Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22681 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22681 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 7655/2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata –
avverso la sentenza n. 2729/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, depositata il 29 settembre 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificò ad RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio di opere d’arte, un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione maggiori redditi, ai fini Irap, Ires ed Iva per l’anno 2007, all’esito di accertamento cd. induttivo puro condotto anche sulle movimentazioni bancarie dei soci.
I maggiori redditi accertati attenevano, per la gran parte, al corrispettivo di cessioni di opere che risultavano, invece, effettuate a titolo gratuito.
L’atto impositivo venne impugnato dalla società innanzi alla C.T.P. di Brindisi, che accolse parzialmente il ricorso.
Detta sentenza fu poi oggetto di appello principale da parte dell’Amministrazione e di appello incidentale della società contribuente innanzi alla C.T.R. della Puglia -sezione staccata di Lecce, che respinse entrambi i gravami.
Tale ultima decisione fu però cassata da questa Corte con ordinanza n. 41369/2021, in quanto l’annullamento dell’atto impositivo si fondava su una circostanza -il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 non applicabile alla fattispecie.
Riassunto il giudizio a cura della contribuente, la Corte di giustizia tributaria della Puglia, con la sentenza in epigrafe, ritenne fondata la pretesa erariale, sul presupposto della legittimità dell’accertamento condotto.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato tale pronunzia con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Amministrazione non ha svolto difese.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della pronunzia d’appello per motivazione apparente, « ovvero per non aver indicato l’iter logico -argomentativo e le prove in base alle quali il giudice di appello è pervenuto alle proprie conclusioni».
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non conterrebbe «le illustrazioni delle critiche mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto il giudice del gravame a disattenderle, non essendo sufficiente a tal fine una mera condivisione a quanto statuito dai primi giudici»; inoltre, la stessa sarebbe supportata da argomenti inadeguati quanto al rilievo di antieconomicità dell’attività svolta dalla società ed all’apprezzamento dei dati emersi dalla verifica sulla movimentazione bancaria.
Il secondo motivo veicola la stessa doglianza in relazione allo specifico profilo del rilievo delle movimentazioni bancarie.
La ricorrente, in particolare, assume che la Corte di giustizia «avrebbe dovuto indicare per ogni movimentazione i motivi specifici in base ai quali non ha ritenuto condivisibili le giustificazioni addotte, nonché l’iter argomentativo in base al quale, invece, ha ritenuto corretto l’assunto dell’Ufficio ».
Con il terzo mezzo, la ricorrente denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 600 del 1973, in combinato disposto con l’art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, e con gli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.».
In proposito, afferma che i giudici d’appello non avrebbero preso in considerazione le circostanze fattuali da lei addotte a supporto della
esiguità dei ricavi rispetto ai costi, dalle quali poteva ben evincersi che l’accertata antieconomicità dell’attività svolta non aveva carattere strutturale, ma contingente, ed era finalizzata alla promozione di diversi artisti in una futura ottica lucrativa.
Infine, con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 32, comma primo, num. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e 51, comma secondo, num. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato disposto con l’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, con l’a rt. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 e con gli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ.
Assume al riguardo che la Corte di giustizia avrebbe ritenuto riferibili alla società le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci, senza, tuttavia, verificare la sussistenza di una fittizia intestazione dei suddetti conti correnti, il cui onere di prova spettava all’amministrazione finanziaria.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente in quanto prospettano questioni analoghe e comunque connesse, non sono fondati.
5.1. Quanto alla dedotta nullità della sentenza per motivazione apparente, questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando la decisione non illustra le ragioni e l’iter logico seguito per giungervi, ovvero non chiarisce su quali prove il
giudice ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
5.2. In tal senso, è inoltre noto che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
In questo caso, la mera apparenza della motivazione inficia di nullità la sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
5.3. Tale non è certamente la situazione che ricorre nel caso di specie.
La sentenza impugnata, infatti, sul punto si articola secondo un univoco ed adeguato percorso logico-giuridico.
In primo luogo, i giudici regionali attestano che l’Ufficio aveva accertato il protrarsi di una gestione secondo conclamati criteri
antieconomici per un lungo periodo di tempo, non adeguatamente giustificata dalla contribuente (« nel caso in questione rileva il fatto che l’antieconomicità è durata per diversi esercizi a partire dal 2004 e la circostanza che un’impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito, rilevanti perdite, nonché un’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione ai sensi dell’art. 39 del DPR 600/73, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate »).
In secondo luogo, osservano che il conseguente ricorso alla verifica sulle movimentazioni bancarie ha poi corroborato l’ipotesi di inattendibilità delle scritture contabili, essendo emerse consistenti movimentazioni di somme sul conto del legale rappresentante e della di lui moglie, non giustificate e non giustificabili altrimenti che con il rilievo di complessiva inattendibilità dei dati contabili.
Appare così illustrato con chiarezza e sufficienza l’ iter logico giuridico seguito dai giudici regionali per giungere alla decisione, in particolare con riferimento alla valutazione di inattendibilità della documentazione contabile.
5.4. Parte ricorrente, per la verità, si duole della mancata considerazione -in termini pressoché analitici -delle proprie singole argomentazioni; ma si tratta di doglianza che non incide per i profili che interessano la censura proposta.
Infatti, e come si è detto, l’obbligo di motivazione della sentenza non coincide con la necessità di un’espressa presa di posizione, da parte del giudice, su tutte le specifiche deduzioni della parte, quando sia comunque intelligibile il percorso seguito per raggiungere, dalle premesse svolte, il risultato rappresentato dalla decisione, in termini
funzionali alla sua comprensione e fondati su dati ritualmente acquisiti al giudizio (così, fra le altre, Cass. n. 20960/2019).
6. Il terzo motivo è inammissibile per come formulato.
Infatti, dietro l’apparente contestazione di una violazione di legge, la censura si risolve, in realtà, nella richiesta di una rilettura dei complessivi dati probatori acquisiti nel giudizio di merito, con valorizzazione di quelli che, secondo la società contribuente, meglio supporterebbero le sue argomentazioni.
La censura, pertanto, finisce per sollecitare un sindacato sulle prove che sfugge all’oggetto del presente giudizio di legittimità, essendo attività riservata al giudice del merito.
7. È infondato, infine, il quarto motivo.
Nel consentire l’accertamento dei maggiori ricavi della società a mezzo della verifica sulla movimentazione bancaria dei soci, i giudici d’appello si sono conformati al principio , ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui gli accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare consentono l’utilizzo, da parte dell’Ufficio nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, delle risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, fatta salva la facoltà della parte contribuente -su cui incombe il relativo onere – di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa (fra le altre Cass. n. 31750/2024), onere ritenuto -con motivazione sufficiente da parte della Corte di merito, perciò insindacabile nella presente sede di legittimità -non assolto nella fattispecie.
8. Il ricorso è, dunque, complessivamente privo di fondamento e va, pertanto, rigettato.
Nulla sulle spese, in mancanza di attività difensiva da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di