Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16652 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16652 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -avviso di accertamento -accertamento sinteticoinduttivo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10647/2017 R.G. proposto da COGNOME NOME, in proprio e n.q. di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Emilia Romagna n. 2704/2/2016, depositata il 25.10.2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 2704/2/2016, depositata il 25.10.2016 venivano rigettati gli appelli proposti da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rimini n. 187/2/2015 avente ad oggetto avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti per II.DD. e IVA, interessi e sanzioni relativamente ai periodi d’imposta 2007 e 2008.
Gli accertamenti venivano effettuati con metodo induttivo ai sensi dell’articolo 39, secondo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e traevano origine da una verifica della Guardia di Finanza con redazione di p.v.c. da cui emergeva l’inattendibilità delle scritture contabili della società, anche in relazione a due agende rinvenute presso l’abitazione della madre di NOME COGNOME, contenenti documentazione extracontabile sottratta alla contabilità ufficiale della società.
Il giudice di prime cure e poi quello di secondo grado, riuniti i ricorsi proposti dal socio e dalla società, confermavano integralmente la legittimità dell’impianto di accertamento e la misura delle riprese portate dagli avvisi impugnati.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la parte ricorrente deducendo tre motivi, che illustra con memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia dell’Entrate con controricorso che illustra a sua volta con memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo motivo i ricorrenti, in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 5, cod. proc. civ., deducono un vizio di omesso esame di fatto controverso e decisivo e la violazione e falsa applicazione d ell’ art. 295 cod. proc. civ., per aver il giudice d’appello rigettato l’istanza di sospensione del l’appello proposta da NOME COGNOME avuto riguardo al processo di appello radicato dalla società RAGIONE_SOCIALE, da ritenersi pregiudiziale.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
2.1. Il mezzo è innanzitutto inammissibile per carenza di interesse, in quanto i vizi denunciati non attengono alla sentenza impugnata, ma ad un provvedimento precedente, emesso in sede cautelare, i cui eventuali vizi non esplicano alcun effetto sulla successiva sentenza. Ed infatti, poiché il provvedimento cautelare è caratterizzato da strumentalità, provvisorietà, difetto di decisorietà, esso è destinato ad essere superato dalla decisione di merito, l’autonomia del giudizio di merito rispetto al procedimento cautelare, rende il primo del tutto autonomo e, quindi, indipendente dall’esito e dal rispetto delle forme del secondo (Cass., 4 marzo 2024, n. 5741).
2.2. Inoltre, correttamente il giudice del merito, già in primo grado, al fine di evitare l’eventuale contrasto tra giudicati in presenza di cause connesse radicate da società e socio, ha applicato non il rimedio della sospensione di cui all’art. 295 cod. proc. civ., bensì quello della riunione dei processi di cui all’art. 274 cod. proc. civ., pendenti avanti al medesimo giudice.
Il secondo motivo dei ricorrenti, in rapporto all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 e segg. del d.P.R. 633/72 e dell’art. 33 del d.P.R. 600/73 da parte del giudice d’appello, con riferimento alla statuizione circa l’autorizzazione per l’accesso domiciliare presso l’abitazione della madre del legale rappresentante della società COGNOME
RAGIONE_SOCIALE, rilasciata dal Procuratore della Repubblica e fondata, secondo i contribuenti, su delazione anonima. Nella memoria illustrativa i ricorrenti invocano l’applicazione dell’ordinanza della Corte di cassazione -Sezione tributaria n. 33399/2023 resa inter partes e loro favorevole.
4. La censura non può trovare ingresso.
4.1. Innanzitutto, il Collegio osserva che il summenzionato precedente invocato dai ricorrenti non è decisivo, in quanto la Corte non si è pronunciata sul merito della questione sottesa al motivo in disamina, peraltro in relazione a diverso periodo di imposta rispetto a quello oggetto del presente processo, bensì sulla diversa questione della legittimazione. La Corte ha confermato la legittimazione del contribuente ad impugnare, unitamente all’atto impositivo, anche un atto istruttorio prodromico, quale è il provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica previsto, in materia di IVA, dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, e ripreso dal l’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, adottato nei confronti di soggetto estraneo all’accertamento . Al contrario, il secondo motivo in questione lamenta la mancata valutazione da parte del giudice della sussistenza dei ‘gravi indizi’ occorrenti per il rilascio dell’autorizzazione.
4.2. E’ poi destituita di fondamento la prospettazione secondo cui l’innesco delle indagini e dell’accesso istruttorio all’abitazione della madre di NOME COGNOME non sarebbe stata una ‘delazione anonima’. La prospettazione è stata efficacemente contestata dalla controricorrente che, da ultimo nella memoria illustrativa, riporta un preciso accertamento fattuale compiuto dal giudice di primo grado secondo cui la denuncia consiste in un «esposto dettagliato rilasciato da una ex dipendente delle aziende in trattazione», e la decisione di primo grado è stata interamente confermata dalla CTR.
4.3. Per il resto, il giudice si è attenuto alla consolidata giurisprudenza della Corte (v. ad es. Cass. n.28563 del 2019 e giurisprudenza ivi citata) secondo cui, in tema di accertamento delle imposte, innanzitutto l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prescritta in materia di IVA dall’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), in quanto sottesa all’acquisizione degli elementi di riscontro della supposta evasione fiscale, al fine di evitarne l’occultamento o la distruzione, è contraddistinta da un largo margine di discrezionalità, da cui discende il carattere necessariamente sintetico della relativa motivazione: l’obbligo motivazionale deve pertanto ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev’essere effettuata ex ante con prudente apprezzamento.
In secondo luogo, il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, al primo comma, relativo all’accesso nei locali adibiti all’esercizio di attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero ad uso promiscuo, ossia anche ad abitazione, si limita a richiedere, rispettivamente, l’autorizzazione del capo dell’ufficio, e quella del Procuratore della Repubblica, senza però fissare specifici presupposti. In entrambi i casi (cfr. Cass. n. 26829/2014) si tratta di un adempimento procedimentale, la cui ratio è individuabile nell’opportunità che la perquisizione trovi l’avallo di un’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata, laddove, al secondo comma, relativo all’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma, cioè in locali ad uso esclusivamente abitativo, si richiede, invece, – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost., sull’inviolabilità del domicilio – non solo l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma anche la sussistenza di gravi indizi
di violazione tributaria. Questa previsione conferisce all’autorizzazione medesima la portata, non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione.
Sotto un terzo profilo, le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 16424/2004, si sono premurate di precisare che il giudice tributario, dinanzi alla contestazione della pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti e che, nel valutare la legittimità del provvedimento di autorizzazione all’accesso domiciliare, terrà conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente.
Così composti il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, e venendo al motivo di ricorso, la CTR, conformandosi ai princìpi di diritto appena richiamati, ha ritenuto legittimo l’accesso domiciliare in questione «sul fondamento di circostanziati elementi probatori, provenienti dalla collaborazione di una unità di personale, dipendente dal gruppo delle tre società, reciprocamente collegate tra loro, per effetto delle dinamiche imprenditoriali impresse dal sig. COGNOME Daniele» (cfr. pp.2-3 sentenza). Si tratta di un accertamento fattuale argomentato, con precisi riferimenti al quadro fattuale ed istruttorio concreto, non revocabile in dubbio in sede di legittimità nei termini proposti con la censura in esame.
Con il terzo motivo, ai fini dell’art.360, primo comma, nn.3 e 5, cod. proc. civ., si prospetta anche un vizio di omesso esame di fatto controverso e decisivo e la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n.600/73 con riferimento alla statuizione del giudice circa l’esistenza nel caso di specie dei presupposti per l’accertamento induttivo.
6. Il motivo è affetto da plurimi profili di inammissibilità.
6.1. Innanzitutto, la macrodoglianza è onnicomprensiva e compendia paradigmi processuali di doglianza che spaziano dalla violazione di legge alla censura motivazionale, tra loro incompatibili. Va ribadito al proposito (v. Cass. 28 novembre 2014 n. 25332) che il giudizio per cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
Infatti, il giudizio di cassazione è un giudizio delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito (cfr. Cass. 22 settembre 2014 n. 19959). Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.
La macrodoglianza in disamina è inestricabilmente contraddittoria fin dalla sua formulazione, perché se la censura è declinata come vizio motivazionale non può logicamente e utilmente contenere anche deduzioni di violazione di legge.
6.2. Inoltre, con riferimento alla parte in cui il motivo prospetta una censura motivazionale, è anche inammissibile per doppia conforme
con riferimento al paradigma processuale rilevante alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n. 206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n. 149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell ‘articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. I ricorrenti non hanno dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
6.3. Infine, quanto alla parte della censura che deduce una violazione di legge, ulteriore causa di inammissibilità è data dal fatto che la questione dei presupposti per l’accertamento induttivo ai sensi dell’articolo 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 è stata oggetto di un articolato accertamento fattuale autonomo compiuto dal giudice in sentenza incentrato in primo luogo sulla rilevanza della documentazione extracontabile reperita e che, peraltro, le presunzioni non dovevano essere neppure semplici.
L’accertamento induttivo è, infatti, fondato su presunzioni cd. “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2 cit.. Inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, l’Agenzia può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della conta-
bilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva.
In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in favore della controricorrente in euro 10.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento a carico dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24.4.2025