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Accertamento induttivo: il tovagliometro è legittimo

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un avviso di accertamento a carico del titolare di un ristorante, basato sul metodo presuntivo del “tovagliometro”. Con l’ordinanza n. 18975/2024, è stato stabilito che l’accertamento induttivo fondato sul numero di tovaglioli utilizzati per determinare i ricavi è valido, in quanto si basa su una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità e precisione. La Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, sottolineando che spettava a lui fornire la prova contraria per superare la presunzione dell’Amministrazione Finanziaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento induttivo e tovagliometro: la Cassazione ne conferma la validità

L’accertamento induttivo rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale, soprattutto in settori dove la tracciabilità dei ricavi può essere complessa, come la ristorazione. Un metodo presuntivo che da anni fa discutere è il cosiddetto “tovagliometro”, basato sul calcolo dei pasti serviti partendo dal numero di tovaglioli consumati. Con la recente ordinanza n. 18975 del 10 luglio 2024, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, ribadendone la piena legittimità e chiarendo i confini del suo utilizzo.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate al titolare di una ditta individuale esercente attività di ristorante e pizzeria. L’Ufficio, utilizzando il metodo del “tovagliometro”, aveva rettificato il reddito d’impresa e il volume d’affari dichiarati per l’anno d’imposta 2007, recuperando a tassazione maggiori importi ai fini IRPEF, IRAP e IVA. Il metodo si fondava sulla presunzione che a un certo numero di tovaglioli di stoffa o carta, risultanti dalle fatture di acquisto o dalle ricevute della lavanderia, corrispondesse un pasto consumato.

Il contribuente aveva impugnato l’atto impositivo, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto le sue doglianze. In particolare, il ricorrente lamentava che l’Ufficio avesse immotivatamente preferito il “tovagliometro” ad altri metodi presuntivi (come il “bottigliometro”) e che le presunzioni utilizzate fossero prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. I giudici di legittimità hanno analizzato i diversi motivi di ricorso, ritenendoli in parte inammissibili e in parte infondati. In particolare, i primi tre motivi sono stati dichiarati inammissibili in applicazione del principio della “doppia conforme”, che limita la possibilità di ricorrere in Cassazione per vizi di motivazione quando le sentenze di primo e secondo grado sono conformi.

Le motivazioni sull’uso dell’accertamento induttivo

La parte più rilevante della decisione riguarda la fondatezza del quarto e quinto motivo, con cui il contribuente contestava la violazione delle norme sulle presunzioni (art. 2729 c.c.) e sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). La Corte ha ribadito la sua consolidata giurisprudenza, secondo cui l’accertamento induttivo del reddito di un’impresa di ristorazione basato sul consumo di tovaglioli è legittimo. Questo metodo si fonda su una “nozione di comune esperienza”, ovvero che ogni cliente di un ristorante o di una pizzeria utilizza normalmente un solo tovagliolo. Questo dato, considerato un fatto noto, è di per sé sufficiente a presumere il numero di pasti serviti e, di conseguenza, a stimare i ricavi.

La Corte ha precisato che, per la validità di una presunzione, non è necessario che il fatto ignoto sia l’unica e inevitabile conseguenza del fatto noto; è sufficiente che sia una conseguenza probabile secondo l'”id quod plerumque accidit” (ciò che accade più spesso). Inoltre, l’accertamento può fondarsi anche su un unico elemento presuntivo, purché sia grave e preciso. Nel caso di specie, l’Ufficio aveva anche correttamente applicato una riduzione forfettaria del 10% sul totale dei tovaglioli per tenere conto dell'”autoconsumo” (pasti dei dipendenti, tovaglioli usati per pulire, ecc.), rendendo la presunzione ancora più solida.

Infine, la Cassazione ha chiarito che il giudice di merito non ha violato le regole sull’onere della prova. Di fronte agli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione Finanziaria, spettava al contribuente offrire una prova contraria idonea a dimostrare l’infondatezza della pretesa, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale in materia di accertamenti fiscali: i metodi presuntivi, se basati su logica e comune esperienza, sono strumenti validi per ricostruire i ricavi non dichiarati. Per gli operatori del settore della ristorazione, emerge chiaramente l’importanza di una contabilità precisa e della capacità di fornire prove concrete per contrastare le presunzioni del Fisco. La sentenza non lascia spazio a dubbi: il “tovagliometro”, seppur semplice, è un indice considerato grave e preciso, e l’onere di dimostrare il contrario grava interamente sul contribuente.

Il metodo del “tovagliometro” è considerato legittimo per un accertamento induttivo?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che è un metodo legittimo per la determinazione induttiva dei ricavi di un’impresa di ristorazione, in quanto si basa su una nozione di comune esperienza e costituisce una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità e precisione.

Un accertamento fiscale può basarsi su una sola presunzione?
Sì. La Corte ha precisato che, ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi presuntivi siano plurimi. Il convincimento del giudice può fondarsi anche su un unico elemento, a condizione che sia preciso e grave.

In caso di accertamento induttivo, a chi spetta l’onere della prova?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire gli elementi presuntivi a sostegno della sua pretesa. Una volta fatto ciò, l’onere della prova si sposta sul contribuente, il quale deve fornire idonea prova contraria per dimostrare che la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio non è corretta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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