Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16896 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16896 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26306/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difensa dell’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAILavvocatutastatoEMAIL), presso cui è elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del curatore e legale
Oggetto:
TRIBUTI –
accertamento induttivo
rappresentante pro tempore , dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, dall’avv. prof. NOME COGNOME (pec: profavvstefanofiorentino@pec.it);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2975/13/2021 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 06/04/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 aprile 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento di maggior reddito d’impresa relativo all’anno di imposta 2013 che l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti del Fallimento della Castellammare di Stabia RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 non avendo la società contribuente esibito, su richiesta dell’amministrazione finanziaria, la documentazione contabile che il curatore della società aveva dichiarato di non avere. La CTP accoglieva il ricorso della società contribuente. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate evidenziando l’illegittimità, sotto il profilo dell’irragionevolezza dell’accertamento del maggior reddito d’impresa in quanto effettuato dall’amministrazione finanziaria sulla base dell’applicazione di una percentuale di redditività parametrata su criteri di ‘normalità gestionale’ nei confronti di una società che, invece, versava in uno stato di crisi tale da portarla al fallimento, come dimostrato dalla relazione del curatore fallimentare in cui si dava atto, anche sulla base della relazione del collegio sindacale, del dissesto in cui versava la società nell’anno 2013 e in quelli precedenti.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi, cui replica la società contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo mezzo l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 co.2 D.P.R. n. 600/73 e 2697 c.c.» sotto due diversi profili. Il primo, per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto illegittimo il ricorso alla metodologia induttiva nella ricostruzione del reddito di impresa, in particolare alla percentuale di redditività parametrata su criteri di ‘normalità gestionale’. Il secondo, per avere violato il riparto dell’onere della prova in quanto incombeva alla società contribuente provare, peraltro in assenza di qualsiasi documentazione contabile, la mancata realizzazione di utili che la presenza di uno stato di difficoltà non esclude automaticamente.
Con il secondo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 112 c.p.c. e 18, 21, 24 e 57 D.lgs. n. 546/1992» per non avere i giudici di appello, in un giudizio tributario di impugnazione-merito, rideterminato la percentuale di redditività da applicare nel caso concreto.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di cui appresso si dirà.
L’art. 39, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che «In deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni
prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma: c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore»
5. In materia di IVA, l’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che « Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio».
6. Da tali disposizioni discende il potere dell’amministrazione finanziaria di procedere ad accertamento induttivo in mancanza, come nella specie, delle scritture contabili (cfr. Cass. n. 16108/2011) e non solo quando le stesse esistano («in quanto esistenti», recita l’art. 32 citato) ma siano in tutto o in parte inattendibili. Ed è quanto si afferma fin da Cass. n. 20025/2010, che, dopo aver premesso che «il potere di procedere all’accertamento induttivo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 55, non assume carattere sanzionatorio del comportamento del contribuente, che costituisce il semplice presupposto fattuale dell’accertamento (v. Cass. n. 24424 del 2008)», ha affermato che «In sostanza, il ricorso a tale forma di accertamento è consentito in tutte le ipotesi previste dalla citata disposizione, tutte fondate sull’assenza, indisponibilità, mancata esibizione, inattendibilità della contabilità, che autorizza l’Ufficio ad una forma di accertamento che prescinde, in tutto od in parte, dalle scritture contabili» (in termini v. anche Cass. n. 16108/2011).
6.1. Pertanto, una volta constatata l’inesistenza della contabilità ed accertato induttivamente il reddito d’impresa, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio e, quindi, sulla base di presunzioni semplici, incombe sul contribuente, soggetto più vicino al soddisfacimento dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. e, quindi, in virtù del principio di vicinanza della prova (arg. da Cass. 11717/2022; n. 27330/2016), l’onere di dimostrare di non aver conseguito alcun reddito e ricavo, non essendo all’uopo sufficiente la dimostrazione di versare in uno stato di crisi aziendale che non si sia tradotto nella concreta cessazione di ogni tipo di attività, posto che quella circostanza, al di fuori di tale ipotesi, può al più giustificare una riduzione del reddito accertato, che va comunque effettuata sulla base di dati ed elementi emergenti dagli atti di causa o forniti dalla parte contribuente e giammai in maniera equitativa (Cass. n. 10875/2022; n. 16960/2019). Per tale ragione, in assenza della prova del mancato svolgimento di qualsivoglia attività aziendale, non era consentito al giudice tributario annullare integralmente l’atto impositivo ove avesse ritenuto applicabile alla fattispecie non la percentuale di redditività utilizzata dall’Agenzia delle entrate, ricavata da un campione di imprese omogenee operanti in regime di normalità gestionale, ma una percentuale inferiore in considerazione dello stato di cresi aziendale in cui versava la società contribuente. Invero, il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullarlo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, ricondurla alla corretta
misura, entro i limiti posti dalle domande di parte ( ex multis , Cass. n. 27098/2024; n. 31827/2024; n. 34723/2022).
Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, ed il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2025.