Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22270 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
Oggetto: accertamento induttivo – onere della prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2061/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL);
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2954/36/2015 depositata il 2 luglio 2015, e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2954/36/2015 veniva rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE e parzialmente confermata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 4156/17/2014 la quale aveva respinto il ricorso della società avverso gli avvisi di accertamento per ricostruzione di reddito non dichiarato e disconoscimento di costi ai fini delle II.DD. e IVA, relativamente agli anni di imposta 2007 e 2008.
Il giudice di primo grado riteneva che gli avvisi fossero ben motivati e che l’operato dell’Amministrazione finanziaria fosse condivisibile. Il giudice d’appello confermava la decisione di primo grado con riferimento alla ripresa relativa ad erogazioni per prestazioni di lavoro dipendente a persone non identificate, ritenuta legittima quanto all’omesso versamento delle ritenute alla fonte IRPEF non operata dalla
società e non versata quale sostituto d’imposta , relativamente ai compensi corrisposti in nero per euro 62.866 per il 2007 e per euro 76.300 per il 2008. La sentenza di primo grado veniva invece riformata con riferimento alla ripresa ‘prelievo soci’ per movimentazioni bancarie che il giudice riteneva giustificate dalla contribuente, come pure quanto ai compensi amministratori e alle voci di polizze di assicurazione previdenza e malattia a favore degli amministratori, ritenute riconducibili all’attività svolta per la società.
Avverso la sentenza d’appello l’Agenzia ha proposto ricorso principale per cassazione deducendo tre motivi, cui ha replicato la società con controricorso e spiegando ricorso incidentale affidato a due motivi.
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘Agenzia ricorrente principale prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/73 e 2697 cod. civ., dolendosi del fatto che la CTR abbia riformato la sentenza del giudice di prime cure, con riferimento alla ripresa per ricostruzione di componenti attive di reddito non dichiarate, sull’erroneo presupposto che gli esborsi, essendo prelievi dei soci e «provenendo da un conto patrimoniale, non hanno mai partecipato alla formazione del reddito d’esercizio con l’ovvia conseguenza che non hanno mai diminuito l’imponibile fiscale» (cfr. p. 4 della sentenza).
La ricorrente, richiamando la pertinente giurisprudenza di questa Corte, lamenta che il giudice di seconde cure avrebbe errato nel sostenere che il conto patrimoniale non ha avuto incidenza fiscale, poiché non ha partecipato alla formazione del reddito d’esercizio, dal momento che oggetto del rilievo fiscale è la tassazione di ricavi non dichiarati. Deduce inoltre l’incoerenza della motivazione, perché affermare che le
uscite sono da imputare a prelievi dei soci nulla dice in ordine alla giustificazione delle minori entrate rispetto alle spese, che è l’oggetto della prova spettante alla società.
Preliminarmente, va dato atto delle eccezioni di inammissibilità del motivo formulate nel controricorso, poiché il motivo ricorso si risolverebbe in una apodittica affermazione non seguita da dimostrazione alcuna, né chiarirebbe dove le disposizioni di legge sarebbero state violate o erroneamente interpretate e, quindi, sarebbe carente del requisito della specificità, in quanto privo della puntuale indicazione delle norme violate e delle relative specifiche argomentazioni che dimostrino l’erroneità della gravata pronuncia, e perché con il ricorso verrebbe censurato l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito e richiesta una nuova valutazione delle risultanze processuali.
2.1. Le eccezioni non possono trovare ingresso dato che il motivo di ricorso individua con sicurezza la lamentata violazione di legge, consistita nel fatto che, rideterminato il reddito di impresa con metodo analitico-induttivo di cui all’ art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600/73 per la riscontrata maggior differenza delle spese rispetto al totale dei versamenti. La censura colpisce in diritto la decisione la quale, per applicare il corretto canone di riparto della prova ai fini dell’art. 2697 cod. civ., avrebbe dovuto soffermarsi sulla verifica della mancata corrispondenza tra prelievi e versamenti e sulla giustificazione analitica delle contestazioni, a carico del contribuente, e non limitarsi invece ad argomentare circa il fatto che i soci hanno effettuato operazioni di prelevamento sui conti correnti aziendali.
3. Il motivo è fondato.
3.1. Il motivo pone la questione della legittimità delle riprese fiscali operate a carico di una società sulla scorta delle risultanze delle verifi-
che sulle movimentazioni dei conti correnti intestati non solo alla società verificata ma anche ai soci, amministratori o a soggetti legati a questi da particolari stretti rapporti personali. Questione di cui questa Corte si è più volte occupata (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 7583/2025, Cass. n. 31750/2024, Cass. n. 20816/2024 e Cass. n. 35856/2023) enucleando i principi di seguito riportati che il Collegio intende ribadire. Innanzitutto, si è affermato che in tema di accertamenti fiscali, tanto in materia di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, quanto in materia di IVA, ex art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633/1972, le presunzioni ivi stabilite, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che debbono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 22224 del 2018; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20851; Cass. sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4788; Cass. sez. 5, 12 giugno 2015, n. 12276; Cass. sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 428; Cass. sez. 5, 18 dicembre 2014, n. 26829; v. anche Cass. n. 33596 del 2019).
Nel senso della riconducibilità delle movimentazioni dei conti correnti dei soci alla società verificata nel caso di ristretta base azionaria è Cass., Sez. 5, n. 30098 del 21/11/2018, secondo cui, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri
attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.
Tali principi devono, però, confrontarsi con quell’orientamento, pure da tempo presente nella giurisprudenza di questa Corte, che non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti persona, e si è affermato il principio in base al quale «le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti» (Cass., Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02, in cui si richiamano Cass. n. 12817/2018, n. 17423/2003, n. 11145/2011; n. 17243/2003, n. 8826/2001).
Si tratta di un orientamento rinvenibile anche nelle più recenti pronunce di cui si è sopra dato atto e che è stato affermato anche con riferimento agli accertamenti in materia di imposte dirette.
In tale materia, questa Corte ha ribadito che le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono riguardare anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capa-
cità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cass. n. 546 del 15/01/2020). Si è comunque precisato che la sola sussistenza dello stretto vincolo familiare fra il contribuente e il terzo non è un dato sufficiente per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, occorrendo che tale vincolo sia accompagnato dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del soggetto terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato (Cass. n. 32974/2018; n. 34747/2023, n. 20816/2024).
3.2. Orbene, la CTR non applica correttamente il richiamato canone di riparto della prova. Premesso che l ‘Ufficio ha riscontrato una maggiore disponibilità di denaro in relazione alla differenza tra prelievi e versamenti e considerato che gli introiti non contabilizzati non potessero attribuirsi a versamenti dei soci o ad altre fonti esterne alla gestione dell’impresa , ma fossero piuttosto elementi identificativi di incassi relativi a vendite non fatturate e non registrate eseguite nei confronti di clienti non identificati, il giudice di seconde cure limita la propria motivazione sul punto al l’ affermata esistenza di «prelievi personali dei soci, la cui movimentazione risulta regolarmente annotata in contabilità generale, come prelievi bancari, e conseguentemente sul libro giornale» (cfr. p. 4 della sentenza). Tale argomentazione non è un accertamento circa l’ idonea prova liberatoria dalle contestazioni, sulla base dell’insegnamento giurisprudenziale che precede e, in particolare, in ordine alla giustificazione delle minori entrate rispetto alle spese, che è proprio
l’oggetto della prova spettante alla contribuente. Il giudice del rinvio si atterrà al sopra richiamato principio di diritto, compiendo un accertamento circa l’esistenza o meno di una prova giustificativa analitica sulle singole movimentazioni contestate.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, con il quale la ricorrente censura anche la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 36 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. -vizio di motivazione apparente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la CTR non abbia indicato decidendo sulla questione oggetto del primo motivo, quali siano i concreti elementi probatori disponibili agli atti da cui trae il proprio convincimento. La questione sarà complessivamente riesaminata dal giudice del rinvio.
Con il terzo e ultimo motivo la ricorrente censura la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 36 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. -vizio di motivazione apparente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., per aver il giudice di seconde cure reso una motivazione del tutto apodittica in riferimento all’annullamento del l’ulteriore recupero dei costi per gli anni 2007 e 2008.
6. Il motivo è fondato.
6.1. Si rammenta che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito
di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, sentenza n. 8053 del 07/04/2014 cui hanno fatto seguito numerose pronunce conformi delle Sezioni ordinarie, tra cui Cass. n. 7090/2022 nonché Cass. n. 6986/2023, in motivazione).
6.2. Orbene, con riferimento alle riprese di cui al motivo, va premesso che l ‘Ufficio ha disconosciuto costi, ritenuti indeducibili in ragione della mancanza del requisito della inerenza all’attività di impresa, in quanto le polizze di assicurazione in questione sarebbero del tutto svincolate dalla specifica attività che gli amministratori hanno posto in essere per la società, perché «le prime due relative ad assicurazione previdenza non hanno nessun riferimento ad eventi relativi all’esecuzione di mansioni professionali e/o extraprofessionali e non sono state stipulate dalla società ma personalmente dai soci amministratori; la terza assicurazione riguarda dei rischi non legati allo svolgimento dell’incarico
degli amministratori rappresentando invece un fringe benefit aggiuntivo rispetto ai compensi» (cfr. p. 12 del ricorso che a sua volta cita l’atto d’appello ).
6.2. La motivazione del giudice di seconde cure sulla questione si limita ad affermare che «Tali polizze si riferiscono ad eventi relativi all’esecutività di mansioni professionali. I premi pagati rappresentano costi deducibili per la società, odierna appellante, e non sono relativi a un fringe benefit aggiuntivo ai compensi degli amministratori stessi» (cfr. p. 4 della sentenza). Da tale tautologica asserzione non si comprende sulla base di quali elementi di prova la CTR ha potuto evincere che le polizze sono effettivamente collegate alle mansioni professionali degli amministratori e, quindi, inerenti all’esercizio dell’impresa. L’argomentazione, troppo secca, non rispetta il minimo costituzionale, perché non espone le ragioni per le quali il giudice ritiene deducibili i premi pagati e non qualificabili come fringe benefit aggiuntivo rispetto ai compensi degli amministratori e, pertanto, non risulta idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice d’appello per la formazione del proprio convincimento.
Passando ad esaminare ora i due motivi del ricorso incidentale proposti dalla società, i quali denunciano entrambi l’omessa pronuncia da parte del giudice d’appello sulla questione dell’inutilizzabilità di parte della prova raccolta e comunque la motivazione apparente, ai fini dell’art.360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., sulle questioni del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art.12, comma 2, Statuto del contribuente, e sulla assoluta carenza di motivazione degli avvisi impugnati ai fini dell’art.7 dello Statuto con riferimento alle osservazioni inviate dalla società all’Ufficio , essi sono infondati.
7.1. Sotto il primo profilo, va tenuto conto del fatto che, in tema di ricorso per cassazione, questa Corte ha, anche recentemente (cfr. Cass. ordinanza n. 27551 del 23/10/2024), ribadito che il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto, ma, comunque, indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. Tale è il caso di specie, nel quale, l’esame nel merito delle pretese ha comportato l’implicito rigetto delle questioni preliminari attinenti al procedimento amministrativo.
7.2. Il secondo profilo è inammissibile, sia perché compendia profili di censura tra loro incompatibili, non potendo coesistere l’omessa pronuncia con la motivazione apparente che implica la presenza di una pronuncia. Sia perché il mezzo di impugnazione, in presenza di pronuncia implicita, è mal formulato, non dovendo essere formulato ai sensi del n.4 del paradigma processuale. Questa corte ha già affermato (Cass. n.12131 del 2023, conforme a Cass. n.24953 del 2020) che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento, sempreché la solu-
zione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività.
La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il primo e terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025