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Accertamento induttivo: la Cassazione sul ricarico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32389/2024, ha stabilito che nell’ambito di un accertamento induttivo, la percentuale di ricarico dichiarata dallo stesso contribuente costituisce un elemento di prova valido per la ricostruzione dei ricavi. Un giudice non può disattenderla basandosi sulla mera “comune esperienza” senza prove specifiche fornite dal contribuente, a cui spetta l’onere di dimostrare l’inapplicabilità di tale percentuale.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Induttivo e Percentuale di Ricarico: La Parola del Contribuente Conta

L’accertamento induttivo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale in assenza di dichiarazioni o in presenza di contabilità inattendibile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 32389 del 2024, offre chiarimenti fondamentali sul valore probatorio della percentuale di ricarico dichiarata dallo stesso contribuente in questo contesto, delineando i confini tra presunzioni legali e valutazioni discrezionali del giudice.

I Fatti del Caso: La Controversia sulla Ricostruzione dei Ricavi

Una società, successivamente fallita, riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rideterminava i redditi e le imposte per l’anno 2013. L’atto si basava su una ricostruzione induttiva dei ricavi, resa necessaria dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi. L’Ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico basata su dichiarazioni rese in passato dal legale rappresentante della società.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), tuttavia, riformava la decisione di primo grado, ritenendo che tale percentuale non potesse essere applicata indiscriminatamente, in particolare alla vendita delle giacenze di magazzino. Secondo i giudici d’appello, tali beni, essendo risalenti a esercizi precedenti e soggetti a obsolescenza tecnologica, sarebbero stati verosimilmente venduti a un prezzo non superiore al costo di acquisto. Questa conclusione si fondava su una presunta “comune esperienza”, senza però essere supportata da prove specifiche.

La Questione Giuridica nell’Accertamento Induttivo

Il cuore della controversia portata dinanzi alla Cassazione riguardava la legittimità dell’operato della CTR. L’Agenzia delle Entrate contestava due aspetti principali:
1. L’erroneo ricorso al principio della “comune esperienza” da parte del giudice tributario per giustificare un ricarico pari a zero sulle rimanenze di magazzino.
2. L’illegittima svalutazione della ricostruzione induttiva basata sulla percentuale di ricarico ammessa dallo stesso contribuente, che costituisce un elemento probatorio di notevole rilevanza.

In sostanza, si trattava di stabilire se la valutazione personale di un giudice potesse prevalere su un dato oggettivo come la percentuale di ricarico fornita dalla parte stessa, specialmente in un procedimento come l’accertamento induttivo.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR con rinvio. Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e si fondano su principi consolidati in materia probatoria e di accertamento tributario.

Innanzitutto, la Corte ha ribadito che la percentuale di ricarico indicata dal contribuente (ad esempio, in un verbale di constatazione o in dichiarazioni precedenti) non è un dato qualunque. Essa può essere considerata una vera e propria confessione stragiudiziale e, come tale, costituisce un elemento di prova idoneo a fondare il ragionamento presuntivo dell’Amministrazione Finanziaria. Questo dato è sufficiente per determinare sia il costo del venduto sia i ricavi derivanti dalle giacenze di magazzino.

In secondo luogo, i Giudici di legittimità hanno censurato l’operato della CTR per aver fatto ricorso a una generica “comune esperienza” sulla svalutazione delle merci. La Corte ha chiarito che, sebbene il principio della comune esperienza sia uno strumento a disposizione del giudice, esso non può trasformarsi in una mera considerazione personale e soggettiva, slegata dal contesto probatorio. Spettava al contribuente, in virtù del principio di vicinanza della prova, dimostrare concretamente perché quella specifica merce avesse perso valore o perché la percentuale di ricarico usualmente applicata non fosse più congrua. In assenza di tale prova, la presunzione basata sulla dichiarazione del contribuente stesso rimane valida e legittima.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale nel diritto tributario: le dichiarazioni rese dal contribuente hanno un peso significativo e possono essere legittimamente utilizzate dall’Ufficio per un accertamento induttivo. La decisione sottolinea che la ricostruzione del reddito non può essere invalidata da generiche presunzioni del giudice non supportate da prove concrete.

Per le imprese, la lezione è chiara: la trasparenza e la coerenza nelle dichiarazioni fiscali e contabili sono essenziali. Qualsiasi percentuale di ricarico comunicata all’Amministrazione Finanziaria può diventare la base per future rettifiche. Se si verificano mutamenti nel mercato o nell’attività che giustificano l’applicazione di percentuali diverse (ad esempio, per merce obsoleta), è onere dell’impresa documentare e provare tali circostanze in modo puntuale. Affidarsi a una generica “comune esperienza” in sede di contenzioso si rivela una strategia fragile e, come dimostra questo caso, destinata all’insuccesso.

Può l’Agenzia delle Entrate utilizzare la percentuale di ricarico dichiarata dallo stesso contribuente per un accertamento induttivo?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente applicare la percentuale indicata dal contribuente, poiché essa costituisce un elemento idoneo a fondare il ragionamento presuntivo per la ricostruzione dei ricavi.

Il giudice può ritenere inapplicabile una percentuale di ricarico basandosi sulla “comune esperienza” che le merci vecchie valgono meno?
No, la Corte ha stabilito che il ricorso alla “comune esperienza” non può tradursi in una mera considerazione personale del giudicante. Per disapplicare la percentuale di ricarico, sono necessarie prove specifiche fornite dal contribuente che dimostrino la svalutazione delle merci o un mutamento delle condizioni di mercato.

A chi spetta l’onere di provare che la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio non è corretta?
L’onere della prova contraria spetta al contribuente. È lui che deve dimostrare, attraverso elementi concreti, l’esistenza di eventuali mutamenti del mercato o della propria attività che giustifichino l’applicazione di percentuali di ricarico diverse da quelle usate per l’accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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