Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 8780  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 13710/2023 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro  tempore , rappresentata e difesa dall ‘ RAGIONE_SOCIALE e domiciliata ‘ ope  legis ‘ presso  gli uffici di quest ‘ ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL ‘) ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO, unitamente all ‘ AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAIL ‘) ;
-controricorrente –
n. 13710/2023 R.G.
COGNOME.
Rep.
C.C. 28 gennaio 2025
Tributi -Avviso di accertamento IVA, IRPEF e IRAP Accertamento induttivo.
avverso la  sentenza  della  Commissione  Tributaria  Regionale  della Puglia n. 2342/2022, pubblicata il 2 settembre 2022;
udita la relazione della causa svolta, nella RAGIONE_SOCIALE di consiglio del 28 gennaio 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.- Nell ‘ ambito dell ‘ attività di controllo sostanziale effettuata, per l ‘ anno di imposta 2010, a carico della società RAGIONE_SOCIALE, personale verificatore dell ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rinveniva cinque (5) fatture emesse dall ‘ impresa con ditta RAGIONE_SOCIALE, esercente: « Altre attività di servizi alle imprese n.c.a. », per un imponibile complessivo per € . 15.120,00 (euro quindicimilacentoventi/00), con relativa IVA per € . 2.520,00 (euro duemilacinquecentoventi/00). Poiché dal sistema informativo dell ‘ Anagrafe tributaria risultava che il COGNOME, titolare della suddetta impresa con ditta RAGIONE_SOCIALE, per l ‘ anno d ‘ imposta 2010, aveva omesso la presentazione della dichiarazione fiscale ai fini IRAP ed IVA cui, invece, era tenuto essendo titolare di partita IVA, l ‘ amministrazione finanziaria, con invito n. NUMERO_DOCUMENTO/2016 notificato il 24 marzo 2016, chiedeva, al contribuente, di « produrre, in copia conforme, gli atti, i documenti, i libri e i registri contabili e a fornire notizie e dati, atti ad accertare l ‘ esatto adempimento RAGIONE_SOCIALE disposizioni in materia d ‘ imposte sui redditi e degli altri tributi ».
Qui ndi, l’ amministrazione finanziaria, stante la mancata presentazione del contribuente e l’omesso invio della documentazione contabile richiesta, ai sensi dell’art . 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, procedeva all’accertamento induttivo del reddito d’impresa per l’effetto notificandogli, il 18 ottobre 2016, avviso n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’ anno di imposta 2010. In motivazione dell ‘ avviso, l ‘ RAGIONE_SOCIALE specificava che esponeva che, muovendo dalla rilevazione che l’ultima RAGIONE_SOCIALE fatture rinvenute nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE, datata 31 dicembre 2010, aveva quale cronologico il numero 201, aveva dedotto che l ‘impresa del RAGIONE_SOCIALE avesse emesso almeno duecentouno (201) fatture
fiscali e, pertanto, calcolato l’importo medio RAGIONE_SOCIALE prestazioni in €. 2.520,00 (euro duemilacinquecentoventi/00), ottenuto dividendo l’imponibile di ciascuna fattura, pari a € . 12.600,00 (euro dodicimilaseicento/00) – al netto dell’IVA , per cinque, ovvero per il numero RAGIONE_SOCIALE fatture rinvenute e moltiplicato tale importo per il numero totale dei documenti emessi, ovvero duecentouno (201) , aveva determinato, induttivamente, l’ammontare dei ricavi conseguiti in € . 506.520,00 (euro cinquecentoseimilacinquecentoventi/00), quantificazione dei ricavi conseguiti cui l’ amministrazione finanziaria perveniva applicando la percentuale di redditività del 54,5% desunta dalla banca dati dell’Applicativo RADAR e determinata tenuto conto RAGIONE_SOCIALE aziende operanti nel medesimo settore commerciale, aventi uguali caratteristiche e sede nello stesso territorio provinciale, con redditività positiva, accertando conseguentemente una maggiore IRPEF per € . 11.873,00 (euro undicimilaottocentosettantatre/00), IRAP per € . 13.306,00 (euro tredicimilatrecentosei/00) e IVA per € . 101.304,00 (euro centounomilatrecentoquattro/00) , irrogando le relative sanzioni per € . 201.371,40 (euro duecentounomilatrecentosettantuno/40).
Avverso il menzionato atto impositivo, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, contestando, in primo luogo, l ‘ applicabilità, al caso di specie, della metodologia accertativa ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 in quanto « per l ‘ anno d ‘ imposta oggetto di contestazione parte ricorrente non svolgeva alcuna attività d ‘ impresa », avendo cessato l ‘ attività il 31 dicembre 2006, come da visura RAGIONE_SOCIALEle che veniva prodotta in giudizio, sebbene la relativa comunicazione fosse stata tardivamente trasmessa sia alla RAGIONE_SOCIALE che all ‘ RAGIONE_SOCIALE, sicché la mancanza RAGIONE_SOCIALE scritture contabili si poneva in rapporto di causalità con la cessazione dell ‘ attività d ‘ impresa.
Il contribuente, per quanto di rilievo in questa sede, contestava altresì di aver mai intrattenuto rapporti economici con la cooperativa sottoposta
a verifica e riferiva di aver depositato, in data 17 gennaio 2017, atto di denunzia – querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari nei  confronti  della  società  RAGIONE_SOCIALE,  al  fine  di  disconoscere  le fatture asseritamente emesse dalla sua impresa ma a lui del tutto ignote.
Deduceva, inoltre, che prova della falsità di tali fatture era, d ‘ altronde, costituita dal fatto che le stesse si riferivano a prestazioni di manodopera, laddove sarebbe stato agevole per l ‘ amministrazione finanziaria verificare che  egli  non  aveva  alcun  lavoratore  alle  proprie  dipendenze,  avendo cessato tutti i rapporti di lavoro già a far data del 31 dicembre 2005.
Altro elemento di falsità RAGIONE_SOCIALE fatture risiedeva, secondo la prospettazione  del  contribuente,  nel  fatto  che  il  fisco  aveva  omesso  di valutare che i relativi pagamenti risultavano tutti eseguiti in contanti.
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari, nella resistenza dell ‘ amministrazione finanziaria, con sentenza n. 2057/06/2017, accoglieva il ricorso del contribuente e annullava l ‘ atto impositivo con la seguente motivazione: « Il ricorso è fondato e può essere integralmente accolto. Parte ricorrente ha dimostrato documentalmente con: Visura RAGIONE_SOCIALEle, atto di denunzia/querela presso il Tribunale di Bari, NUMERO_DOCUMENTO relativo all’anno 2005, di aver cessato la propria attività già dal 31 12 2006, (sebbene cancellata formalmente alla CCIA in data 8.6.2009) il che giustifica la mancanza RAGIONE_SOCIALE scritture contabili per gli anni successivi, e, in particolare per l’anno oggetto di giudizio. Anche dall’esame del NUMERO_DOCUMENTO si evince che i rapporti di lavoro fossero tutti cessati. L’aver rinvenuto, da parte dell’Ufficio, (a seguito del controllo incrociato di cui si è detto), alcune fatture emesse da una società terza, che contrariamente ad ogni prassi commerciale risultano pagate per contanti, non può rappresentare la vera prova di un rapporto commerciale, e men che mai la continuità nell”esercizio della impresa – che come detto, risultata cessata fin da alcuni anni prima. Tanto vero che per l’anno di imposta in contestazione non è risultato alcun altro rapporto commerciale attivo e/o passivo con parte ricorrente. Le fatture rinvenute presso la società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE sono state tempestivamente contestate dal ricorrente con una denuncia  querela  ed  anche  disconosciuta  la  firma  apposta  in  calce  alle stesse per quietanza. Quindi non sussistevano i presupposti per procedere con l’accertamento oggi impugnato, che quindi va annullato ».
2.La Commissione  Tributaria Regionale della Puglia, investita dall ‘ appello proposto dall ‘ RAGIONE_SOCIALE, lo rigettava con la sentenza oggetto dell ‘ odierna impugnazione.
In  particolare,  a  sostegno  dell ‘ adottata  pronuncia,  la  Commissione Tributaria Regionale rilevava, per quanto di interesse in questa sede, che: « 2. L’appello non è fondato.
2.1 Il Collegio ritiene che risolutive ai fini del presente giudizio siano le considerazioni già svolte da questa Commissione nella recente decisione n. 3177/2021 del 6.12.2021 (presidente COGNOME, estensore COGNOME), relativa a vicenda integralmente sovrapponibile, alla cui motivazione si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In quella decisione, relativa alla successiva annualità 2011 ma riguardante (si noti) lo stesso controllo fiscale, è stato giustamente evidenziato che «il ricorrente ha prodotto atto di denuncia-querela alla Procura della repubblica presso il Tribunale di Bari, affermando di non avere mai intrattenuto rapporti economici con la citata cooperativa (RAGIONE_SOCIALE) e di non aver mai emesso le fatture, disconoscendone la relativa firma di quietanza», in tal guisa fornendo validi elementi a supporto della propria (dedotta) assoluta estraneità. Il ricorrente, in quella come nell’odierna vicenda, ha altresì chiarito (e adeguatamente documentato) di avere cessato l’attività già il 31.12.2006 e di avere inoltrato le relative comunicazioni alla RAGIONE_SOCIALE nel 2009 e nel 2015 all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate, comunque prima della notifica dell’avviso di accertamento dell’11.10.2016: trattasi di fatti incontroversi fra le parti.
2.2 Alla stregua di tali confluenti elementi, appare oltremodo fragile l’allegazione dell’Ufficio (il quale alcuna verifica aveva condotto contro il COGNOME in costanza dei termini previsti dall’art. 2220 cod. civ.) in ordine
all’esistenza di ricavi tanto ingenti (nella specie ben €. 506.520,00) senza che ne risulti traccia nelle doverose verifiche presso gli istituti di credito di riferimento e che l’Ade ha ritenuto di poter omettere in forza dell’inverosimile  assunto  che  le  fatture  rinvenute  (e  le  altre,  ipotetiche, considerate nel calcolo reddituale) darebbero (o avrebbero dato) atto solo di pagamenti «per contanti».
2.3 Com’è agevole constatare, l’assunto dell’A.F. si discosta dai principi affermati dalla Suprema Corte, la quale, in fattispecie similare di rinvenimento di fatture – apparentemente attribuibili a un soggetto sottoposto ad accertamento – nella documentazione contabile di diverso soggetto che le aveva utilizzate come costi deducibili, ha opportunamente precisato che «la circostanza della loro autenticità avrebbe dovuto essere oggetto di verifica e di prova da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, che ne avesse voluto trarre fonte di prova contro l’apparente emittente, nel senso di accertarne l’effettiva provenienza da parte di quest’ultimo, che la contestava anche in appello» (Cass. 22.6.2021, n. 17727, in motivazione). ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, l ‘ RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4.- Il contribuente ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.-  Con  il  primo  motivo,  l ‘ amministrazione  finanziaria  ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art.  360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell ‘ art. 111 Cost., degli artt. 1, 2 e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 132 e 274 c.p.c., nonché, infine, dell ‘ art. 118 disp. att. c.p.c.
Sostiene,  in  particolare,  che  la  Commissione  Tributaria  Regionale avrebbe  ritenuto  che  la  sola  presentazione  della  denuncia-querela  alla Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Bari  fosse  idonea  a dimostrare  che  il  contribuente  non  aveva  « mai  intrattenuto  rapporti economici con la citata cooperativa e di non aver mai, emesso le fatture,
disconoscendone la relativa quietanza di firma, ritenendo così di aver offerto tutti gli elementi possibili che l ‘ ordinamento offre per la prova della propria estraneità », così incorrendo in una motivazione apparente che non darebbe conto del percorso logico-giuridico seguito per pervenire alla conclusione secondo cui il contribuente avrebbe offerto dimostrazione circa la sua estraneità ai fatti di causa, non potendo tale denuncia-querela costituire, di per sé, prova dell ‘ estraneità del contribuente alla fattispecie evasiva.
2.- La censura è infondata.
Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall ‘ art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 650880-01, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all ‘ obbligo di motivazione previsto in via generale dall ‘ art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall ‘ art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato
qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile  tra  affermazioni  inconciliabili  oppure  perché  perplessa  ed obiettivamente  incomprensibile)  e,  in  tal  caso,  si  concreta  una  nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l ‘ anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico ‘ , nella ‘ motivazione apparente ‘ , nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘ , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Commissione Tributaria Regionale ha senz ‘ altro motivato – sia pure in maniera sintetica – in relazione all ‘ estraneità del contribuente rispetto alla fattispecie evasiva che gli era stata contestata mediante l ‘ atto impositivo, evidenziando, peraltro e diversamente da quanto sostenuto dall ‘ amministrazione finanziaria odierna ricorrente, come la prova di tale estraneità fosse suscettibile di essere desunta non già esclusivamente dalla presentazione della denuncia-querela, ma, piuttosto, anche in ragione di ulteriori elementi probatori, valutati unitamente a tale denuncia e valevoli a fornire riscontro a quanto dichiarato in quest ‘ ultima. La
motivazione della pronuncia impugnata, infatti, richiama anche la documentazione prodotta dal contribuente già nell ‘ ambito del processo di primo grado e dalla quale emergeva l ‘ avvenuta cessazione, già alla data del 31 dicembre 2006, dell ‘ impresa di cui il predetto era titolare. Infine, il giudice d ‘ appello non manca di evidenziare come le fatture di cui il contribuente aveva provveduto a denunciare la falsità non contenessero alcuna indicazione circa l ‘ utilizzo di mezzi di pagamento suscettibili di essere tracciati e concernessero, dunque, tutte corrispettivi pagati mediante denaro contante, con conseguente inverosimiglianza dell ‘ avvenuto conseguimento di ricavi, peraltro secondo la ragguardevole misura indicata dall ‘ amministrazione finanziaria, senza l ‘ ausilio di istituti bancari, presso i quali, del resto, come chiarito sempre dalla sentenza impugnata, nemmeno erano state eseguite idonee verifiche, ad opera dell’amministrazione finanziaria .
3.-  Con  il  secondo  (e  ultimo)  motivo,  l ‘ amministrazione  finanziaria ricorrente  denuncia,  ai  sensi  dell ‘ art.  360,  comma  1,  n.  3),  c.p.c.,  la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c.
Sostiene, in particolare, che, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe disatteso il principio secondo cui il regime probatorio previsto per l ‘ accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 consente all ‘amministrazione finanziaria di avvalersi anche di elementi di prova meramente indiziari. Ne conseguirebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, che sarebbe affetto da violazione di legge il capo di sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Bari ha affermato essere fondato su « mere illazioni » l’atto impositivo oggetto di controversia, sia perché, nella motivazione di tale atto, era stato dettagliatamente chiarito che l ‘impresa con ditta RAGIONE_SOCIALE, aveva presentato la dichiarazione per l ‘ anno d ‘ imposta 2011 omettendo la compilazione dei quadri TARGA_VEICOLO e omettendo altresì la presentazione RAGIONE_SOCIALE prescritte dichiarazioni ai fini IRAP e IVA alle
quali  il contribuente era, comunque, obbligato poiché titolare di partita IVA, così legittimando il ricorso a presunzioni cc.dd. « supersemplici ».
4.- La censura è senz ‘ altro infondata.
Ed invero, ai sensi dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, l ‘ ufficio, nei casi previsti da tale disposizione normativa, procede alla rettifica dei redditi d ‘ impresa con il metodo induttivo cd. ‘ puro ‘ , ovvero sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, in deroga alle disposizioni di cui al comma 1 del medesimo art. 39 e sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, ove esistenti.
Parimenti, in tema di IVA, l ‘ art. 55, comma 1, parte seconda, d.P.R. n. 633 del 1972, prevede che l ‘ ammontare imponibile complessivo e l ‘ aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell ‘ Ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell ‘ art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33.
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice « in tema di rettifica dei redditi d ‘ impresa, il discrimine tra l ‘ accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la ‘incompletezza, falsità o inesattezza’ degli el ementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l ‘ Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell ‘ esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all ‘art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, ‘le omissioni o le false od inesatte indicazioni’ sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l ‘ attendibilità -e dunque l ‘ utilizzabilità, ai fini dell ‘ accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente
regolari), sicché l ‘Amministrazione finanziaria può ‘prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e RAGIONE_SOCIALE scritture contabili in quanto esistenti’ ed è legittimata a determinare l’ imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 33604 del 18 dicembre 2019, Rv. 656397-01; conf. Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 4662 del 15 febbraio 2023, non massimata).
L ‘ accertamento induttivo puro, svolto ai sensi dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, consente dunque all ‘ amministrazione finanziaria di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze RAGIONE_SOCIALE scritture contabili e di determinare l ‘ imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, costituenti presunzioni cc.dd. ‘ supersemplici ‘, cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ponendo a carico del contribuente l ‘ onere di fornire la prova contraria, ossia di dimostrare di non aver conseguito il reddito accertato (Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 20793 del 27 febbraio 2020, non massimata) ovvero di avere conseguito un reddito inferiore a quello indicato dall ‘ Ufficio (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 12127 del 14 aprile 2022, non massimata).
Nella specie, se è certamente vero che l ‘ accertamento è stato condotto a termini dell ‘ art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 con conseguente ricorso, da parte dell’amministrazione finanziaria, a presunzioni cc.dd. « supersemplici », ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 19191 del 17 luglio 2019, Rv. 654710-01) ed inversione, a carico del contribuente , dell’onere della prova circa l’esistenza di elementi intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall ‘ ufficio (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 15027 del 2 luglio 2014, Rv. 631522-01), risulta nondimeno altrettanto innegabile come, proprio alla stregua della motivazione della sentenza impugnata, la Commissione Tributaria Regionale abbia ritenuto assolto tale onere di prova contraria da parte del contribuente, mediante la deduzione degli elementi di prova già sopra
menzionati  e  che  sono  stati  ritenuti,  dal  giudice  d’appello,  valevoli  a dimostrare l’estraneità del contribuente alla fattispecie evasiva contestata mediante l’avviso di accertamento.
In tal senso, dunque, non è dato riscontrare alcuna violazione o falsa applicazione  RAGIONE_SOCIALE  norme  indicate  dalla  ricorrente  e,  in  particolare,  del regime probatorio derivante dall’applicazione, alla fattispecie in esame, dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973.
Da ultimo, non è chi non veda come la censura di cui si tratta esibisca altresì un profilo di inammissibilità, giacché la stessa, nella parte in cui si concentra sugli elementi probatori presuntivi a fondamento dell’atto impositivo [ e, cioè, l’omessa dichiarazione del reddito d’impresa e l’avvenuto rinvenimento nella contabilità della società RAGIONE_SOCIALE, di ben cinque (5) fatture fiscali, riferite a specifiche prestazioni che sarebbero state fornite dall’impresa del contribuente e redatte in conformità alle indicazioni stabilite dall’articolo 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, il ritardo del contribuente nella comunicazione di cessazione dell’attività d’impresa e l’omesso riscontro del medesimo all’invito a produrre la documentazione richiesta dall’amministrazione finanziaria ], invocandone altresì la valorizzazione a discapito degli elementi di prova addotti dal contribuente a proprio favore (cfr., all’uopo, quanto evidenziato in ricorso, alle pagg. 12-13), finisce con il risolversi nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità. Questa Corte regolatrice ha, infatti, più volte chiarito che « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. » (cfr., ex permultis , Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01).
Questa Corte di legittimità ha, infatti, più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Parimenti, è stato chiarito che « la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
5.- In conclusione, alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev’essere senz’altro rigettato.
6.-  Le  spese  relative  al  presente  giudizio  di  legittimità  seguono  la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7.Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  d.P.R.  n.  115  del  2002, stante la soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, comma 1bis .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente,  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  presente  giudizio  di  legittimità,  che  si liquidano in complessivi €. 5. 200,00 (euro cinquemiladuecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella RAGIONE_SOCIALE di consiglio della Sezione Tributaria,