Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34614 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34614 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF 2008.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29166/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME non costituito,
-intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo -sezione staccata di Pescara n. 501/06/2016, depositata il 17 maggio 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con avviso di accertamento n. TAZ010200526/2012 l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Chieti recuperava a tassazione, nei confronti di COGNOME NOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE redditi da partecipazione per l’anno d’imposta 2008 derivanti da utili extra-contabili accertati nei confronti della società suddetta, per l’importo di € 67.370,00.
Tali redditi occulti da partecipazione si basavano sull’avviso di accertamento n. TAZ030200524/2012, emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in base al quale l’Ufficio riteneva che i finanziamenti di € 140.998,28 risultanti dal conto n. 25/15/3 ‘socio (A) c/finanziamenti’ fossero relativi a prestazioni e cessioni non fatturate e non contabilizzate; i finanziamenti imputabili al socio COGNOME erano pari ad € 135.498,00, e tale somma veniva quindi considerata come dividendo assegnato a q uest’ultimo, con conseguente determinazione del reddito da capitale in € 67.370,00, pari al 49,72% del dividendo occulto distribuito.
Avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti COGNOME NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti la quale, con sentenza n. 243/05/2013, lo accoglieva parzialmente, rilevando che, con separata sentenza emessa dalla stessa Commissione con riferimento all’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, i ricavi non contabilizzati erano stati ridotti ad € 20.766,00, con la conseguenza che il dividendo occulto percepito dal COGNOME (socio al 99% del capitale sociale) fosse da determinare in € 20.558,34 (99% di
€ 20.776,00), e quindi il reddito di capitale in € 10.221,61 (49,72% del dividendo occulto suddetto).
Interposto gravame dal l’Ufficio , nonché appello incidentale dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 501/06/2016, pronunciata il 23 febbraio 2016 e depositata in segreteria il 17 maggio, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, confermando la sentenza di primo grado e compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate , sulla base di tre motivi (ricorso notificato il 6 dicembre 2016).
Non si è costituito in giudizio COGNOME NOME, rimasto intimato.
Con decreto del 12 giugno 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 1° ottobre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce nullità della sentenza per motivazione ( per relationem ) apparente, con violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, dell’art. 132, comma 2, num. 4), c.p.c ., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e 4) c.p.c.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che la sentenza impugnata era sostanzialmente priva di motivazione, non avendo formulato alcun vaglio critico delle ragioni sostenute con l’atto di appello.
1.2. Con il secondo motivo di appello si eccepisce violazione dell’art. 115, commi 1 e 2, c.p.c., nonché degli artt. 2729 e 2697 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, la ricorrente che la C.RAGIONE_SOCIALE aveva affidato il proprio convincimento a mere illazioni non supportate da alcun riscontro probatorio, avendo ritenuto come fatto notorio uno stato di crisi dell’azienda soltanto sulla base della situaz ione generale dell’economia nazionale.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 39, 41 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 55 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché dell’art. 2697 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, l’Ufficio che la sentenza impugnata avrebbe violato le norme sull’accertamento induttivo, in quanto, pur riconoscendo la legittimazione dell’Ufficio ad utilizzare tale modalità di accertamento, ha poi ritenuto, con motivazione apodittica, di rideterminare il reddito accertato in capo al contribuente, senza che questo fornisse adeguata prova dell’esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa.
Così delineati i motivi di ricorso, questa Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Sostiene l’Agenzia delle Entrate che la Corte regionale avrebbe acriticamente omesso di pronunciarsi su una serie di censure sollevato con l’atto di appello, così determinando
l’impossibilità di comprendere l’iter logico -giuridico che aveva portato al rigetto del gravame.
Sul punto, va tuttavia rilevato il giudice, nel motivare la sentenza, non è tenuto ad operare una risposta particolareggiata ad ogni deduzione o eccezione sollevata dalle parti, essendo sufficiente che egli dia conto, in maniera chiara e completa, delle ragioni poste a fondamento della propria decisione (cfr., da ultimo, Cass. 15 marzo 2024, n. 7014; Cass. 29 dicembre 2020, n. 2930).
Nel caso di specie, è pur vero che i giudici di appello abbiano omesso di esaminare una serie di censure sollevate con l’atto di impugnazione, censure che, tuttavia, riguardavano essenzialmente la qualificazione come finanziamenti delle somme considerate utili extra-contabili della società RAGIONE_SOCIALE e che quindi attenevano all’avviso di accertamento emesso nei confronti della società; e tuttavia, la C.T.R. ha dato conto dell’esistenza, nei confronti del Candeloro, della pretesa erariale nei termini da essa indicati, facendo riferimento proprio alle risultanze del giudizio promosso avverso l’avviso di accertamento societario, e quindi rideterminando il reddito di partecipazione sulla base della quantificazione degli utili extra-contabili, ritenuti sussistenti nei confronti della società, operata dalla stessa C.T.R.
La motivazione della sentenza impugnata, quindi, appare pienamente rispettare il c.d. minimo costituzionale, avendo la corte territoriale manifestato chiaramente le ragioni poste a fondamento della propria decisione.
2.2. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono fondati.
Va ribadito che «in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cass. 6 giugno 2012, n. 9108); inoltre, «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte
del contribuente, il potere – dovere dell’Amministrazione è disciplinato non già dell’art. 39, bensì dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, ai sensi del quale, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo; a tal fine, esso può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e può fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. supersemplici cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 38, comma 3 D.P.R. citato – le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio» (Cass. 15 giugno 2017, n. 14930).
La sentenza impugnata si pone in evidente contrasto con i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.
Per un verso infatti non contiene alcuna valutazione analitica né complessiva del corredo indiziario addotto dall’Ente impositore a sostegno della propria allegazione che i finanziamenti soci in oggetto mascherassero un rientro nel patrimonio sociale di ricavi non contabilizzati.
Per altro verso, la C.T.R., al fine di escludere la natura reddituale delle somme accertate, ha fatto assurgere ad elemento indiziario dell’esistenza dei finanziamenti dei soci un fatto assolutamente evanescente come la ‘crisi generale dell’economia’, senza alcun riferimento alla situazione effettiva della società RAGIONE_SOCIALE e pur in presenza di gravi irregolarità contabili, che giustificavano l’accertamento sulla
base dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, da effettuarsi anche mediante presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Vanno quindi accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, e, in relazione a tali motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, la quale procederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, e verificherà anche l’eventuale passaggio in giudicato, nelle more del presente giudizio, del giudizio riguardante l’avviso di accertamento n. TAZ030200524/2012, per il quale è stata emessa C.T.R. dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara sentenza n. 500/06/2016, depositata il 17 maggio 2016; tale sentenza risulta, tuttavia, cassata da questa Corte con ordinanza n. 3069 dell’8 febbraio 2018, con rinvio per nuovo giudizio sempre alla C.T.R. dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2024.