Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10199 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 23790/2020, proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3440/2019 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 16 dicembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla C.T.P. di Bari l’avviso d i accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato i suoi redditi ai fini Irap, Irpef e Iva per l’anno di imposta 2012.
La pretesa impositiva traeva origine dal processo verbale di contestazione redatto dalla Guardia di finanza all’esito di una verifica; da quest’ultima, in particolare, erano emersi documenti significativi di ricavi non contabilizzati, inerenti all’attività professionale del contribuente, avvocato specializzato nel settore dell’infortunistica stradale.
La Commissione adìta respinse il ricorso.
La C.T.R. della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettò i l successivo appello dell’COGNOME .
I giudici regionali respinsero tutte le eccezioni del contribuente, ritenendo in particolare, e per quanto in questa sede ancora di interesse: la validità della sottoscrizione apposta in calce all’atto impositivo dal funzionario delegato; la sussistenza di idonea motivazione dell’atto stesso e di idonea prova della pretesa erariale, poiché il contribuente non aveva fornito elementi di valida controprova alla documentazione individuata dall’Ufficio; l’insussistenza di vizi nella motivazione della sentenza impugnata.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Assume, al riguardo, che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere validamente sottoscritto l’atto impugnato, quantunque la firma in calce fosse stata apposta da un funzionario delegato e l’Ufficio, di ciò richiesto in giudizio, non avesse mai prodotto la delega; i giudici d’appello sarebbero, pertanto, incorsi in un errore di percezione, fondando il loro convincimento circa la sussistenza di una valida delega su una prova che, in realtà, non era stata loro mai offerta.
1.1. La censura è inammissibile.
In ordine al motivo di appello formulato dal contribuente in relazione alla sottoscrizione dell’atto impositivo, la sentenza d’appello ha così statuito: « deve osservarsi sul punto che il dott. NOME COGNOME godeva di piena e legittima delega al momento in cui ha sottoscritto l’atto impugnato. Le doglianze svolte sul punto assumono la peculiare configurazione di inammissibili atti di contestazione di provvedimenti organizzativi interni ».
Sul punto, pertanto, la decisione impugnata risulta sorretta da due rationes alternative, la prima fondata sulla valida sussistenza di un rapporto di delega, la seconda sul rilievo di inammissibilità della censura per essere il rapporto di delega stesso rilevante ai soli fini interni all’Ufficio e, pertanto, non censurabile dal contribuente.
Il motivo di ricorso non scalfisce tale ultima affermazione; ed è noto che quando la sentenza impugnata è fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che il motivo di impugnazione non sia rivolto contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per il formarsi del giudicato sulla diversa ratio non censurata (così, fra le
altre, Cass. n. 13880/2020; v. anche Cass. n. 4678/2022, con specifico riferimento alla denunzia di errore percettivo).
Il secondo mezzo denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma quarto, cod. proc. civ. e 36, comma 2, num. 4), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Il ricorrente assume che la sentenza impugnata sarebbe affetta da motivazione illogica e contraddittoria laddove ha ritenuto sufficientemente provata la pretesa erariale sulla base di quanto risultava dal l’atto impositivo, nonostante quest’ultimo si limitasse a richiamare il contenuto del precedente p.v.c. che l’Amministrazione, pure di ciò gravata, non aveva mai prodotto in giudizio.
Con il terzo mezzo di impugnazione, formulato in via subordinata rispetto al precedente, il ricorrente sostiene, in punto alla medesima circostanza, che la C.T.R. avrebbe in ogni caso violato gli artt. 42, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 2697 cod. civ., ritenendo provate le condotte oggetto di contestazione quantunque il p.v.c. che le riportava -richiamato dall’atto impositivo impugnato -non era stato acquisito agli atti del giudizio.
Con il quarto motivo il ricorrente assume che la C.T.R., in punto alla sussistenza di una base indiziaria munita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessaria a che potesse darsi corso ad accertamento induttivo, avrebbe reso una decisione supportata da motivazione meramente apparente.
Con il quinto motivo, anch’esso articolato in via di subordine, il ricorrente rileva che, sul medesimo punto di cui ai precedenti mezzi, la C.T.R. avrebbe operato un’illegittima inversione dell’onere probatorio.
5.1. I motivi appaiono connessi e vanno, perciò, scrutinati congiuntamente.
5.2. Le doglianze inerenti alla motivazione della sentenza non sono fondate.
In punto alla prova del credito, infatti, la sentenza d’appello afferma che l’atto impositivo si fonda su presunzioni « perfettamente in linea con le previsioni di legge », specificando che esso è riferito alla « documentazione extracontabile reperita dalla Guardia di Finanza », e cioè « dai fascicoli relativi ai clienti del ricorrente, con l’indicazione dell’onorario percepito o da percepire e comunque non dichiarato ».
Ancora, i giudici d’appello precisano: « preso atto del silenzio serbato sul punto dal ricorrente, peraltro presente personalmente durante le operazioni di verifica, l’applicazione del metodo induttivo nell’accertamento svolto è risultato pienamente doveroso e non necessitante di peculiare e specifica motivazione ».
Una tale esposizione delle ragioni della decisione, per quanto succinta, appare esente dai lamentati vizi di contraddittorietà, illogicità ed apparenza, ponendosi in linea con il ‘minimo costituzionale’ che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte (per tutte Cass. Sez. U, n. 8053/2014), consente di ritenere rispettato il precetto di cui all’art. 132 cod. proc. civ.
5.3. Sono, del pari, infondate le censure che denunziano una violazione di legge in punto alla motivazione dell’avviso e alla prova della pretesa impositiva.
Sotto il primo profilo, il ricorrente richiama, nel terzo motivo, l’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, il quale, com’è noto, prescrive l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento e ne declina il contenuto .
Tale norma dispon e, per quanto di rilievo in questa sede, che l’atto impositivo sia «motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato » e rechi altresì l’indicazione de «i fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi».
In proposito, questa Corte ha da tempo affermato che siffatto obbligo di legge è soddisfatto ogni qualvolta l’Amministrazione abbia reso il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’ an ed il quantum debeatur .
Ne deriva che l’ atto impositivo deve ritenersi correttamente motivato anche ove (come nella specie) faccia riferimento a un p.v.c. della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta affatto ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (in tal senso, fra le altre, Cass. n. 730/2025; Cass. n. 8177/2020; Cass. n. 9008/2017; Cass. n. 26472/2014).
Tanto mette conto osservare in premessa perché, con riferimento alla norma che il contribuente assume violata, la sentenza impugnata si è posta in continuità con tali principii e, pertanto, va esente da censure.
5.4. Al di là dell’obbligo di motivazione, poi, i l ricorrente adombra un difetto di prova, da parte dell’Ufficio a ciò tenuto, degli elementi posti a fondamento della pretesa erariale; assume, in particolare, che l’Erario non sarebbe esonerato dall’onere di fornire tale prova in giudizio per il sol fatto di avergli consegnato il p.v.c. prodromico all’avviso, posto che quest’ultimo, poi, non risulta prodotto nel giudizio.
Neppure su questo specifico profilo le censure colgono nel segno. Le condotte affermate dai verificatori, che costituiscono i fatti dai quali è scaturita la rettifica del reddito, erano tutte riportate nell’avviso di accertamento; il contribuente stesso, alle pagine 2 e 3 del ricorso,
dà atto di ciò, affermando che l’atto impositivo riportava partitamente la documentazione rinvenuta dalla Guardia di Finanza e gli esiti dei questionari inviati alle compagnie di assicurazione con le quali egli intratteneva rapporti.
Sulla base di tali fatti, provvisti dei connotati di gravità, precisione e concordanza, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistenti i presupposti per dar corso all’accertamento induttivo, avuto altresì riguardo al « silenzio serbato sul punto dal ricorrente » (pag. 4).
Q uest’ultimo, dal canto suo, non risulta aver contestato i fatti storici di cui all’avviso impugnato ; in proposito, da gli stralci dell’atto di appello riprodotti a corredo della censura (pagg. 35-36 del ricorso) emergono unicamente rilievi in diritto, attinenti alla prova del conseguimento del compenso pattuito per la prestazione dal professionista.
Tutti i motivi oggetto di scrutinio congiunto sono, pertanto, infondati.
6. Infine, con il sesto motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sul motivo di gravame con il quale egli aveva eccepito la nullit à dell’avviso di accertamento perché non preceduto da alcun valido atto di instaurazione del contraddittorio procedimentale, ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 , che invece sarebbe stata necessaria, vertendosi in ambito di accertamento effettuato presso il domicilio.
6.1. Il motivo è infondato.
Dalla lettura dell’atto d’appello dell’COGNOME, resa possibile dalla deduzione di un error in procedendo , non risulta articolato uno specifico motivo di gravame con il quale si denunziava il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale.
Il vizio denunziato, pertanto, non sussiste.
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento di un ulteriore importo pari al contributo unificato per il ricorso principale, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.