Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13074/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-SEZ.DIST. TARANTO n. 1335/2019 depositata il 30/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Alla luce della sentenza epigrafata e del ricorso per cassazione, si apprende, in punto di fatto, che RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato il 29 novembre 2003 per l’a.i. 2000, mediante il quale l’Ufficio di Taranto dell’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, ai fini di IRPEG, IRAP ed IVA, maggiori ricavi non contabilizzati per lire 80.343.000 e, ai fini di IRPEG ed IRAP, minori costi di lire 84.645.000.
1.1. In particolare, riferisce il ricorso che
A tale determinazione l’Amministrazione perveniva per effetto del PVC redatto da propri funzionari in cui veniva rilevato che il conto cassa, con saldo iniziale pari a zero, si era incrementato nel corso dell’anno per un totale di lire 245.000.000 a seguito della presunta effettuazione di finanziamenti infruttiferi da parte dei soci.
Circostanza incompatibile con la situazione reddituale e patrimoniale dei soci medesimi poiché nullatenenti .
all’esame del libro dei verbali dell’assemblea non veniva riscontrata alcuna delibera di richiesta di somme da versare a titolo di finanziamento e, inoltre, risultava inverosimile una giacenza media di lire 96.000.000, registrata nel conto cassa, nel breve periodo intercorrente tra il 1° luglio 2000 ed il 31 dicembre dello stesso anno.
Dall’esame delle fatture di acquisto e vendita delle autovetture era emerso, altresì, che la società aveva venduto i veicoli ad un prezzo inferiore al costo di acquisto, con un ricarico inesistente e senza includere nel prezzo di vendita i costi di trasferimento e di immatricolazione.
In pratica, profittando del regime di favore degli acquisti effettuati da un paese membro della Unione europea (Germania) che sposta il momento impositivo, ai fini IVA, all’atto della vendita del bene, la società si era, sistematicamente, sottratta al pagamento dell’IVA, incassandola dal cliente ma non riversandola all’Erario.
Talune fatture di acquisto, poi, non risultavano intestate alla società, bensì al rappresentante legale, signor COGNOME COGNOME e recavano indirizzo diverso da quello della società, ragion per cui i costi relativi venivano ritenuti indeducibili.
E, ancora, il libro degli inventari non risultava tenuto secondo le modalità degli articoli 2217 c.c. e 15 DPR n. 600/73 in quanto le merci non erano state indicate per categorie, omogenee per quantità e valore .
Violazioni così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili le scritture contabili , legittimando, quindi, l’accertamento induttivo, effettuato con l’applicazione al costo del venduto del ricarico medio del 20% .
La CTP di Taranto, adita impugnatoriamente dalla contribuente, con sentenza n. 524/1/12 del 18 settembre 2012, in parziale accoglimento del ricorso, annullava l’avviso nella parte in cui rideterminava i maggiori ricavi in lire 80.343.000
L’Agenzia delle entrate proponeva appello.
Non costituitasi la contribuente, la CTR della Puglia, con la sentenza epigrafata, lo rigettava, aderendo alla motivazione della sentenza di primo grado, testualmente riportata, secondo cui ‘l’Ufficio, pur potendo legittimamente utilizzare l’accertamento induttivo non essendo state tenute le scritture contabili, aveva l’onere di giustificare i motivi che avevano portato lo stesso a fissare nella misura del 20 per cento la percentuale di ricarico per la determinazione dei maggiori ricavi non dichiarati’.
4.1. Soggiungeva:
Nulla di concreto sul punto è stato precisato dall’Ufficio con l’appello in esame .
Di particolare pregio sono risultate, invece, le successive ed ulteriori precisazioni dei primi giudici, hanno spiegato che ‘nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate si è invece limitata ad osservare che la predetta percentuale è ragionevole e verosimile, avendo riguardo alla comune esperienza’.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con tre motivi; la contribuente resta intimata.
Considerato che:
Tutti e tre i motivi, per comunanza di censure, si prestano ad essere enunciati congiuntamente.
Primo motivo: ‘Nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 111 Cost., 1, 2 e 36 D.Lgs. n. 546/1992, 132 e 274 c.p.c. e 118 delle disposizioni di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c. – ‘Error in procedendo”.
2.1. La sentenza impugnata non esplicita, ‘in alcun modo, le ragioni attraverso le quali pervenire alla determinazione assunta evidenziando il percorso logico/giuridico seguito se non tramite il richiamo al di primo grado’.
Secondo motivo: ‘Nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 112 c.p.c. e 18, 21, 24 e 57 D.Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c. ‘Error in procedendo”.
3.1. In appello l’Ufficio aveva specificato che, il coefficiente di ricarico ‘è utilizzato dall’Ufficio solamente per quantificare la pretesa tributaria’, sicché ‘la sua inadeguatezza non potrà mai determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento ‘. ‘Ora sul dedotto obbligo, per il Giudice di merito, in caso di ritenuta non congruità della percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio, di indicare i criteri applicabili per la sua esatta individuazione, la CTR (al pari della CTP) non si pronuncia ‘.
Terzo motivo: ”Violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 del DPR n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.’.
4.1. ‘Le ragioni di doglianza espresse dall’Amministrazione ripropo qual ‘error in iudicando”.
Il primo motivo è infondato.
5.1. La CTR non si limita a richiamare adesivamente la sentenza di primo grado, ma, dimostrando quindi un vaglio critico (corretto o meno, ma sussistente) delle ragioni dell’Agenzia appellante in rapporto a questa, aggiunge che ‘nulla di concreto sul punto è stato precisato dall’Ufficio con l’appello in esame’.
Per tale ragione la motivazione della sentenza impugnata integra la soglia del cd. minimo costituzionale (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).
Ciò introduce al secondo motivo, che, invece, è fondato.
6.1. La ritenuta legittimità dell’accertamento induttivo è di per sé idonea a sostenere l’avviso.
Questo, dunque, giammai avrebbe potuto essere annullato, proprio perché legittimo.
Incombeva, ‘in limine’, alla CTR, in caso di mancata condivisione (da adeguatamente giustificarsi in motivazione) della percentuale di ricarico sul costo del venduto applicata dall’Ufficio, individuare quella corretta e, in applicazione della stessa, rideterminare il maggior reddito d’impresa.
Invero, vale in materia il principio per cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’ufficio: ne consegue che il Giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito – ciò che invece la CTR ha omesso di fare – la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. 26157/2013). Più precisamente, l’esercizio del potere del Giudice di appello di rideterminare l’imposta e gli accessori trova titolo nello stesso
oggetto del giudizio tributario, di tipo bensì impugnatorio, ma esteso al rapporto sostanziale (annullamento -merito) . Mette conto per chiarezza di aggiungere (con Cass. n. 17952 del 2012, dep. 2013, cit.) che ‘ne segue che il Giudice tributario non incontra alcun limite, ex art. 112 c.p.c., nella circostanza che le parti controvertano sulla legittimità/annullamento del provvedimento impositivo, in quanto qualora le questioni sottoposte all’esame del Giudice vertano sulla fondatezza della pretesa fiscale in relazione al corretto criterio di calcolo da adottare per la determinazione della percentuale di ricarico sulla merce venduta, nella richiesta di esame della legittimità del provvedimento impugnato è implicita anche quella di esatta commisurazione dell’importo dovuto dal contribuente nel caso in cui la pretesa dovesse risultare solo parzialmente fondata’.
7. Fondato è infine anche il terzo motivo.
7.1. Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte già affiora l’insegnamento – che ci si licenzia di riassumere ed enunciare in guisa di principio -a termini del quale, ai fini della
determinazione del maggior reddito d’impresa, è legittimo l’impiego del metodo della percentuale di ricarico sul costo del venduto anche nell’ipotesi di accertamento induttivo puro, e non già solo in quella, più frequente, di accertamento analitico -induttivo, con questa differenza che, nell’accertamento induttivo puro, il giudizio in ordine alla mancanza o alla totale inattendibilità delle scritture contabili costituisce il presupposto e non, invece, come nell’accertamento analitico -induttivo, il punto di arrivo della determinazione della percentuale di ricarico .
7.2. Più nel dettaglio, in tal senso rileva una recente pronuncia (Cass. n. 17244 del 2021) che, in un caso di accertamento induttivo puro per mancata tenuta delle scritture inventariali e, quindi, per ritenuta complessiva inattendibilità delle scritture contabili, ‘funditus’ osserva:
Ribadita la legittimità dell’utilizzo, nella specie, del metodo induttivo puro, stante la ritenuta inattendibilità della contabilità del contribuente, v’è anzitutto da rilevare che il parametro del “costo del venduto” -che si basa sull’applicazione di congrua percentuale media di ricarico al costo di acquisto dei beni -costituisce espressione del ragionamento inferenziale posto a base dell’accertamento, e addirittura nella forma delle presunzioni cc.dd. supersemplici, con conseguente onere del contribuente di fornire la prova contraria: prova che, avuto riguardo all’origine del giudizio di inattendibilità (ossia, la violazione del DPR n. 600 del 1973, art. 15, comma 2), avrebbe dovuto principalmente fondarsi sulla produzione in giudizio delle distinte inventariali, del che non v’è traccia , indi giust’appunto evidenziando come la determinazione della percentuale di ricarico (nel precedente che si esamina condivisa dalla CTR giusta sentenza confermata dalla S.C.)
si innest su un già raggiunto ed inconfutabile giudizio di inattendibilità delle scritture contabili, giudizio che in tal caso (a differenza di quanto evidenziato dalla giurisprudenza metodo analitico -induttivo ex SPR n. 600 del 1973, art. 39, comma, lett. d)
costituisce il presupposto dell’applicazione del criterio del “costo del venduto” e non già il punto di arrivo dell’applicazione stessa.
D’altro canto, già in precedenza la giurisprudenza (cfr., ‘ex multis’, Cass. nn. 4293 del 2009, 16499 del 2006, e 13816 del 2003) aveva elaborato il principio generale (valido, cioè, data la latitudine della relativa formulazione, sia per l’accertamento analitico -induttivo sia per quello induttivo puro) secondo cui, in caso di omessa tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventari annuali, l’ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo del reddito d’impresa, sulla base di dati o notizie a sua conoscenza, e, in tale contesto, la rideterminazione del ricarico, operata in base a dati non privi di concretezza -quali i prezzi unitari di acquisto e di vendita, l’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto, il ricarico medio riscontrato nel settore di appartenenza sulla scorta di un’analisi a campione per gruppi merceologici omogenei e il raffronto con i prezzi di vendita -costituisce operazione senz’altro legittima in quanto finalizzata alla ricostruzione del volume di affari, salva la eventuale riduzione da parte del Giudice tributario del maggior reddito accertato in caso di insufficienza o inadeguatezza del campione.
Ad ogni modo, l’estensione di tale principio anche all’accertamento induttivo puro è pacifica (essendo esso richiamato, ad esempio, da Cass. n. 17952 del 2012, dep. 2013, cit., in un caso in cui la S.C. ha affermato che la sentenza impugnata aveva ‘apoditticamente ritenuto inadeguato il criterio di accertamento dell’imponibile adottato dall’Ufficio finanziario’).
7.3. Talché, tornando al presente giudizio, legittimamente l’Ufficio ha fatto applicazione del metodo della percentuale di ricarico sul costo del venduto in presenza di accertamento induttivo puro, disconoscendo la percentuale -finanche negativa e perciò ‘ex
se’ antieconomica -dichiarata dalla contribuente (relativamente a vendite rivelatesi sottocosto) in discordanza rispetto alla percentuale mediamente riscontrata nel settore di appartenenza: ciò per quanto resti in potestà del Giudice di merito (cui la causa, come subito si dirà, deve essere rinviata) confermare od eventualmente rideterminare tale percentuale (nei rigorosi limiti delle allegazioni e delle prove fornite dalle parti) alla stregua di una ponderata valutazione di tutti gli elementi del caso concreto (di cui il medesimo è tenuto a rendere specifica motivazione).
In definitiva, in integrale accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame ed altresì per la definitiva regolazione tra le parti delle spese di lite, comprese quelle del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 24 aprile 2025.