Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15942 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15377/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, DIMONTE NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COGNOME NOME COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 3545/2019 depositata il 17/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente società RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento per gli anni di imposta 2009 -2012, in conseguenza di attività di polizia finanziaria, connessa ad indagini penali su operazioni di compravendita di beni alimentari ed in particolare di uva da tavola, ceduta come uva da vino o mosto.
Trattandosi di società a ristretta base, formata da due soli soci, fratelli, la ripresa a tassazione si ribaltava altresì sulle persone fisiche e, per quanto qui interessa, nei confronti di COGNOME NOME, socio al 90% ed attinto da procedimento penale, il rimanente 10% in capo a COGNOME Michele.
Nello specifico, i militari accertavano che la sede della società risultava in aperta campagna, palesemente in disuso da tempo, priva di mezzi e della merce risultata acquistata, senza che i soci sapessero indicare dove altrimenti potesse essere. Altresì, emergeva che i veicoli a disposizione avevano portata utile inferiore a quella della merce dichiarata come trasportata nei documenti di viaggio, anch’essi apparivano in stato di abbandono, sprovvisti di carta di circolazione, assicurazione e dischi del cronotachigrafo, in contrasto con le risultanze documentali che li davano per operativi nei giorni precedenti.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente che ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, con preliminare eccezione di giudicato esterno, ulteriormente illustrati con memoria, mentre spiega controricorso il Patrono erariale.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 del DPR numero 600 del 1973, dell’articolo 54 del DPR numero 633 del 1972, con deficit probatorio, violato riparto probatorio in violazione agli articoli 2697, 2698, 2727, 2729, 2702 e 2698 del codice civile. Si contesta altresì violazione dell’articolo 8, secondo comma, del decreto -legge numero 12 del 2012 sulla detassazione dei componenti positivi da fatturazione oggettivamente inesistente.
1.2 Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, numero 3 del codice di procedura civile per violazione del divieto di doppia presunzione di cui all’articolo 2697, secondo comma, del codice civile nonché degrado indiziario delle dichiarazioni di terzi, in violazione dell’articolo 7 del decreto legislativo numero 546 del 1992.
Deve con priorità esaminarsi l’eccezione di giudicato esterno di cui all’ordinanza di questa Corte numero 33952 del 2019, over rigetta il ricorso erariale, apprezzando le ragioni di parte contribuente.
2.1. L’eccezione non può essere accolta. La vicenda cui ci si richiama riguarda un’altra società, RAGIONE_SOCIALE: pur riferibile alla stessa compagine sociale, è un altro soggetto dalla RAGIONE_SOCIALE qui in ricorso, con altra organizzazione, altri mezzi, altra vicenda storica. Il caso ivi in esame riguarda altra annualità, il 2008, ed opera quindi l’autonomia dell’anno d’imposta, non trovando fondamento il richiamo alle pronunce favorevoli in diverse
annualità. Ed infatti, in tema di accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, l’irrilevanza della fonte di acquisizione e notizie non consente all’Ufficio di prescindere dall’inerenza di questi ad un determinato specifico periodo d’imposta, attesa l’autonomia di ciascun periodo d’imposta, con la conseguente illegittimità della presunzione della costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito (Cass. V, n. 30378/2019).
2.2. Altresì, nel processo tributario l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si sono verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione a quelli non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche con riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (Cfr. Cass. V, n. 37/2019).
L’autonomia dei periodi di imposta e la diversità di soggetto contribuente impediscono il riflesso in questo giudizio del giudicato di cui all’ordinanza di questa Corte n. 33952/2019.
Il primo motivo non può essere accolto.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. V, n. 1347/2019), «l’accertamento con metodo analitico -induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre
1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. Cass. nn. 20060/2014; 20857/2007; cfr., altresì, Cass. nn. 9084/2017; 14428/2005; con riferimento specifico all’IVA, si veda, altresì, Cass. n. 7184/2009; 6800/2009; 21165/2005); è stato, infine, affermato che «in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi -benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ., l’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 si esprimano al plurale -potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria» (cfr. Cass. nn. 656/2014; 17574/2009; 8484/2009).
3.2. In tema di imposte sui redditi, la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. V, n. 9084/2017).
3.3. I giudici di merito hanno correttamente applicato il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, nella
ipotesi che il contribuente ometta di presentare la dichiarazione, “la legge abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti” (Cass. n. 19174/2003; n. 2605/2000): ciò comporta l’inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente -che nel caso di specie non vi ha provveduto, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito -fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (cfr. Cass. n. 9755/2003; n. 17016/2002). (Così Cass. V., n. 18865/2005). Ed altresì sono stati riconosciuti i costi in deduzione, come emerge dallo stralcio del pvc riportato a pag. 4 e 5 del controricorso erariale.
Nemmeno può essere accolto il secondo motivo, laddove si lamenta ricorso a doppia presunzione e indebito riferimento a dichiarazione di terzi.
4.1. Da un lato si deve ricordare che ‘….questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea -in quanto a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena» è stata esclusa in quanto: « a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie
presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);» (Cass., 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al § 3).’ (Cfr. Cass. V, 16/12/2019, n. 33042).
4.2. Dall’altro, la doglianza di riferimento a dichiarazioni di terzi attiene alla valutazione delle prove, rientrate nel giudizio attraverso il pvc, che spetta al giudice di merito valutare. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
4.3. In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Pertanto, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. diecimilatrecento/00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 15/04/2025.