Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18967 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18967 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29521/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende -ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 1438/2019 depositata il 12/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 1438/2019 depositata in data 12/03/2019, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e dal socio NOME COGNOME contro la sentenza n. 10479/2018 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva, a sua volta, respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento relativi all’IVA e all’IRPEF per l’anno 2014 , emessi nei confronti della società contribuente e del socio.
La CTR -dato atto che l’accertamento scaturiva da una verifica nei confronti del gruppo diretto dalla famiglia RAGIONE_SOCIALE relativa agli anni 2010-2015, durante la quale era emerso che RAGIONE_SOCIALE (riconducibile a NOME e NOME COGNOME) era una scatola vuota priva di organizzazione imprenditoriale, che aveva svolto un ruolo centrale nel meccanismo di frode funzionale a ottenere indebiti vantaggi fiscali -ha ritenuto, in sintesi:
-l’infondatezza della censura relativa al difetto di delega alla luce della produzione delle deleghe (nominative e temporalmente limitate) in favore delle firmatarie che hanno sottoscritto gli avvisi di accertamento nei confronti della società e del socio;
-l’infondatezza dell’eccezione relativa al difetto di contraddittorio, in quanto la società ha partecipato a tutta la fase di verifica, con la possibilità di formulare osservazioni successivamente; è stato rispettato il termine ex art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 e, infine, con specifico riferimento ai tributi armonizzati non è stata data la prova, da parte del contribuente, che l’instaurazione del contraddittorio avrebbe condotto a un risultato diverso (Cass., Sez. U, 09/12/2015, n. 24823);
-in merito all’acquisto da fornitori esteri del materiale tecnico dapprima noleggiato e poi venduto alla RAGIONE_SOCIALE (società riconducibile alla famiglia COGNOME, di cui era amministratore NOME COGNOME, a sua volta anche amministratore di RAGIONE_SOCIALE) le produzioni documentali non provano che si trattasse del materiale oggetto del contratto con la RAGIONE_SOCIALE, anche in ragione della diversità rilevabile tra i due elenchi di materiali. Inoltre, tali materiali -di cui è stata prodotta la documentazione relativa al controllo doganale -risulterebbero acquistati oltre un mese prima della sottoscrizione del contratto di noleggio. Tale circostanza conferma quanto rilevato dall’amministrazione finanziaria in ordine alla mancanza di apparati organizzativi e dipendenti in grado di gestire lo stoccaggio e la movimentazione degli ingombri materiali. Diversamente, la prospettazione della società contribuente in ordine allo svolg imento di un’attività di veloce intermediazione tra produttori e utilizzatori finali, senza necessità di stoccaggio delle merci, contrasta con il cospicuo numero e l’importanza nazionale della clientela della società;
in merito alle indagini finanziarie è generica la dichiarazione dell’amministratore NOME COGNOME di essere stato il beneficiario dei prelievi, pari a complessivi Euro 80.000 e contabilmente giustificati come « Pag. vari» e « Fondo cassa» , diciture che contrastano con i contenuti della dichiarazione, dove si afferma che i prelievi fossero motivati da necessità personali;
-l’infondatezza delle questioni relative alla ricostruzione induttiva dei redditi sulla base dello spesometro integrato 2014. Difatti, le irregolarità e inattendibilità contabili abilitavano la ricostruzione induttiva ex art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973. Inoltre, la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della specifica fattispecie di cui all’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 non incide
sulla sua legittimità. Non è fondata neppure la doglianza relativa al difetto di contraddittorio, dato che i relativi accertamenti sono stati eseguiti nell’ambito di una verifica nei confronti della società, i cui esiti sono stati condensati nel PVC, di cui lo spesometro sintetico 2014 ha costituito il formale allegato. La percentuale di ricarico applicata dall’ufficio è stata, inoltre, quella minima. Infine, nell’avviso di accertamento sono state indicate le ragioni per le quali si era proceduto all’accert amento induttivo e il modus operandi seguito, con la conseguente infondatezza delle censure relative alla motivazione;
la posizione del socio deriva da quella della società e non è stata fornita la prova contraria in ordine alla distribuzione del maggior reddito fra i soci.
Contro la sentenza della CTR, i contribuenti hanno proposto ricorso in cassazione con sette motivi.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita nei termini con controricorso, ma si è limitata a depositare memoria con cui ha manifestato la volontà di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, in via pregiudiziale, è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 21 septies legge n. 241 del 1990 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. La ricorrente – rilevato di aver eccepito, in entrambi i gradi del giudizio di merito, il difetto di sottoscrizione e di delega degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e del socio -ha richiamato l’orientamento che ritiene necessaria non solo la delega scritta, ma il conferimento della delega a un funzionario della carriera
direttiva di nona qualifica funzionale e la motivazione della delega stessa, che deve essere riferita a un preciso soggetto e a un preciso ambito temporale. Non sono, quindi, legittime le deleghe impersonali, senza l’indicazione del delegato. Il mero rifer imento ai capi uffici o capi team al momento della delega è, pertanto, invalido, poiché tali soggetti potrebbero non essere più tali al momento della sottoscrizione dell’atto impositivo.
In allegato alle controdeduzioni nell’ambito del giudizio di primo grado, si riferisce in ricorso, l’ufficio aveva depositato le deleghe e le disposizioni di servizio n. 167/2016 e 59/2017 in favore dei funzionari delegati COGNOME e COGNOME La ricorrente, in senso contrario a quanto evidenziato dalla CTR, ha rilevato che tali deleghe non sono nominative e individuali, ma integrano piuttosto deleghe collettive emesse in favore di numerosi funzionari di vari uffici. Tale delega, impersonale e generica, è assimilabile a una delega in bianco. Inoltre, non vi è un termine di validità per l’esercizio del potere delegato, conferito collettivamente e sine die a più funzionari. Infine, la delega è priva di motivazione, limitandosi a fare riferimento a un generico miglioramento dell’efficacia dell’azione dell’Agenzia delle Entrate.
1.2. Il motivo di ricorso -oltre a scontare un difetto di specificità, ex art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., in ragione della mancata riproduzione o allegazione delle deleghe contestate -è comunque infondato, dal momento che l’orientamento evocato dalla parte ricorrente (Cass., 09/11/2015, n. 22803) è stato successivamente superato da questa Corte, la quale ha affermato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza
esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19/04/2019, n. 11013). Anche recentemente è stato precisato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal dirigente a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, avendo natura di delega di firma e non di funzioni, è un atto organizzativo interno all’ufficio, sicché, se lo stesso apparato da cui promana non ne disconosce gli effetti, deve presumersi la sussistenza, in capo al funzionario sottoscrittore, dei requisiti soggettivi dell’appartenenza ai ruoli della carriera direttiva (Cass., 10/01/2025, n. 689).
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 24 Cost. e del combinato disposto dall’art. 10, comma 3 bis, legge n. 146 del 1998, a rt. 62 sexies, comma 3, d.l. n. 331 del 1993 e art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. La ricorrente ha evidenziato di aver eccepito in entrambi i ricorsi l’illegittimità degli avvisi di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio preventivo rispetto all’accertamento ‘madre’ notificato alla società, dal momento che l’acce rtamento si fondava sulle risultanze degli studi di settore. Inoltre, il principale tributo richiesto era l’IVA e, quindi, un tributo armonizzato per cui era obbligatorio, a pena di nullità, il contraddittorio preventivo.
2.2. Con riferimento alle motivazioni della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la violazione del contraddittorio -ha evidenziato che il legale rappresentante della società ha semplicemente firmato il pvc una volta conclusa la verifica. Tuttavia, l’obbligo del contraddittorio non è assolto per il solo fatto che il contribuente presenzi alle operazioni di verifica svolte dalla Guardia di Finanza (peraltro non verificatosi nel caso in esame). È infatti necessario che, successivamente alla conclusione di tali operazioni e all’emissione del pvc, l’Agenzia delle Entrate convochi il contribuente in ufficio con apposito invito, prima di emettere l’avviso di accertamento. Ciò non si è, tuttavia, verificato nel caso in esame. Tanto più che anche con r iferimento all’IRES e all’IRAP (tributi non armonizzati) il contraddittorio preventivo è, comunque, previsto come obbligatorio, in quanto l’accertamento si fonda sulle risultanze degli studi di settore (art. 10, comma 3, legge n. 146 del 1998, in combinato disposto con l’art. 62 sexies, comma 3, d.l. n. 331 del 1993 e l’art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997).
In particolare, ai sensi dell’art. 5 cit. l’amministrazione finanziaria, prima di procedere alla notifica dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore, deve invitare il contribuente a comparire di persona per la definizione del contraddittorio dell’accertamento ex art. 10, comma 3 bi s, legge n. 146 del 1998. Difatti, i risultati derivanti dall’applicazione dei parametri o degli studi di settore hanno valore di presunzione semplice, rappresentando solo un indice di possibili anomalie del comportamento fiscale del contribuente, così come peraltro riconosciuto dalla stessa amministrazione finanziaria. Peraltro, in caso di accertamento fondato su studi di settore, il contraddittorio preventivo endoprocedimentale è previsto dalla stessa legislazione
nazionale e non è neppure necessario fornire, in sede di ricorso, la prova della resistenza.
Con particolare riferimento alla prova di resistenza la ricorrente (pag. 20-21 del ricorso) evidenzia di averla fornita, a pag. 8 del ricorso in primo grado.
2.3. Il motivo è infondato.
Giova osservare che, in base alla sequenza ricostruita in sentenza (cfr. in particolare la narrativa di pag. 2), l’avviso di accertamento è scaturito da una complessa attività di verifica così snodatasi:
-in esito a una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, compendiata in un processo verbale di constatazione, è stata contestata l’emissione di due fatture afferenti a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, con la conseguente generazione di iva , con la precisazione che dall’emissione delle fatture scaturivano costi fittizi deducibili per le controparti che avevano ricevuto le fatture e che permettevano alla RAGIONE_SOCIALE di lucrare una somma pari al 10% degli imponibili fatturati;
-nel corso della verifica, l’Ufficio aveva compiuto indagini finanziarie sui conti riferibili alla società, dalle quali erano emersi ulteriori ricavi;
infine, sulla scorta della documentazione acquisita con la verifica, l’Agenzia, avvalendosi del cd. spesometro integrato (art. 21 d.l. n. 78 del 2010), aveva rideterminato il reddito, applicando la percentuale di ricarico minimo risultante dagli studi di settore per l’anno d’imposta 2014. In altre parole, la rideterminazione del reddito era avvenuta sulla base del cd. spesometro, cioè dei dati comunicati dallo stesso contribuente, cui fa capo l’obbligo di comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le quali è previsto l’obbligo di emissione della fattura, assolto con la trasmissione, per ciascun cliente e fornitore,
dell’importo di tutte le operazioni attive e passive effettuate (art. 21 d.l. n. 78 del 2010).
In questo contesto, infondata è la censura con riguardo alla dedotta violazione del contraddittorio in relazione alla ripresa relativa all’emissione delle fatture.
La sequenza dinanzi descritta, non contestata in fatto, comporta l’applicazione del principio in base al quale, in caso di accertamento comunque fondato anche sulla documentazione acquisita in sede di accesso, ispezione o verifica, trova applicazione il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente (Cass. 30/6/2021, n. 18413; Cass. 4/6/2025, n. 14997).
Dunque, da quanto esposto nel ricorso per cassazione (v. pag. 2) risulta che l’avviso di accertamento è stato notificato in data 27/07/2017, mentre il PVC è stato notificato in data 14/11/2016. Il rispetto del termine di sessanta giorni assorbe ogni questione relativa alla prova di resistenza: v., tra varie, Cass. 15/01/2019, n. 701 e Cass. 11/9/2019, n. 22644 , secondo cui, appunto, ‘ l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la «prova di resistenza», sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie) ‘ .
Altresì infondata è la censura calibrata sulla violazione della normativa basata sugli studi di settore, in quanto, come sopra chiarito, la CTR non ha fatto riferimento all’accertamento basato sugli studi di settore (v. pag. 7-8), ma a quello analitico-induttivo
fondato sul cd. spesometro sintetico 2014. Quest’ultimo deve essere distinto dagli studi di settore ed è da ricondurre alle dichiarazioni previste nell’art. 21 d.l. n. 78 del 2010 (v. pag. 1 della sentenza impugnata), con la successiva applicazione della percentuale minima di ricarico prevista dagl i studi di settore per l’anno di imposta di riferimento . In sostanza, il giudice di seconde cure ha richiamato, e applicato, l’art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 che consente l’accertamento analiti co-induttivo quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
La percentuale di ricarico del dieci per cento, pari all’ammontare minimo di quella prevista negli studi di settore relativi all’anno d’imposta 2014 non implica che l’accertamento sia stato fondato su questi ultimi e, in ogni caso, risulta considerata nella misura minima.
Non è quindi ‘risibile e illegittima’, come si sostiene in ricorso, la statuizione contenuta in sentenza che ‘… i relativi accertamenti sono stati effettuati nell’ambito della verifica effettuata nei confronti della Società, i cui esiti sono stati condensati nel p.v.c. del quale lo spesometro sintetico ha costituito formale allegato (come si evince dalla copia del p .v.c. allegata dall’Ufficio alle controdeduzioni all’appello ‘ (pag. 8 della sentenza).
D’altronde, generica, e quindi irrilevante, è la deduzione riportata a pag. 21 del ricorso concernente, quanto alla prova di resistenza sul punto, ‘ le contestazioni ‘ volte a ‘ dimostrare…l’illogicità della ricostruzione induttiva del reddito …’, posto che v’è mero richiamo, non altrimenti esplicato, alle ‘ proprie doglianze di merito contro la pretesa fiscale, doglianze che -la societàavrebbe potuto
preventivamente proporre all’Ufficio se solo fosse stata convocata a contraddittorio ‘.
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e l’illegittimità del la sentenza di appello in relazione alla solo presunta emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
3.1. Tale motivo di ricorso si incentra su due fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, che l’amministrazione finanziaria ha contestato come afferenti a operazioni soggettivamente inesistenti. La ricorrente rileva come si trattasse del pagamento rateale per il noleggio e il riscatto di vario materiale tecnico richiesto dalla cliente RAGIONE_SOCIALE sulla base del contratto di locazione di attrezzature tecniche con patto di futura vendita del 27/05/2013. La società provava, inoltre, che il materiale era stato regolarmente acquistato nel corso del 2013 da fornitori esteri (come risulta non solo dalle fatture emesse da questi ultimi, ma anche da quelle dei trasportatori e degli spedizionieri aerei, oltre che dei bonifici di acquisito e delle ricevute dei dazi pagati alla dogana da RAGIONE_SOCIALE). Era quindi provato che la società fosse un grossista del settore che acquistava la merce dai fornitori esteri e la cedeva o la dava a noleggio senza doverla necessariamente farla transitare presso la propria sede operativa in Albano Laziale. La società era, pertanto, in grado di svolgere la propria attività senza la necessità di una particolare struttura. Si trattava, infatti, di un commerciante al dettaglio che, in qualità di grossista svolgeva un’attività di veloce interm ediazione tra fornitori/produttori dei beni e gli utilizzatori finali. È inoltre priva di senso l’affermazione contenuta a pag. 4 dell’avviso di accertamento, secondo cui la società era priva dei mezzi necessari a fornire
l’assistenza tecnica descritta nei documenti fiscali esibiti, posto che nelle fatture non viene fatto alcun riferimento a tali attività.
3.2. La ricorrente rileva, quindi, che la sentenza ha disatteso quanto affermato da Cass., n. 9588 del 2019.
Evidenzia, poi, che né l’Ufficio né la Guardia di Finanza, né la CTR avessero mai contestato alla RAGIONE_SOCIALE che le attrezzature tecnologiche acquistate -e assoggettate a controllo da parte dell’Agenzia delle Dogane fossero gli stessi beni poi noleggiati alla RAGIONE_SOCIALE Non si comprende, quindi, come la CTR fosse giunta a sospettare, apoditticamente, il contrario.
3.3. Infine, la ricorrente contesta l’esistenza di qualsiasi vantaggio fiscale, considerato che il ricavo del contratto di noleggio è stato regolarmente contabilizzato e tassato e l’IVA sulle fatture è stata pacificamente versata. Inoltre, la stessa Agenzia delle Entrate nel foglio 42 del PVC affermava che RAGIONE_SOCIALE nel 2014 non avesse intrattenuto rapporti con le società usate nella frode fiscale.
3.4. Il motivo è inammissibile per concorrenti motivi.
Anzitutto, va rilevato che, di là dalla definizione di fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti, la stessa ricorrente, nel sunteggiare il contenuto dell’avviso di accertamento, riferisce che il rilievo era fondato sul fatto che ‘… la società non avrebbe avuto personale dipendente e strutture per effettuare le cessioni e i noleggi di materiali indicato nelle predette fatture, nonché l’assistenza tecnica ‘; con l’accertamento, difatti, si prosegue riportandone per stralcio il contenuto , ‘… In relazione alle operazioni in parola, si ritiene che la RAGIONE_SOCIALE, creando costi fittizi deducibili per la controparte, abbia lucrato una somma pari al 10% degli imponibili fatturati a titolo di premio alla frode …’ (così si legge alle pagine 22 e 23 del ricorso). Nella sostanza, dunque, già in base alla prospettazione in fatto così offerta, che riporta quella dell’avviso,
condivisa sia in primo, sia in secondo grado, la contestazione ‘ prescindendo dalla mera qualificazione delle fatture come relative ad operazioni inesistenti ‘ (così si legge a pag. 2 della sentenza, a proposito della decisione di primo grado, condivisa in appello) riguardava una frode carosello, che prevedeva acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite attraverso l’interposizione di una o più società filtro (“buffers”). Nessuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è dunque configurabile.
Né è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 2697 c.c.
In realtà, la censura risulta funzionale a ottenere una rivalutazione in merito alternativa a quella contenuta nella sentenza impugnata, con la quale il giudice del merito , lungi dal ‘ sospettare apoditticamente ‘, ha, tra l’altro, escluso la rilevanza dei documenti anche concernenti i controlli doganali, ‘ in ragione della diversità rilevabile tra i due elenchi di materiali ‘, che ‘ risulterebbero acquistati oltre un mese prima della sottoscrizione del contratto di noleggio ‘, ‘ il che rende pregnanti e concrete le obiezioni mosse dall’Ufficio circa l’assenza di apparati organizzativi e dipendenti per gestire lo stoccaggio e la movimentazione degli ingombri materiali ‘ (pag. 7 della sentenza).
Secondo questa Corte, infatti, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., 23/04/2024, n. 10927).
Con il quarto motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.;
l’illegittimità della sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul solo presunto ‘premio alla frode’ a seguito della presunta emissione delle suddette fatture per operazioni inesistenti.
4.1. La ricorrente evidenzia di aver eccepito, sia in primo che in secondo grado, l’illegittima applicazione di una presunzione che imputava arbitrariamente alla società un presunto lucro pari al 10% degli imponibili fatturati. Sia la Commissione tributaria provinciale che la CTR hanno omesso di pronunciarsi su tale questione, probabilmente perché è impossibile trovare un qualsiasi fondamento giuridico a tale ripresa a tassazione: la RAGIONE_SOCIALE ha incassato il bonifico relativo alle fatture, ha dichiarato i ricavi e pagato le imposte. Non si vede, quindi, perché debba pagare un ulteriore 10% a titolo di presunti maggiori ricavi.
4.2. Il motivo è infondato: anzitutto, la sentenza impugnata afferma che: « quanto alla percentuale di ricarico applicata, è fondato il rilievo dell’Ufficio che trattasi del ricarico minimo indicato dalla parte nello studio di settore, quindi, non hanno ragione d’essere le doglianze dell’appellante sul punto. Né, d’altra parte, l’ appellante ha mosso rilievi idonei a infirmare l’assunto dell’Amministrazione, essendosi limitata a censurare la rideterminazione del reddito in quanto tale con riferimento alle operazioni attive e ad effettuare una mera elencazione di spese con riferimento alle operazioni passive, senza concretamente contestare l’operato dell’Ufficio.»
La sentenza impugnata non è, quindi, incorsa nel vizio di omessa pronuncia censurato dalla parte ricorrente.
Ma, e soprattutto, la CTR, nel rigettare l’appello ‘ in tutte le sue articolazioni ‘ , ha fatto propria la motivazione del primo grado, puntualmente richiamata in sentenza, secondo cui ‘ prescindendo dalla mera qualificazione delle fatture contestate come relative ad operazioni inesistenti, dal contenuto dell’avviso di accertamento
quanto e con maggior forza nelle controdeduzioni dell’Ufficio, si evince che l’Amministrazione ha fornito la prova che – a fronte di operazioni anche realmente avvenute- la RAGIONE_SOCIALE non avesse la struttura idonea per effettuare l’operazione fatturata; la documentata circostanza che i proprietari e i legali rappresentanti della citata fossero gli stessi delle Società destinatarie delle fatture fornisce ulteriore prova del più ampio impianto di frode portato alla luce tanto dall’attività di verifica nel suo co mplesso e riepilogato nelle controdeduzioni quanto nell’avviso di accertamento ‘. E in questo ‘ impianto di frode ‘, i ‘ costi fittizi deducibili per le controparti che avevano ricevuto le fatture … permettevano alla RAGIONE_SOCIALE di lucrare una somma pari al 10% degli imponibili fatturati ‘.
Con il quinto motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e l’ille gittimità della sentenza di appello in relazione ai risultati derivanti dalle indagini finanziarie.
5.1. La parte ricorrente con tale motivo censura la non corretta interpretazione della normativa tributaria in tema di indagini bancarie (art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973), nella parte in cui ha ritenuto che le somme prelevate dall’amministrazione integrasse ro dei redditi della società. Il beneficiario di tali prelievi era stato, tuttavia, indicato nell’amministratore NOME COGNOME con la conseguenza che tali redditi potevano essere tassati solamente nei suoi confronti. In base all’art. 32 cit., inoltre, era sufficiente la sola indicazione del beneficiario per poter superare la presunzione che riconduceva i ricavi imponibili ai prelievi non giustificati.
5.2. Il motivo è infondato: ai fini del superamento della presunzione ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 deve ritenersi che la prova contraria del contribuente -attraverso l’indicazione del beneficiario –
presuppone la menzione di una causale che giustifichi la causa dello spostamento patrimoniale, tanto più se eseguito sul conto corrente della società contribuente. L’esecuzione dei prelievi da parte dell’amministratore presuppone la diretta operatività di quest’ultimo sul conto della società. L’esecuzione dell’operazione di prelievo non è, quindi, idonea a far ritenere raggiunta la prova dell’estraneità di tale prelievo all’attività funzionale alla produzione dei redditi fiscalmente rilevanti.
Con il sesto motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; illegittimità della ricostruzione induttiva dei redditi dai dati dello spesometro integrato 2014.
6.1. La ricorrente espone che, sulla base delle operazioni passive indicate nello spesometro integrato 2014 (pari a Euro 1.099.487) l’ufficio ha arbitrariamente ricostruito presunte operazioni attive di Euro 1.209.436, applicando l’indice di ricarico del 1 0%. Censura la sentenza impugnata per aver avallato l’operato dell’amministrazione finanziaria, evidenziando, sul punto che non avrebbe potuto essere applicato l’accertamento induttivo nei confronti della società contribuente, in mancanza dei presupposti p revisti nell’art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973. In nessuna parte dell’avviso di accertamento veniva data prova di quanto richiesto da tale norma, che neppure veniva citata. Inoltre, l’accertamento tributario effettuato tramite l’applicazio ne dei parametri o di studi di settore realizza un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata ex lege dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto a tali strumenti che rappresentano unicamente dei crite ri per l’elaborazione statistica
della normale redditività, ma nasce solo all’esito del contraddittorio, nella specie non espletato dall’amministrazione finanziaria.
6.2. L’avviso di accertamento non poteva, quindi, che ritenersi illegittimo, dal momento che l’ufficio non aveva contestato i dati dello studio di settore presentato dalla RAGIONE_SOCIALE, ma aveva arbitrariamente e apoditticamente applicato la percentuale di ricarico del 10% ricavata dallo stesso studio di settore ai dati dello spesometro integrato 2014. Ha quindi richiamato Cass., n. 16597 del 2015.
6.3. Infine, la parte ricorrente censura l’illogicità della ricostruzione induttiva dei redditi e del volume d’affari mediante il ricorso alla percentuale di ricarico. Si trattava, infatti, di costi sostenuti per lavori di completamento di alcuni immobili della società siti in Anzio, di cui richiama le fatture a pag. 39 del ricorso in cassazione. Rileva, poi, che la rivendita degli immobili è iniziata nel 2014, anno in cui la società contribuente ha attuato un’operazione di scissione, conferendo alla beneficiaria RAGIONE_SOCIALE gli ulteriori immobili ad Anzio, successivamente rivenduti. Ad avviso della ricorrente è, pertanto, incomprensibile l’applicazione della percentuale di ricarico del 10%, dato che l’ufficio non ha ipotizzato né vendite sotto costo, né vendite a nero, né ha contestato i dati degli studi di settore o dello stesso spesometro, usati unicamente per ricostruire i presunti maggiori ricavi e volume d’affari.
6.4. Il motivo -che contiene una serie di contestazioni che vanno dalla censura della illegittimità del ricorso all’accertamento induttivo, fino all’impiego del 10% della percentuale di ricarico, richiamando anche l’omessa instaurazione del contraddittori o – è inammissibile, in quanto non si confronta con le motivazioni della sentenza impugnata che, in merito ai requisiti per il ricorso al metodo induttivo, ha condiviso (pag. 7 della sentenza della CTR) quanto
rilevato dai giudici di prime cure in ordine alle irregolarità e inattendibilità contabili. Il motivo veicola, inoltre, attraverso la censura di una violazione di legge una sostanziale richiesta di rivalutazione dei fatti esente dal sindacato di legittimità di questa Corte.
A pag. 41 del ricorso la ricorrente al punto 7 -e quindi come settimo motivo -rileva che il ricorso proposto dalla società (RGR n. 13525/2017) è stato riunificato con quello proposto dal socio NOME COGNOME (RGR n. 13526/2017) per evidente connessione oggettiva, posto che l’ufficio ha imputato a quest’ultimo il 50% del maggior reddito accertato in capo alla società sulla base dell’orientamento giurisprudenziale delle società a ristretta base azionaria, per cui si presume che tale (asserito maggior reddito) sia stato distribuito in capo ai soci. Conclude, quindi, evidenziando che, nell’ipotesi in cui dovesse essere annullato l’avviso di accertamento nei confronti della società dovrebbe essere annullato, in tutto o in parte, anche quello emesso nei confronti del socio.
7.1. Il motivo di ricorso è inammissibile nella misura in cui non evoca un vizio tra quelli indicati nell’art. 360, primo comma, c.p.c. e, in ogni caso, è assorbito dal rigetto dei motivi di ricorso relativi alla società.
8. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese di lite, considerata la mancata costituzione dell’amministrazione finanziaria mediante controricorso nei termini di legge.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/04/2025.