimostrano le differenze -anche consistenti- fra i prezzi del medesimo bene, fra dichiarato in atto e risultante dalle pratiche bancarie per l’accensione del mutuo ipotecario. Si tratta cioè di procedure analitico – induttive di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d) del citato DPR numero 600 del 1973. A fronte di tali indagini, si verifica l’inversione dell’onere della prova, per cui spetta al contribuente la dimostrazione che l’utile accertato non è stato realizzato o è stato conseguito in misura minore.
Ed infatti, in materia, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, «l’accertamento con metodo analiticoinduttivo, con il quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. tra le molte Cass. V, n. 20060/2014).
Egualmente, in materia di IVA, si è statuito che «l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) , del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta,
incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V n. 27552/2018).
L’azione amministrativa trasfusa nell’atto impositivo e la cognizione giurisdizionale dei due gradi di merito concordano nel ritenere ratio della ripresa a tassazione non la presunzione, superata, della regolarità dei valori OMI, bensì la complessità delle indagini bancarie, articolate sulla rilevanza dei valori dichiarati ai fini della contrazione del mutuo. In altri termini, ciò che regge (e legittima) la ripresa a tassazione non è lo scostamento dai valori medi dell’osservatorio immobiliare, profilo che non riveste (più) carattere di presunzione, come si dirà qui appresso, bensì l’insieme delle evidenze probatorie, incrociate dalle indagini bancarie, ponendosi quindi in coerenza con l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte di legittimità.
Al proposito, anche di recente, è stato affermato che in tema di accertamento, il maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere presunto, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, modificato dall’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), sulla base del solo scostamento del corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita rispetto al valore del bene risultante dalle quotazioni OMI, dovendo essere provato anche in relazione ad un unico elemento presuntivo ulteriore (nella specie, l’importo del mutuo erogato di gran lunga superiore al corrispettivo pattuito), purché dotato di precisione e gravità, spettando poi al contribuente l’onere della prova contraria (cfr. Cass. T., n. 3193/2025; ma già n. 2155/2019 e n. 24550/2020).
Il motivo non può, quindi, essere accolto.
Nemmeno può essere accolto il secondo motivo, laddove si lamenta la violazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Per un verso, la parte ricorrente non riproduce all’interno del ricorso -ai fini della completezza ed esaustività della domanda- i passi degli atti processuali dei gradi di merito dove la doglianza è stata proposta, per dar prova non trattarsi di inammissibile motivo nuovo che chiede ingresso nel giudizio di legittimità.
Per altro verso, giova precisare che -in ogni casogli accertamenti anche bancari di cui all’art. 39, primo comma, lett. d, DPR n. 600/1973 non richiedono contraddittorio preventivo, fuorviante il richiamo di parte contribuente (pag. 13 del ricorso) alla giurisprudenza di questa Corte agli studi di settore, che è metodo diverso da quello adottato nel caso in esame.
Inammissibile è il terzo motivo, ove si contesta il bilanciamento dell’apporto probatorio delle parti, valutato dal collegio del gravame, al fine di stimolarne un diverso apprezzamento, inibito a questa Suprema Corte di Legittimità.
Ed infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della parte controricorrente che liquida in € cinquemilaseicento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17/06/2025.