Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1126 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1126 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6998/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, in proprio, e nella qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che lo
IRAP RIMBORSO
rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 819/2014, depositata in data 8 maggio 2014; udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre
2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del primo, secondo, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso principale e il rigetto dei restanti e del ricorso incidentale;
sentito l’Avv. NOME COGNOME per l’Agenzia ricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò a NOME COGNOME nella sua qualità di imprenditore individuale esercente una rivendita di generi di monopolio per gli anni compresi fra il 2005 e il 2009, avvisi di accertamento a rettifica dei redditi dichiarati, previo rilievo del fatto che il contribuente risultava essere socio e amministratore di numerose società, esercenti sale da gioco, e ne riversava la liquidità derivante sui propri conti personali attraverso operazioni extra-contabili.
L’accertamento aveva luogo con metodo induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lett. b ) e d ), del d.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, mediante attribuzione a ciascuno degli anni oggetto di accertamento dei ricavi rilevati per l’anno 2008, unico anno per il quale sussisteva una contabilità parzialmente attendibile.
Erano accertati, inoltre, redditi da partecipazione, sul presupposto dell’occulta distribuzione di tutti i maggiori ricavi accertati a carico della società.
Infine, erano accertati ulteriori redditi diversi, pari agli importi corrispondenti alle false compensazioni dei debiti della società verso l’Azienda dei Monopoli di Stato, mediante utilizzo dei crediti Iva costituti attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Il COGNOME impugnò gli atti impositivi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Savona, che respinse il ricorso.
La sentenza di primo grado fu riformata dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, adìta con appello del contribuente, la quale annullò tutti gli atti impositivi, ad eccezione di quello inerente al recupero del reddito d’impresa relativo all’ann o di imposta 2008.
I giudici regionali ritennero illegittimo il ricorso, da parte dell’Ufficio, al metodo induttivo relativamente alla rivendita di tabacchi, i ricavi della quale potevano essere desunti direttamente dall’esame delle ‘levate’, rinvenibili presso i Monopoli di Stato.
Osservarono inoltre, quanto alla distribuzione degli utili delle società partecipate a seguito dei maggiori redditi accertati in capo a queste ultime, che la relativa presunzione non poteva trovare applicazione, poiché la sussistenza di utili extracontabili a carico delle società era ancora sub judice .
Ancora, ritennero illegittima la contestazione di indebite compensazioni Iva per operazioni inesistenti con le imposte a carico della società, perché le prime erano già state oggetto di
atti di recupero e non potevano aver determinato un reddito del ricorrente.
Infine, affermarono che la gestione con pieni poteri delle società non comporta automaticamente la presunzione di simulazione delle intestazioni delle quote che risultano in capo a diversi soggetti, simulazione smentita, peraltro, da alcuni documenti.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a sette motivi; l’intimato ha depositato controricorso e ricorso incidentale sulla base di quattro motivi. Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973.
L’Amministrazione critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo l’accertamento induttivo dei redditi derivati dalla rivendita di tabacchi, assumendo che la relativa entità poteva essere ricostruita in base alle rilevazioni dei Monopoli di Stato.
1.1. La censura è fondata.
Com’è noto, l’accertamento analitico -induttivo del reddito di impresa, previsto dall’art. 39, comma primo, lett. d ), secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, consente l’utilizzazione di prove presuntive qualificate, indicate dall’Ufficio; a tale riguardo, e con particolare riferimento alla determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, questa Corte ha ritenuto che la stessa possa essere ottenuta adottando un criterio «coerente con la natura e
le caratteristiche dei beni presi in esame applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni» (così, ad es., Cass. n. 11717/2022; Cass. n. 736/2021; Cass. n. 30276/2017).
Pertanto, laddove l’Ufficio accerti con tali modalità le percentuali di ricarico riferite ad un determinato anno fiscale, si è in presenza di un valido elemento indiziario che può essere utilizzato, secondo i criteri di razionalità e prudenza, per il calcolo della percentuale media sulla base delle fatture prodotte, al fine di ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi (così, in particolare, Cass. n. 27330/2016).
È infatti un dato di comprovata esperienza quello in base al quale la tipologia di merci trattate e la misura del ricarico sulle stesse non costituiscono una variabile occasionale; pertanto, ove in ciò consista la prova indiziaria offerta dall’Ufficio, il contribuente è onerato della dimostrazione di eventuali mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare, in altri periodi di imposta, l’applicazione di percentuali diverse in base al criterio di prossimità (in tal senso, ancora e fra le altre, la già citata Cass. n. 11717/2022).
Da tale principio si è discostata la sentenza impugnata, che non ne ha tenuto alcun conto nel disconoscere la prova indiziaria offerta dall’Ufficio; sul punto, pertanto, sussiste la lamentata violazione di legge.
Il secondo motivo deduce nullità della sentenza per contrasto con gli artt. 274 e 295 cod. proc. civ.
Secondo l’Amministrazione, i giudici d’appello avrebbero errato nell’escludere l’operatività della presunzione di
distribuzione degli utili extra-contabili in società a ristretta base, in pendenza di contenzioso, sullo stesso profilo, in relazione alle società.
Con il terzo motivo, attinente al medesimo punto della decisione, è poi denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 cod. civ. e 109 commi 1 e 4, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
L’Agenzia ricorrente si duole dell’affermata esclusione della presunzione di maggiori redditi in capo ai soci, osservando che questi ultimi derivavano dal disconoscimento di costi, stante l’omessa o irregolare tenuta della contabilità.
3.1. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione.
La prima censura è fondata.
L’affermazione, contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui non sarebbe consentita la contestazione della percezione di utili extra-contabili da parte del socio di società di capitali a ristretta base partecipativa fino all’accertamento definitivo degl i stessi in capo alla società non trova riscontro nell’interpretazione ormai costante della giurisprudenza di legittimità (si vedano, ad esempio, Cass. n. 24732/2022 e Cass. n. 1574/2021), secondo la quale la separata pendenza dei giudizi relativi all’acce rtamento del maggior reddito contestato alla società e di quello contestato al singolo socio comportano, al più, che si disponga la sospensione del processo ex art. 295 cod. proc. civ., applicabile al giudizio tributario in forza dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
3.2. Sulla stessa base va invece ritenuta l’inammissibilità della seconda censura, che non coglie la ratio decidendi della
sentenza impugnata, proprio in quanto quest’ultima si è limitata ad affermare l’impossibilità di applicare la presunzione di distribuzione di utili extra-contabili in società a ristretta base se non a seguito dell’accertamento definitivo.
Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 -quater del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, dell’art. 14, commi 4 e 4 -bis , della l. 24 dicembre 1993 n. 537, e degli artt. 1 e 6 del TUIR.
La censura ha ad oggetto la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la condotta del contribuente, consistita nell’indebita compensazione di crediti Iva relativi ad operazioni inesistenti, non abbia comunque generato un reddito imponibile.
4.1. Il motivo è infondato.
Costituisce circostanza pacifica il fatto che l’Amministrazione abbia emesso un atto di recupero del credito Iva indebitamente dedotto in compensazione dal contribuente in quanto fondato su operazioni inesistenti.
Ed invero, a fronte di tale atto non residua ulteriore reddito tassabile; la tesi dell’Agenzia delle entrate, secondo la quale l’omesso versamento dell’imposta genererebbe un provento illecito, tassabile come reddito, non può quindi essere condivisa perché , proprio a seguito dell’emissione dell’atto di recupero, ciò darebbe luogo una doppia imposizione.
Con il quinto motivo del ricorso principale è dedotta nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
L’Amministrazione si duole del fatto che la C.T.R. abbia ritenuto illegittima l’attribuzione al Molinari, come reddito di partecipazione occultamente distribuito dalle società, l’intero maggior reddito accertato in capo alle stesse; e ciò in quanto la
gestione delle società con pieni poteri, da parte del medesimo, non era idonea ad escludere la ripartizione degli utili anche ai restanti soci.
La ricorrente oppone a tale rilievo il fatto che il COGNOME risultava aver incassato integralmente, sui propri conti, la liquidità generata dalla società.
Anche il sesto motivo deduce nullità della sentenza in relazione al medesimo profilo; secondo la ricorrente, infatti, si sarebbe formato il giudicato interno in ordine alla percezione, da parte del COGNOME, dei redditi sociali per intero, trattandosi di circostanza affermata dalla sentenza di primo grado e non oggetto di specifica impugnazione da parte del contribuente.
Infine, con il settimo motivo, articolato in via di subordine rispetto ai precedenti, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per ultrapetizione, osservando che la C.T.R., dopo aver affermato che i redditi occultati potevano essere imputati al Molinari solo pro quota , aveva annullato l’intero accertamento.
7.1. Le tre censure appaiono meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione.
La prima di esse è fondata.
La lettura degli atti del giudizio di merito, consentita dalla denunzia di un error in procedendo , consente di appurare che l’atto impositivo recava la contestazione di una condotta consistita nell’appropriazione diretta del ricavato delle società da parte del COGNOME, realizzata attraverso il transito della liquidità nei soli conti corrente a lui riferibili.
La sentenza d’appello ha invece applicato un criterio di responsabilità basato su fatti radicalmente diversi, poiché ha
ritenuto che il COGNOME si fosse attribuito gli interi ricavi della società in base alla circostanza ch’egli ne era il ‘gestore con pieni poteri’.
In altri termini, sul richiamato profilo della vicenda la sentenza impugnata si è fondata su una piattaforma argomentativa di riferimento che non coincide con i presupposti di fatto -e le correlate ragioni in diritto -che hanno costituito il fondamento d ell’atto impositivo impugnato.
A tale riguardo, è noto il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo non possono essere mutate nella successiva sede contenziosa provocata dall’impugnativa del contribuente, e ciò a p residio del diritto di difesa di quest’ultimo, giacché una tale modifica o estensione della motivazione violerebbero l’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212 (così, fra le altre, Cass. n. 20933/2022; Cass. n. 2382/2018; Cass. n. 4327/2016; Cass. n. 22003/2014).
7.2. È invece errato l’assunto erariale in base al quale si sarebbe formato il giudicato sulla circostanza dell’intera percezione dei redditi societari da parte del COGNOME.
Lo stesso ricorso (alla pag. 44) dà atto espressamente del fatto che il contribuente, nel proprio atto di appello, aveva contestato le percentuali della sua partecipazione, dolendosi del fatto che i verificatori gli avevano attribuito redditi accertati in capo alle società in misura pari al 100% quando egli era invece titolare di quote inferiori.
A fronte di tale dato, univocamente valutabile in senso ostativo al formarsi del giudicato sulla titolarità dell’intera partecipazione, non vi sono altri elementi dai quali inferire, come
fa l’Amministrazione, che risulti ammesso da parte del contribuente il percepimento di tutta la liquidità generata dalla società.
Sotto tale profilo, pertanto, non sussiste la denunziata nullità della sentenza per contrasto con l’art. 2909 cod. civ.; il sesto motivo, pertanto, va ritenuto infondato.
7.3. Il settimo motivo, infine, è logicamente assorbito dall’accoglimento del quinto motivo.
Passando ora allo scrutinio del ricorso incidentale, con il primo motivo il contribuente, deducendo la violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, assume che la C.T.R. avrebbe omesso di rilevare che, per l’anno d’imposta 2005, non poteva essere applicato (come per le altre annualità) il raddoppio dei termini di accertamento, in quanto per tale anno non vi era prova della fondatezza della notizia di reato.
8.1. La censura è manifestamente infondata, poiché si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il raddoppio dei termini previsto dalle disposizioni invocate è giustificato dalla mera emersione di elementi dai quali derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale, senza che rilevino i successivi esiti dell’accertamento o il fatto che gli atti impositivi siano fondati su circostanze prive di rilevanza penale (così, di recente e fra le numerose altre, Cass. n. 20409/2023).
Il secondo mezzo denunzia violazione del combinato disposto dell’art. 62 -sexies, comma 2, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, dell’art. 23, comma 1, lett. pp), del d.P.R. 26 marzo 2001 n. 107 e dell’art. 27 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185.
Il contribuente si duole del fatto che gli atti impositivi sono stati emessi «sulla base di PVC elevati dalla Direzione Regionale» quantunque tali uffici fossero titolari di poteri di accesso, ispezione e verifica solo per contribuenti con volumi d’affari ben più consistenti di quelli interessati dal caso di specie.
Con il terzo motivo, formulato in via di subordine, il ricorrente incidentale domanda che siano rideterminati i redditi delle società «tenendo conto anche dei costi sostenuti».
Infine, con il quarto motivo, rubricato «mancata considerazione degli effetti dell’art. 20, comma 2, della L. 44/2009» il ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. non abbia tenuto conto della sospensione e proroga triennale degli adempimenti fiscali a carico delle vittime di usura, allegando di essere stato ammesso ai detti benefici in relazione agli anni d’imposta oggetto di accertamento.
11.1. Tutte le censure esposte sono inammissibili.
Il giudizio d’appello, per come ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver mai avuto ad oggetto le questioni dedotte con i motivi in scrutinio.
Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte (si veda, ad es., Cass. n. 2038/2019), qualora una determinata questione -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare
ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto.
Va ricordato, inoltre, che la novità della domanda formulata nel corso del giudizio è rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice, trattandosi di questione sottratta alla disponibilità delle parti, in virtù del principio secondo cui il thema decidendum è modificabile soltanto nei limiti e nei termini a tal fine previsti (Cass. n. 24040/2019).
12. In conclusione, il ricorso principale va accolto quanto al primo, al secondo e al quinto motivo, con rigetto dei restanti e assorbimento del settimo motivo; il ricorso incidentale è infondato quanto al primo motivo e va dichiarato inammissibile per il resto; la sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo affinché, in diversa composizione, provveda al riesame in conformità agli indicati principii, liquidando altresì le spese del giudizio di legittimità.
Il rigetto del ricorso incidentale comporta la condanna del contribuente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale quanto al primo, al secondo e al quinto motivo, con rigetto dei restanti e assorbimento del settimo motivo; rigetta il ricorso incidentale quanto al primo motivo, dichiarandolo inammissibile per il resto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023.