Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21471 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21471 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8494/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 6387/2019, depositata il 24 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -L’Agenzia delle entrate provvedeva a notificare alla RAGIONE_SOCIALE l’atto n. I00161/2016 con il quale si invitava la società, dedita alla produzione di derivati del latte, a esibire la documentazione contabile e fiscale relativa all’anno di imposta 2012. A seguito dell’esame della documentazione prodotta dalla contribuente, la Direzione provinciale di Benevento provvedeva a emanare l’avviso di accertamento n. TFM030501129/2017 con il quale rideterminava il reddito di impresa, il volume di affari e il valore della produzione con le modalità indicate nelle motivazioni dello stesso. In particolare: venivano individuati ricavi non contabilizzati per un ammontare pari a euro 274.223,00 euro e sui quali era dovuta imposta a titolo di IVA, con aliquota al 4%, per un ammontare pari a euro 10.969,00; venivano altresì individuati dei costi per un imponibile pari a 4.000,00 euro, oltre l’IVA per 840,00 euro non inerenti l’attività in quanto facenti riferimento a fatture con generica descrizione, senza indicazione degli elementi necessari ad individuare correttamente la prestazione; venivano anche riconosciuti maggiori costi a favore della contribuente in misura pari a 201.961,00 euro, relativi alla individuazione di acquisti senza fattura. Relativamente a detti acquisti ‘in nero’ veniva comminata la relativa sanzione. In ragione di tali constatazioni, l’Ufficio richiedeva in pagamento alla società le maggiori imposte scaturenti a titolo di IRES per 20.972,00 euro, IRAP per 4.155,00 euro e IVA per 11.809,00 euro, oltre a sanzioni e interessi. Il maggiore reddito accertato di 274.223,00 euro veniva altresì imputato, pro quota, a norma dell’art. 47 del d.P.R. n. 917/1986, al socio di maggioranza NOME COGNOME titolare del
93% del capitale sociale, in ragione della ristretta base azionaria che connaturava la RAGIONE_SOCIALE A tal fine, al socio veniva notificato l’avviso di accertamento n. TFM010501145/2017.
Avverso gli avvisi di accertamento n. TFM030501129/2017 e n. NUMERO_DOCUMENTO/2017, la società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME proponevano distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio argomentando la legittimità del proprio operato e chiedendo la conferma delle pretese impositive.
La Commissione tributaria provinciale di Benevento, con sentenza n. 575/3/18, depositata il 18 giugno 2018, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva.
-Avverso tale pronuncia, l’Ufficio proponeva atto di appello. Resistevano la società RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 6387/10/19, depositata il 24 luglio 2019, la Commissione tributaria regionale, accoglieva il ricorso dell’Ufficio.
–RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso nel suo complesso, giacché i singoli motivi consentono di enucleare le questioni oggetto di censura in punto di diritto, non prospettando di per sé una rivisitazione del merito.
-Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 600/73. La ricorrente aveva contestato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 39, comma 2, lett. d, e, in particolare, l’esistenza delle
incongruenze rilevate dall’Ufficio e la parte dell’accertamento contenente la rideterminazione dei ricavi e dei costi. Secondo quanto prospettato, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto verificare: a -la sussistenza delle violazioni; b -se si trattava di violazioni ‘così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso’ le scritture contabili; c -la correttezza dell’accertamento induttivo. La Commissione tributaria regionale ha ritenuto sussistenti le incongruenze rilevate dall’Ufficio, ma non avrebbe speso neppure una parola di motivazione sulla loro gravità, numerosità e ripetitività, e quindi sull’esistenza dei presupposti necessari per l’applicazione della norma applicata.
2.1. -Il motivo è infondato.
In tema di rettifica dei redditi di impresa, se l’accertamento è condotto con metodo induttivo di cui all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 o all’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’amministrazione finanziaria ha facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, se esistenti, fondando l’accertamento su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, essendo il contribuente tenuto a dimostrare -con inversione dell’onere della prova -che l’imponibile accertato non è stato conseguito o è stato conseguito in misura inferiore rispetto a quella indicata mediante l’atto impositivo (Cass. n. 8749/2025).
La Commissione tributaria regionale ha esaminato specificamente tutte le incongruenze nella contabilità, giungendo a ritenere fondato l’assunto dell’Ufficio (p. 4 e 5). Non c’è stata, pertanto, alcuna violazione della normativa richiamata, posto che la numerosità, la ripetitività e per conseguenza la gravità delle violazioni emergono dal puntiglioso esame di ciascuna
incongruenza ‘a riprova dell’inattendibilità’ (così si legge a pag. 4 della sentenza) della contabilità aziendale.
-Con il secondo motivo si prospetta l’ omessa motivazione, motivazione apparente, difetto del minimo costituzionale di motivazione, violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36 d.lgs. 546/1992. Secondo quanto prospettato, la motivazione si risolverebbe in affermazioni apodittiche, tali da integrare una motivazione del tutto apparente. La sentenza sarebbe del tutto carente di motivazione circa la gravità, numerosità e ripetitività delle incongruenze, e quindi sull’esistenza dei presupposti necessari per fare ricorso all’accertamento induttivo.
3.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022).
Nel caso di specie, non si ravvisa alcuna violazione del minimo costituzionale avendo la pronuncia analizzato gli elementi addotti dall’Ufficio alla base del proprio accertamento, considerando pure il riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio disposta nella causa
civile tra la contribuente e la società RAGIONE_SOCIALE e la relativa sentenza : a quest’ultimo riguardo, si legge in sentenza, quanto al calo di produzione dovuto alla mancanza di acqua, che ‘per quantificare i danni, gli appellati hanno documentato delle spese sostenute proprio per procurarsi l’acqua da altro fornitore’ .
-Con il terzo motivo si denuncia la violazione del principio di non contestazione, violazione del divieto di modificare la motivazione dell’atto impugnato , violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 , comma 2, lett. d) del d.P.R. 600/73, in riferimento agli artt. 85, 92 e 102 del TUIR. La Commissione tributaria regionale avrebbe posto in discussione l’esistenza di fatti non contestati dall’Ufficio , giustificando l’operato di quest’ultimo per ragioni diverse da quelle poste a motivazione dell’atto impositivo e adducendo nuove argomentazioni in violazione degli artt. 85, 92 e 102 del TUIR.
4.1. -Il motivo è infondato.
Non sussiste la violazione denunciata giacché le contestazioni riportate in motivazione sono state espresse dall’Ufficio nei propri scritti difensivi, ove si è presa posizione sulle eccezioni sollevate dai contribuenti nel proprio ricorso introduttivo. Il giudice d’appello ha esaminato l’ unico documentato acquisto di 1800 pezzi di fuscelle per ricotta, escludendo la fondatezza delle deduzioni della società contribuente (riutilizzo delle fuscelle una volta lavate, che peraltro avrebbero dovuto essere riportate tra le rimanenze e contabilizzate come bene strumentale dell’azienda).
Né rileva al riguardo la deduzione di violazione di legge, posto che le fuscelle non risultano comunque contabilmente rilevate.
-Con il quarto motivo si contesta il difetto del minimo costituzionale di motivazione. Violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36 d.lgs. 546. Motivazione apparente. Contraddittorietà. La
sentenza recherebbe una motivazione solo apparente, irrispettosa del minimo costituzionale, e gravemente contraddittoria nella parte relativa all’ attendibilità dell’accertamento induttivo. La ricorrente aveva contestato non solo l’esistenza dei presupposti per procedere all’accertamento induttivo, ma anche il procedimento seguito dell’Ufficio nella successiva rideterminazione induttiva dell’ammontare dei ricavi. La Commissione tributaria regionale avrebbe dato per scontata la correttezza dell’operato dell’Ufficio, senza esaminare le articolate e dettagliate argomentazioni del contribuente, per di più con affermazioni contraddittorie con il contenuto dell’accertamento.
5.1. -Il motivo è infondato.
Anche sotto tale profilo la pronuncia impugnata risulta rispettosa del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), avendo evidenziato incongruenze nella contabilità dell’impresa con riferimento alla comparazione tra quantità ottenuta e quantità fatturata di alcuni dei prodotti, tra cui formaggio bovino, formaggio ovino e ricotta, anche alla luce, si ribadisce, della ctu sulla quale i contribuenti tornano a soffermarsi alle pagine 18-21 del ricorso, nella sostanza sollecitando una inammissibile rilettura delle risultanze processuali.
6. -Con il quinto motivo si deduce l’ omessa pronuncia -violazione dell’art. 112 c.p.c. error in procedendo . L’Ufficio aveva proceduto ad accertamento anche nei confronti del socio COGNOME, attribuendogli il maggior reddito da partecipazione. NOME COGNOME aveva proposto ricorso deducendo che l’Ufficio aveva erroneamente calcolato la percentuale del 49,72% non sull’importo del maggior reddito accertato in capo alla società (euro 76.262,00) ma sull’importo del maggior ammontare dei ricavi ( euro 274.233,00).
La Commissione tributaria regionale avrebbe completamente omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso, soffermandosi su una questione (presunzione di distribuzione degli utili nella società a ristretta base societaria) che il ricorrente non aveva mai posto, e non era oggetto del ricorso.
6.1. -Il motivo è fondato.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti (Cass. n. 24534/2017).
Dalla lettura della motivazione emerge che la Commissione tributaria regionale non si è pronunciata sulla questione.
-Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto limitatamente al quinto motivo e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione