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Accertamento induttivo: ISI non è prova di ricavi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28909/2025, ha stabilito che un accertamento induttivo non può basarsi sulla sola presunzione che il pagamento dell’Imposta sugli Intrattenimenti (ISI), di natura forfettaria, dimostri l’esistenza di ricavi non dichiarati. Il caso riguardava una società del settore intrattenimento che aveva dichiarato ricavi zero a causa della distruzione del magazzino. La Corte ha inoltre ribadito l’obbligo del contraddittorio preventivo per gli accertamenti sull’IVA, in quanto tributo armonizzato, annullando l’atto fiscale.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Induttivo: il Pagamento dell’ISI non Prova i Ricavi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 28909/2025) ha chiarito un punto fondamentale in materia di accertamento induttivo: il semplice versamento di un’imposta forfettaria, come l’Imposta sugli Intrattenimenti (ISI), non può costituire, da solo, una presunzione sufficiente a dimostrare l’esistenza di ricavi non dichiarati. Questa decisione rafforza le garanzie per il contribuente, sottolineando che gli accertamenti fiscali non possono basarsi su automatismi, ma devono fondarsi su una valutazione concreta dei fatti.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dall’avviso di accertamento notificato a una società operante nel settore della distribuzione di apparecchi da intrattenimento. Per l’anno d’imposta 2008, la società aveva dichiarato ricavi pari a zero ai fini IVA, giustificando tale circostanza con la sospensione dell’attività a seguito di un grave incendio doloso che aveva distrutto il magazzino aziendale e reso inutilizzabili gli apparecchi.

Nonostante ciò, la società aveva regolarmente versato l’Imposta sugli Intrattenimenti (ISI), un tributo che si calcola su base forfettaria in base al numero e alla tipologia di apparecchi posseduti, indipendentemente dal loro effettivo utilizzo e dagli incassi.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo il pagamento dell’ISI un elemento presuntivo sufficiente, ha proceduto con un accertamento induttivo, rettificando i ricavi della società. Se in primo grado la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione al contribuente, la Commissione Tributaria Regionale aveva successivamente riformato la decisione, ritenendo legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria.

La Decisione della Cassazione: Analisi dei Motivi

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali. La Suprema Corte ha accolto il primo e il terzo motivo, ritenendo assorbito il secondo, e cassando con rinvio la sentenza impugnata.

L’illegittimità dell’accertamento induttivo basato sull’ISI

Il cuore della decisione risiede nel primo motivo di ricorso. La Corte ha stabilito che il versamento dell’ISI non può costituire una presunzione ‘grave, precisa e concordante’ dell’esistenza di ricavi. L’ISI, infatti, è un’imposta scollegata dalla redditività reale degli apparecchi; è dovuta per il solo fatto di possederli, anche in assenza di utilizzo o di incassi.

Di conseguenza, non esiste quella correlazione diretta e logica, richiesta dall’art. 2729 del Codice Civile, tra il fatto noto (il pagamento dell’imposta) e il fatto ignoto (la percezione di ricavi) che è necessaria per fondare una presunzione legale. Un accertamento induttivo non può basarsi su un presupposto che è, per sua natura, giuridicamente inidoneo a dimostrare ciò che si vuole provare.

La Violazione del Diritto al Contraddittorio

Il terzo motivo, anch’esso accolto, riguardava la violazione del contraddittorio endoprocedimentale. L’accertamento in questione riguardava l’IVA, un tributo armonizzato a livello europeo. Per tali tributi, il diritto del contribuente ad essere ascoltato prima dell’emissione dell’atto impositivo assume una valenza ancora più forte.

La Corte ha specificato che, trattandosi di un accertamento ‘a tavolino’ (senza accessi o ispezioni dirette), l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire alla società di esporre le proprie ragioni. L’omissione di questa fase ha impedito al contribuente di far valere circostanze decisive, come la distruzione dei beni strumentali a seguito dell’incendio e l’assenza di documentazione che ne attestasse l’utilizzo. Questi elementi, se valutati, avrebbero potuto giustificare l’assenza di ricavi, nonostante il pagamento dell’ISI.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando l’errore logico e giuridico della corte di merito. Quest’ultima aveva erroneamente attribuito al pagamento dell’ISI un valore probatorio che la legge non gli riconosce. La dichiarazione fiscale per un’imposta, inoltre, non può essere equiparata a una confessione giudiziale, in quanto non preclude al contribuente la possibilità di dimostrare l’inesistenza dei presupposti impositivi.

I giudici hanno chiarito che, sebbene il possesso di apparecchi tassati a fronte di ricavi zero possa astrattamente indicare un comportamento antieconomico, questo elemento non è sufficiente da solo per un accertamento. Esso costituisce un ‘indice sintomatico’ che impone all’Amministrazione Finanziaria di svolgere una valutazione complessiva e concreta della situazione, tenendo conto delle giustificazioni fornite dal contribuente.

L’accertamento dell’Agenzia è stato quindi giudicato ‘meccanico e privo di motivazione autonoma’, essendosi limitato a trasporre una base imponibile forfettaria in un presunto volume di ricavi reali, senza alcuna istruttoria. La mancanza di un effettivo contraddittorio preventivo ha reso l’automatismo presuntivo illegittimo.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. La pronuncia stabilisce due principi di fondamentale importanza pratica:

1. Limiti all’accertamento induttivo: Le presunzioni utilizzate dall’Agenzia delle Entrate devono basarsi su elementi certi e giuridicamente idonei a provare l’esistenza di maggiori ricavi. Un’imposta forfettaria, per sua natura, non soddisfa questo requisito.
2. Centralità del contraddittorio: Per i tributi armonizzati come l’IVA, il diritto del contribuente a essere sentito prima dell’emissione dell’atto è inderogabile. La sua violazione comporta l’invalidità dell’accertamento, specialmente quando il contribuente ha elementi concreti da far valere a propria difesa.

Il pagamento di una tassa forfettaria come l’ISI può essere usato come prova di ricavi non dichiarati?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il versamento dell’ISI non può, da solo, costituire una presunzione grave, precisa e concordante dell’esistenza di ricavi, poiché tale imposta è calcolata su base forfettaria e prescinde dai ricavi effettivi.

La dichiarazione fiscale presentata per una tassa ha valore di confessione per le altre imposte?
No. La dichiarazione fiscale è un atto unilaterale del contribuente che non può essere equiparato a una confessione giudiziale. Non preclude quindi al contribuente la possibilità di dimostrare, anche parzialmente, l’inesistenza dei presupposti di un’altra imposta.

È sempre obbligatorio per l’Agenzia delle Entrate sentire il contribuente prima di emettere un avviso di accertamento per l’IVA?
Sì, perché l’IVA è un tributo armonizzato a livello europeo. In questi casi, vige un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale. La sua omissione, specialmente se pregiudica il diritto di difesa del contribuente, comporta l’invalidità dell’atto impositivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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