Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8806 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8806 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23521/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende (EMAIL
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE DI L’AQUILA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA DELL’ABRUZZO n. 212/2021 depositata il 23/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ( hinc: CTR), con la sentenza n. 212/2021 depositata in data 23/03/2021, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformando la sentenza n. 339/2019, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di L’Aquila aveva accolto, parzialmente, il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento , con il quale era stato accertato, per l’anno 2014, un reddito di impresa pari ad € 87.581,00, a fronte di quello dichiarato pari a € 0,00, un valore della produzione lorda ai fini IRAP pari ad € 87.581,00, a fronte di quello dichiarato pari ad € 0,00, operazioni imponibili ai fini IVA pari ad € 138.865,00, a fronte di un dichiarato pari ad € 0,00, con la conseguente richiesta del pagamento delle imposte dovute per IRES (€ 24.085,00), IRAP (€ 3.886,00), IVA (€ 30.550,00) e l’ irrogazione di sanzioni per € 41.242,00.
In senso contrario rispetto alla statuizione del giudice di prime cure -che aveva ritenuto irragionevole e sproporzionata la percentuale di carico applicata dall’amministrazione finanziaria, rideterminandola nel 31% – la CTR ha evidenziato come, nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate avesse accertato induttivamente i ricavi delle sedici fatture attive mancanti, usando l’imponibile complessivo delle fatture reperite (pari a Euro 84.673,87) dividendolo per il numero delle fatture (pari a
venticinque) e moltiplicando, quindi, per sedici. L’Agenzia delle Entrate aveva, poi, rilevato come, alla luce della carente documentazione esibita dalla contribuente, non era stato possibile determinare il costo del venduto per l’anno 2014 (costo del vend uto = rimanenze iniziali + acquisti -rimanenze finali), cui applicare la percentuale di ricarico proposta dalla società stessa. Di conseguenza, era corretto l’accertamento induttivo operato sulla base di presunzioni semplici, non avendo il contribuente fornito elementi probatori per confutare tale presunzione.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
Considerato che:
1 . Con l’unico motivo di ricorso proposto la società contribuente ha censurato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 39, secondo comma, e dell’art. 32, n. 2, d.P.R. 29/09/1973, n. 600, nonché degli artt. 83 e 109 t.u.i.r.
1.1. La parte ricorrente -richiamata Corte cost. 08/06/2005, n. 225 -ha evidenziato che, nel caso di specie, l’amministrazione ha considerato i prelevamenti come acquisti nella parte IVA dell’accertamento, ma non nella parte IRES e IRAP. Evidenzia, quindi (v. pag. 3 ricorso), che: « la CTR erra nella parte in cui pretende la dimostrazione di spese che sono insite nei risultati delle stesse indagini finanziarie. Omettendo così di contrapporre ai ricavi la imprescindibile quota di costi di produzione, e così determinando un reddito lordo, lontano dalla base imponibile prevista dagli artt. 83 e 108 T.u.i.r. e oltretutto inaccettabile, come si è visto, sotto il profilo costituzionale. »
1.2. Il secondo errore in cui è incorsa la sentenza impugnata è quello di aver trascurato che l’amministrazione finanziaria avesse fatto
un accertamento induttivo, fondato sulla documentazione incompleta prodotta dalla società, determinando il reddito al lordo, cioè senza considerare una quota percentuale anche dei costi. Sul punto la parte ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte e della Corte costituzionale (C. cost. n. 225 del 2005). Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate non era legittimata a operare una ricostruzione, come quella fatta nel caso in esame, dove, sono stati individuati ricavi pari a Euro 138.865,16, applicando una percentuale di ricarico, pari al 170%, sui costi di Euro 51.283,78.
Passando all’esame del ricorso, occorre rilevare, in via preliminare, come nel caso di specie l’avviso di accertamento costituisca l’esito di un accertamento induttivo cd. puro ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972, in considerazione della presentazione di dichiarazioni fiscali nulle, per omessa indicazione del reddito d’impresa e degli altri elementi necessari alla determinazione dell’ammontare delle operazioni imponibili ai fini IVA, oltre che per la sottrazione delle scritture e registri obbligatori previsti ex art. 14 d.P.R. n. 600 del 1973.
2.1. Ciò premesso -nonostante l’inconferenza del richiamo all’art. 32, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, dal momento che, dagli atti, non risulta che l’accertamento induttivo sia stato eseguito in esito a indagini finanziarie (con una sostanziale inammissibilità della censura inerente alla violazione della norma appena richiamata) – è, tuttavia, da ritenere ormai quale principio acquisito quello che, in applicazione del principio di capacità contributiva, ricollega all’accertamento induttivo del reddito, la necessità di dedurre, anche in misura forfettizzata, la percentuale dei costi.
Questa Corte ha rilevato che « quanto all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative
emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, §2) (Cfr. Cass., V, n. 2581/2021).» (Cass., 17/04/2023, n. 10192).
2.2. Nel caso di specie, tuttavia, l’amministrazione finanziaria risulta aver tenuto conto dei costi, considerato quanto affermato dalla stessa parte ricorrente a pag. 5 del ricorso in cassazione, dove si legge: « Dunque l’Agenzia non è legittimata ad una ricostruzione qualsiasi del reddito come ha fatto nel caso di specie (ricavi induttivi per € 138.865,15 calcolati sui costi di € 51.283,78 con una percentuale di ricarico del 170%) ».
Si legge, inoltre, a pag. 1 del ricorso in cassazione che la società contribuente: « Sollevava, inoltre, il mancato riconoscimento di ulteriori costi deducibili in maniera forfetizzata. ».
Ora, trattandosi dell’accertamento svolto, in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. a) e c), d.P.R. n. 600 del 1973 la ricostruzione tanto dei componenti positivi che di quelli negativi viene svolta, in via presuntiva, non risultando indicati i dati da parte del contribuente nella dichiarazione e non essendo state messe a disposizione dell’amministrazione finanziaria neppure le scritture contabili. Di conseguenza, ai fini della coerenza con il principio di capacità contributiva è sufficiente che l’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, abbia tenuto conto (anche) dei costi unitamente ai ricavi, potendo procedere, in via presuntiva, anche all’accertamento dei primi. Una volta che risulti che l’amministrazione abbia considerato anche i costi, la prova di una misura maggiore di questi ultimi fa necessariamente capo al contribuente, che non può
limitarsi a evocare la richiesta di deduzione di ulteriori costi forfettizzati (v. pag. 2 del ricorso), ma è onerato di fornire la prova contraria ai dati forniti da parte dell’amministrazione finanziaria.
2.3. Alla luce di quanto sin qui rilevato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/02/2025.