Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5763 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 27824/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in SalernoINDIRIZZO INDIRIZZO, come da procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno n. 4449/09/2016, depositata il 16.05.2016.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTP di Salerno rigettava il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l ‘avviso di accertamento , per imposte dirette e IVA, in relazione all’anno 2008, a seguito della rideterminazione dei redditi conseguiti con la vendita di un immobile il cui valore era stato rettificato;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno rigettava l’appello proposto dalla contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che il maggiore valore di uno degli immobili venduti dalla contribuente era stato accertato sulla base della valutazione effettuata dall’istituto bancario che aveva erogato il mutuo richiesto dall’acquirente e che, trattandosi di mutuo ipotecario, la banca non poteva concederlo per un importo superiore al reale valore dell’immobile;
-correttamente l’Ufficio aveva utilizzato, ai fini accertativi, il metodo induttivo previsto dall’art. 39, comma 1, lett. d) , del d.P.R. n. 600 del 1973, avendo considerato non solo i valori OMI riferiti alla zona nella quale insisteva l’immobile, ma anche il prezzo di altri immobili similari venduti dalla stessa contribuente, nonché la perizia di stima redatta dal tecnico incaricato dall’istituto bancario che aveva concesso il mutuo ipotecario, sicchè vi era un riscontro effettivo sul valore accertato e la contribuente non aveva prodotto, nemmeno in appello, elementi idonei a giustificare il valore dichiarato;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo, la ricorrente deduce l ‘omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e disapplicazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del
d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dalla legge comunitaria n. 88/09; errata motivazione, erroneo riferimento ai precedenti giurisprudenziali; per avere la CTR indicato erroneamente come parametro certo, ai fini della validità dell’accertamento, il valore attribuito all’immobile dall’istituto di credito che ha concesso il mutuo all’acquirente, non avendo considerato le modifiche normative apportate dalla legge comunitaria del 7.07.2009 agli artt. 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, che hanno eliminato le previsioni introdotte dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, sicché, in tema di accertamenti immobiliari, la divergenza con il valore normale, anche se determinato sulla base dell’ammontare del mutuo erogato, risulta un mero elemento indiziario, non in grado di fondare una presunzione qualificata di occultamento del corrispettivo; lamenta l’omesso e/o erroneo esame dei documenti prodotti dalla contribuente;
il motivo è inammissibile sotto diversi profili;
-come ha ripetutamente affermato questa Corte, ‘ In materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse’ ( ex multis , Cass. n. 26790 del 23/10/2018);
nella specie, non è agevole comprendere all’interno del testo dell’unico motivo di ricorso, quali sia la tipologia RAGIONE_SOCIALE censure proposte, tra quelle previste dall’art. 360 cod. proc. civ.; la
ricorrente, invero, pur invocando la violazione di norme di diritto, sembra prospettare, in realtà, vizi motivazionali;
-sotto quest’ultimo profilo la censura è parimenti inammissibile, in quanto, con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., opera il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 12.06.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
– in ogni caso, a seguito di detta modifica normativa, non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
le argomentazioni della sentenza impugnata esplicitano, peraltro, le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della
motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
la doglianza è inammissibile anche perché mira, sotto la apparente censura della violazione di legge, a sollecitare la Corte ad una verifica del materiale probatorio acquisito nel giudizio di merito e tende, dunque, ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello, che non può essere ulteriormente sindacato in questa sede ( ex multis , Cass. Sez. U. 27.12.2019, n. 34476);
infine, il motivo sarebbe in ogni caso infondato, anche se qualificato come violazione di legge;
-occorre rammentare, in proposito, che l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) ha modificato l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità -in relazione, specificamente, all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette -di tali disposizioni con il diritto comunitario;
a seguito di tale modifica è stata ripristinata la disciplina normativa anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale iuris tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che il giudice può, in RAGIONE_SOCIALE, desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e
concordanti, e ciò con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale, che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (Cass. 12.04.2017, n. 9474, Cass. 21.12.2016, n. 26487 e Cass. 26.09.2014, n. 20419);
la decisione impugnata ha correttamente applicato il mutato assetto normativo e i principi sopra richiamati, considerando anche gli altri elementi probatori sui quali si fondava l’accertamento e verificando che questi, unitamente ai dati desumibili dall’O.M.I., integravano un quadro presuntivo grave, preciso e concordante, posto che per l’immobile ceduto era stato stipulato un mutuo per un prezzo superiore a quello risultante dall’atto di compravendita ed era stata a tal fine redatta una perizie di stima da parte di un tecnico incaricato dall’istituto di credito;
in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore del controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in complessivi euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 24 gennaio 2024.