Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30827 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30827 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
IRPEF, CARTELLA DI PAGAMENTO ART. 36-TER TUIR
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24461/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso ed elettivamente domiciliato con il difensore presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 2114/45/16 dell’08/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME l’avviso di accertamento NUMERO_DOCUMENTO con il quale provvedeva a rettificare il reddito di impresa dichiarato per l’anno 2006 in relazione alla esercitata attività di ristorazione, con rideterminazione dei ricavi
conseguiti da 45.642,00 a euro 85.106,00 e conseguente accertamento di maggiori imposte e sanzioni.
COGNOME NOME proponeva impugnazione avverso l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli. L’adita Commissione, con la sentenza 26109/29/2014 accoglieva parzialmente il ricorso riducendo di una percentuale del 30% il reddito accertato.
Avverso la decisione di primo grado proponeva appello COGNOME EugenioCOGNOME Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello con la sentenza n. 2114/45/16 dell’08/03/2016.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione, articolato su due motivi, COGNOME Eugenio. L’Agenzia delle Entrate non ha depositato controricorso nei termini ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 18/10/2024.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce, letteralmente: «nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, violazione del d.lgs. 31/12/1992, n. 546, artt. 2, 19 3 77, del d.P.R. n. 638/1972 art. 20, comma 6, violazione degli articoli 112, 113 e 116 cod. proc. civ., nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. -error in procedendo per nullità dell’atto di accertamento»
1.1. Al di là della manifesta sovrapposizione operata quanto alle norme invocate e ai vizi denunciati, deve rilevarsi come con il primo motivo di ricorso la difesa del contribuente lamenti, innanzi tutto, che la sentenza impugnata sarebbe nulla perché difetterebbe di motivazione, avendo omesso di pronunciare quanto alla principale critica mossa all’accertamento, riproposta come
principale motivo di appello. In particolare la sentenza non avrebbe valutato la doglianza, spiegata fin dal primo grado dal ricorrente, secondo la quale, in sede di accertamento induttivo, quale quello operato nella fattispecie dalla Amministrazione finanziaria, i ricavi accertati non potevano essere calcolati applicando la percentuale di ricarico sia sul costo della merce venduta (gli alimenti consumabili somministrati nel ristorante) sia sul costo degli altri servizi (forniture etc.), ma dovevano essere calcolati considerando solo il costo della merce venduta.
1.2. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata non omette di pronunciarsi sul punto ma, al contrario, affronta specificamente il punto e afferma: «l’assunto in forza del quale la rettifica del reddito andava calcolata sui soli costi della merce di consumo e non sugli altri costi è privo di fondamento, trattandosi comunque di componenti negativi del reddito che andavano computati». Non sussiste, allora, alcuna omissione di pronuncia né la dedotta nullità della sentenza. Anche ove si volesse qualificare il motivo di ricorso sub specie di violazione di legge, la motivazione offerta, sul punto, dalla sentenza deve andare esente da censure. Nella fattispecie si trattava di una attività di ristorazione ed appare corretta l’operazione che l’Ufficio ha condotto, in presenza di una incontestata assenza delle scritture contabili e dei registri, per ricostruire i ricavi calcolando la percentuale di ricarico sull’insieme dei componenti negativi affrontati dall’impresa per offrire il servizio di ristorazione (merce di consumo, servizi e utenze, approvvigionamenti e costi comunque affrontati per l’offerta del servizio). L’operazione proposta dal contribuente, tendente a limitare la rilevanza del ricarico alle sole merci di consumo, sarebbe contraria a una ricostruzione completa del volume di affari dell’impresa e ai criteri contabili e di legge dettati per l’accertamento induttivo.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa di COGNOME Eugenio deduce, letteralmente: «nullità della sentenza per violazione degli articoli 141, 170, 330 cod. proc. civ. in relazione all’articolo 53 del d.lgs. 546/1992 -violazione dell’art. 360, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. omessa e insufficiente motivazione».
2.1. In via preliminare, rileva il Collegio che trattasi di motivo inammissibile perché palesemente invoca disposizioni normative che non attengono all’oggetto della controversia e soprattutto al perimetro della doglianza svolta, così da rendere per nulla perspicuo l’oggetto della doglianza.
2.2. Nel corpo della trattazione dello strumento di impugnazione la difesa del ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza che avrebbe ritenuto legittimo l’accertamento benché lo stesso non risultasse fondato su circostanze gravi precise e concordanti e l’Ufficio non avesse adeguatamente motivato la scelta della percentuale di ricarico applicata. La sentenza non avrebbe fornito adeguata motivazione sugli stessi punti e cioè sulla legittimità del metodo adottato per la ricostruzione induttiva dei ricavi e del reddito.
2.3. Anche riqualificato nei termini appena descritti, il motivo di impugnazione presenta insuperabili profili di inammissibilità, atteso che è privo di autosufficienza facendo riferimento all’accertamento che non viene riportato, né in alcun modo descritto, quanto al contenuto.
2.4. Ad ogni modo la motivazione della sentenza non merita censure nemmeno circa la ricognizione dei presupposti per l’accertamento induttivo: la decisione afferma, infatti, che «la somma dichiarata di euro 34.317,00 per costi sostenuti rapportata ai ricavi dichiarati di soli euro 45.642,00 (meno di euro 1.152,00 euro al mese per un nucleo familiare composto da quattro persone) legittimavano l’accertamento in rettifica essendo superato il limite della convenienza economica anche tenuto conto delle percentuali di ricarico praticate da esercizi commerciali operanti nello stesso
ambito territoriale e nel medesimo settore. La percentuale di rideterminazione dei ricavi in euro 85.106,00 sulla base di un indice di ricarico del 148% è stata ulteriormente ridotta in primo grado del 30% in misura che, in assenza di specifiche contestazioni, può ritenersi congrua non avendo il contribuente prodotto documentazione relativa alla composizione delle voci di costo offrendo il dettaglio delle componenti negative del reddito (..) ed essendosi limitato ad allegare un semplice elenco di costi non ancorati ad alcun supporto documentale».
2.5. La motivazione non è inficiata da vizi logici e nel convalidare l’operazione di ricostruzione del reddito in via induttiva operata dall’Ufficio si pone pienamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte circa la ripartizione dell’onere probatorio applicabile in materia. In tal senso si consideri che: in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, giustificato, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, dall’omessa istituzione o dall’irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, l’Amministrazione finanziaria, ai fini della ricostruzione presuntiva dei ricavi non dichiarati, può fare riferimento al margine di ricarico (cd. “mark up”) di altre imprese assunte a campione, sempreché si tratti di imprese omogenee e perciò paragonabili, per specifico settore merceologico, a quella sottoposta a verifica, salva la possibilità di quest’ultima di fornire la prova contraria, che deve essere presa in considerazione dal giudice tributario di merito (Cass. 03/11/2022, n. 32449). Ed ancora, nel medesimo senso, va ricordato che: in tema di accertamento del reddito di impresa, la verifica dei maggiori ricavi non dichiarati dall’impresa commerciale, pur dovendo in linea di massima essere condotta attraverso la determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, può essere svolta in via induttiva ex art. 39,
d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati o notizie conosciute dall’Amministrazione finanziaria, allorché vi sia omessa o irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, non potendosi in tal caso procedere alla corretta analisi del contenuto dell’inventario e dunque alla ricostruzione analitica dei ricavi di esercizio. Cass. 29/03/2021, n. 8698). Peraltro il contribuente, nelle fasi di merito e anche in sede di ricorso in cassazione ha omesso di rappresentare specifiche contestazioni in ordine alla determinazione dei ricavi e alla percentuale di ricarico e si è limitato ad osservazioni del tutto generiche e prive di qualsiasi aggancio alla concretezza dell’accertamento e alla documentazione in atti.
3. Il ricorso merita integrale rigetto; nulla per le spese in difetto di formale costituzione dell’Ufficio resistente; è dovuto il doppio contributo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
nulla in ordine alle spese;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 18 ottobre