Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21552 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21552 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 12420/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , e COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, n. 683/2/16, depositata in data 6 ottobre 2017, non notificata; udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2024, dal Consigliere NOME COGNOME; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. AVV_NOTAIO
COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria provinciale di Potenza, con sentenza n. 50/2016 del 26 gennaio 2016, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME avverso gli avvisi di accertamento emessi a titolo di Irpef ed Iva in relazione all’anno d’imposta 201 0.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della società contribuente e di COGNOME NOME, per quanto rileva in questa sede, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti considerazioni:
-) l’ac certamento esperito in capo alla società trovava la sua ragion d’essere nello stesso verbale reso da COGNOME NOME presso la stazione dei CC. di Foggia in data 24 settembre 2010, con cui aveva denunciato il proprio commercialista (tale COGNOME NOME), per essersi sottratto ad una serie di adempimenti fiscali di propria competenza, nei confronti della società, sino a omettere la presentazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali e dei relativi bilanci:
-) in tale contesto, doveva ritenersi più che fondato l’accertamento esperito dall’RAGIONE_SOCIALE a carico della società stante la caotica descrizione contabile-amministrativa;
-) infondate erano le eccezioni sul difetto di firma del funzionario sottoscrittore dell’avviso opposto in quanto l’ufficio, come peraltro aveva rilevato anche il primo Giudice, aveva ben dimostrato e provato la contestata circostanza con il deposito della relativa documentazione; -) ogni altra questione, alla luce dei fatti esposti, restava completamente assorbita nella vicenda sopra descritta che confermava quanto paventato dall’Ufficio con i crismi dell’art. 39, comma secondo, e 41, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 55 del d.P.R. n.633 del 192, allorché, come in questo caso, fosse stata omessa la relativa dichiarazione.
La società RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi (i primi due relativi alla società e i restanti quattro a COGNOME NOME).
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente; la violazione dell’art. 39, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973; la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, nonché l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero la problematica riguardante l’innesco e l’applicazione dell’accertamento induttivo, niente affatto rapportata alla specificità del soggetto accertato. L’Ufficio doveva tenere conto di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati, mentre nel caso in esame, aveva riconosciuto i soli costi del personale (non era dato sapere, peraltro, quali componenti del costo del personale erano stati considerati in tale voce) e quelli per l’acquisizione di beni e servizi (anche questi senza alcun riferimento ai fattori produttivi considerati) desunti semplicisticamente da dichiarazioni non verificabili e, quindi, assolutamente arbitrari. La
censura riguardava non il merito fattuale della vicenda, bensì, per l’appunto l’arbitraria applicazione dell’istituto dell’accertamento induttivo e, in ultima analisi, l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, ovvero il mancato raccordo tra considerazioni di carattere meramente statistico e la compulsazione della concreta e reale specificità economica del soggetto accertato.
1.1 Il motivo è inammissibile.
1 .2 Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
1.3 Ancora, l’ onere dell ‘ indicazione specifica dei motivi di impugnazione, qualunque sia il tipo di errore («in procedendo» o «in iudicando») per cui è proposto, non può essere assolto «per relationem» con il rinvio (peraltro generico) ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e
sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass., 13 gennaio 2021, n. 342).
1.4 Inoltre, il ricorrente che intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass., 24 luglio 2014, n. 16872; Cass., 4 aprile 2006, n. 7846), nel caso di specie del tutto mancanti.
1.5 La società contribuente, invero, censura la sentenza impugnata perché avrebbe adottato una motivazione per relationem (non esplicitando il contenuto della sentenza di primo grado) e ciò anche se dalla lettura della sentenza impugnata l’unico richiamo al primo Giudice emerge, a pag. 2, in relazione alla censura del difetto di firma del funzionario sottoscrittore degli avvisi opposti (oggetto del secondo motivo del ricorso per cassazione); la società contribuente, poi, assume di avere fatto oggetto di una specifica censura la confusione concettuale tra presupposti legittimanti l’innesco dell’accertamento induttivo e la sua applicazione (doglianza che la Commissione tributaria regionale aveva omesso di vagliare) e ribadisce, virgolettato, quanto riportato nell’atto di gravame. Ora in disparte la totale assenza di una rubrica contenente lo specifico vizio dedotto, non essendo stato richiamato l’art. 360 cod. proc. civ. e gli specifici vizi ivi normati, la formulazione RAGIONE_SOCIALE censure di vizio di motivazione e di omesso esame di motivo di appello comporta, al di là della estrema genericità RAGIONE_SOCIALE stesse, la loro inammissibilità, in quanto si tratta di doglianze fra di loro incompatibili, in quanto se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo , censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in
esame una o più RAGIONE_SOCIALE questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268).
1.6 Ancora, nella parte in cui il motivo riporta virgolettato il contenuto de ll’atto di gravame , richiama l’ art. 39, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973, dottrina, giurisprudenza di legittimità (genericamente) e una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 226 dell’8 giugno 2005) e riferisce della necessità di determinazione in via forfetaria dei costi in sede di accertamento induttivo, omettendo, tuttavia, di trascrivere del tutto il contenuto de ll’avviso di accertamento impugnato, dove sarebbero stati, a suo dire, riconosciuti i soli costi del personale e quelli per l’acquisizione di beni e servizi, desunti, peraltro, dalle dichiarazioni della stessa ricorrente COGNOME NOME, con ciò non consentendo a questa Corte, ancora una volta, in totale assenza dei riscontri fattuali, alcuna verifica sulla fondatezza RAGIONE_SOCIALE censure formulate.
1.7 Il motivo è, dunque, inammissibile, in quanto risulta enunciato senza la completezza necessaria a renderlo idoneo ad assolvere allo scopo di configurarsi come valida critica alla sentenza impugnata.
Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 24, del decretolegge n. 16 del 2012 e successive modificazioni e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 , nonché l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia l’assenza di una delega validamente attribuita ad un funzionario avente i requisiti di legge. Anche sul punto, il giudice di secondo grado aveva ritenuto di dover motivare per relationem, aderendo in pieno e pedissequamente a quanto statuito dalla Commissione tributaria provinciale.
2.1 In disparte i profili di inammissibilità già evidenziati, in quanto identica è la tecnica di formulazione della censura (è sufficiente
evidenziare che si deduce un vizio di motivazione per relationem e, nel contempo, si assume, la violazione di norme di legge in difetto di specificità RAGIONE_SOCIALE doglianze formulate), il motivo è inammissibile perché censura un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, compiuto dai giudici di secondo grado (e identico accertamento era stato condotto dai giudici di primo grado), che hanno rilevato che l’Ufficio aveva dimostrato documentalmente che il funzionario aveva firmato l’avviso di accertamento a carico della società.
2.2 Il motivo è, tuttavia, pure infondato, dovendosi richiamare i principi statuiti da questa Corte, al quale si intende dare continuità, secondo cui in « In tema d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’avviso di accertamento, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” per il quadriennio 2002-2005, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente ». (Cass., 10 dicembre 2019, n. 32172) e secondo cui « Con riguardo alla legittimità della delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento, è necessario distinguere tra delega di funzioni e di firma, chiarendo che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma e non di funzioni, poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità d’indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato
delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa. A fronte di un eventuale eccezione di carenza di delega alla sottoscrizione da parte del titolare dell’Ufficio sollevata dal contribuente, scatta l’onere in capo all’Amministrazione erariale di documentare la delega di firma ed il conseguente obbligo da parte del giudice di merito di verificare tale documentazione per pronunciarsi sull’accoglimento o sul rigetto della relativa eccezione » (Cass., 17 maggio 2022, n. 15898; Cass., 28 luglio 2022, n. 23651; Cass., 29 luglio 2022, n. 23735), oneri che, nel caso in esame, sono stati rispettati.
Il terzo motivo, afferente l’avviso di accertamento notificato a COGNOME NOME, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992. La sentenza impugnata, a seguito della riunione dei ricorsi della società e del socio, non aveva completamente motivato sulla posizione del socio, trascurando quanto lamentato dalla ricorrente. Anche la sentenza di primo grado era affetta dallo stesso vizio ed era stata esplicitamente impugnata anche in funzione di quanto testé censurato. La sentenza impugnata si era risolta in un sostanziale « non liquet » con conseguente violazione del diritto di difesa.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Ed invero, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
3.3 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, in particolare, chiarito che « La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non
renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232 e, più di recente, Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758).
3.4 Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la Commissione tributaria regionale, sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dovere confermare la ripresa a tassazione, aderendo alla ricostruzione dell’RAGIONE_SOCIALE operata in sede di accertamento induttivo a seguito di omessa presentazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali e dei relativi bilanci, e di considerare operante la presunzione di distribuzione extrabilancio nei confronti della socia COGNOME NOME.
3.5 Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, posto che la considerazione complessiva del tessuto motivazionale, nella totalità RAGIONE_SOCIALE sue componenti testuali, risulta idonea a rendere conoscibile il percorso logico-giuridico seguito dalla Commissione tributaria regionale.
Il quarto motivo (sempre riguardante l’avviso di accertamento notificato a NOME) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2478 bis cod. civ. La sentenza impugnata era affetta dal vizio censurato per un assoluto difetto di motivazione. Infatti, recependo assiomaticamente quanto affermato dal giudice di primo grado, che, a sua volta, aveva declinato acriticamente sulle posizioni dell’Ufficio, aveva finito con il considerare legittimo l’avviso di accertamento nella parte in cui era stato ritenuto che la contribuente avesse scontatamente percepito gli utili extra bilancio della società, nei confronti della quale, peraltro, era stato
ricostruito il suo reddito facendo ricorso al metodo cosiddetto «induttivo puro». Il giudice di secondo grado, pertanto, mutuando e facendo propria quella motivazione, aveva violato l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente e l’art. 2478 bis cod. civ., secondo cui non era possibile procedere alla distribuzione di utili ai soci se non previa delibera assembleare con cui veniva approvato il bilancio. Alla luce RAGIONE_SOCIALE considerazioni di cui sopra, quindi, la sentenza de qua non avrebbe dovuto avallare le presunzioni dell’ufficio, che non potevano dirsi né precise, né severe, né concordanti, essendo in chiaro contrasto con la legge, sia fiscale che civilistica. Inoltre, l’adesione al regime di trasparenza fiscale da parte di una società di capitali costituiva, unitamente ad altre condizioni soggettive, l’elemento imprescindibile, in assenza del quale il regime della trasparenza fiscale non poteva in alcun modo trovare applicazione con riferimento alle società di capitali.
4.1 In disparte il profilo di inammissibilità della censura formulata ai sensi dell’art. 7 della legge n. 212 del 2010, nella parte in cui non trascrive il contenuto dell’avviso di accertamento notificato a COGNOME NOME, il motivo è infondato alla luce del pacifico indirizzo di questa Corte secondo cui « Nell’ambito dell’attività di accertamento, l’obbligo di motivazione degli atti tributari è soddisfatto anche quando l’avviso di accertamento dei redditi del socio di una società di capitali rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, ancorché notificato soltanto a quest’ultima, perché il socio, ex art. 2476 cod. civ., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi » (Cass., 8 novembre 2023, n. 31129; Cass., 9 febbraio 2022, n. 4237; Cass., 2 ottobre 2020, n. 21126).
4.2 Come emerge dal ricorso per cassazione, nel caso di specie, l’RAGIONE_SOCIALE aveva contestato a COGNOME NOME la percezione di utili extra bilancio per l’importo di euro 136.291,54
quale conseguenza della contestazione di un reddito d’impresa pari a euro 139.073,00 alla società RAGIONE_SOCIALE.
4.3 E’ invece inammissibile il profilo di censura sollevato con riferimento all’art. 2478 bis , cod. civ., in quanto nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430) e, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta ai giudici di merito (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041).
Il quinto motivo (relativo all’avviso di accertamento notificato a NOME) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente e la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. L’Ufficio aveva ricondotto la presunzione ex art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 che permetteva, in materia di imposte dirette, il ricorso da parte degli uffici a presunzioni semplici e, tuttavia, la formulazione della norma era chiara nel ritenere che la rettifica ex art. 41 bis postulava il possesso da parte degli uffici di elementi certi da cui desumersi errori od omissioni di elementi reddituali al quali dovevano, dunque, ritenersi estranee le ricostruzioni induttive da cui traeva origine la presunzione ex art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 .
5.1 Il motivo, che ribadisce profili di censura già esaminati (in relazione all’art. 7 della legge n. 212 del 2000 ) ed è inammissibile in ragione di quanto già esposto, è infondato avuto riguardo alla dedotta violazione dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
5.2 Questa Corte, infatti, ha affermato che « L’accertamento parziale di cui all’artt. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972,
bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole. Tale accertamento differisce da quello ordinario in ragione della disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi, non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne, idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento » (Cass., 22 aprile 2022, n. 12854; Cass., 4 dicembre 2020, n. 27788) e che « L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare » (Cass., 7 novembre 2019, n. 28681;Cass., 28 ottobre 2015, n. 21984).
6. Il sesto motivo (concernente l’avviso di accertamento notificato a NOME) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 24, del decreto legge n. 16 del 2012 e successive modificazioni e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 , nonché l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia l’assenza di una delega validamente attribuita ad un funzionario avente i requisiti di legge. Anche sul punto, il giudice di secondo grado aveva ritenuto di dover motivare per relationem, aderendo in pieno e pedissequamente a quanto statuito dalla Commissione tributaria provinciale.
6.1 Anche tale censura, formulata con specifico riferimento all’avviso di accertamento notificato al socio COGNOME NOME, è inammissibile perché censura un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, compiuto dai giudici di secondo grado, ed infondata essendo stati rispettati gli oneri imposti all’Ufficio dall e norme già richiamate, alla luce anche della giurisprudenza di questa Corte (Cass., 17 maggio 2022, n. 15898; Cass., 28 luglio 2022, n. 23651; Cass., 29 luglio 2022, n. 23735; Cass., 10 dicembre 2019, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e le ricorrenti vanno condannate al pagamento, in solido, RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2024.