Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 16647-2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente della sentenza n. 22/07/2022 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 3 gennaio 2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Accertamento
–
Indagini
bancarie – Contraddittorio
Dalla sentenza e dagli atti difensivi delle parti si evince che l’Agenzia delle entrate , a seguito di una indagine bancaria condotta sui conti del contribuente, esercente l’attività professionale di commercialista, notificò l’avviso d’accertamento con cui, ritenendo non giustificate alcune (5) delle molte operazioni controllate, rideterminò l’Irpef e l’ Iva dovute per l’anno d’imposta 2012 , nella misura complessiva di € 28. 297,93.
Il contribuente impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza 15613/38/2019 rigettò il ricorso. L’appello proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio fu respinto con sentenza n. 22/07/2022.
Il giudice regionale ha: 1) respinto la denuncia di nullità della sentenza di primo grado, perché incompleta e incomprensibile, riconoscendo al contrario la sinteticità ma esaustività dei fatti e delle ragioni esposte in essa; 2) ha respinto la denuncia di violazione dell’art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992, per mancata fissazione dell’udienza di trattazione della richiesta sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato , per trattarsi di un procedimento incidentale che, anche qualora irregolare, non inficia il giudizio; 3) ha respinto la denuncia di irregolare costituzione dell’Agenzia delle entrate , perché costituitasi tardivamente e perché costituitasi con modalità telematica in un processo iniziato in forma cartacea, sotto il primo aspetto perché non è inammissibile la costituzione tardiva, per il secondo aspetto perché la possibilità di avviare ancora in forma cartacea il processo ormai telematico non può costringere la parte che intenda difendersi secondo le nuove regole telematiche a optare per quelle ancora cartacee; 4) ha riconosciuto pertanto la regolarità della sottoscrizione telematica dell’atto difensivo erariale; 5) ha ritenuto inconferente la denuncia della redazione della costituzione erariale su fogli bianchi senza alcuna intestazione riconducibile all’ufficio, per trattarsi di atto completo e inequivocabilmente riferito alla specifica controversia, e per la strumentalità delle forme rispetto alla sostanza, quando, come
in questo caso, nessuna prerogativa difensiva del ricorrente risultava compromessa; 6) ha respinto l’eccepita nullità dell’atto impositivo per sottoscrizione di funzionario non delegato, emergendo al contrario la regolare delega di firma ricevuta dal sottoscrittore dal Direttore dell’ufficio provinciale; 7) ha respinto l’eccepita violazione delle norme che prescrivono la redazione di un processo verbale di costatazione conclusivo della verifica, risultando un processo verbale, redatto il 20 ottobre 2017, re golarmente sottoscritto anche da quest’ultimo ; 8) ha rigettato l’eccepita mancata osservanza del contraddittorio, e ciò nonostante a ll’esito del processo verbale del 20 ottobre 2017 il contribuente avesse depositato ulteriore documentazione, laddove l’Agenzia delle entrate aveva provveduto già il 22 novembre 2017 a notificare l’avviso d’accertamento, perché con riguardo alle indagini bancarie l’utilizzo dei dati estrapolati non è mai condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio , e comunque l’ambito di applicazione del contraddittorio è solo quello in cui gli accertamenti sono accompagnati da accessi ispezioni o verifiche presso i locali del contribuente , mentre, quanto all’iva, è necessario che il contribuente superi la cd. prova di resistenza, nel caso di specie assente; 9) ha respinto l’eccepito difetto di motivazione dell’avviso d’accertamento; 10) ha respinto la doglianza relativa alla illegittima contestazione della detraibilità dell’iva relativa all’acquisto di un bene (manufatto) strumentale all’attività professionale del contribuente, e ciò anche sotto il profilo dei poteri di verifica delegati ai funzionari; 11) ha rigettato l ‘eccezione relativa all’autorizzazione e alla motivazione dell’attivazione di indagini finanziarie nei confronti del contribuente; 12) ha respinto la doglianza sulla violazione dei principi relativi all’onere della prova, ex art. 2697 c.c.; 13) ha rigettato la denuncia di violazione dell’art. 19, d. P.R. n. 633 del 1972, perché l’immobile per il quale è stata recuperata l’iva detratta non è mai stato utilizzato come ufficio; 14) ha ritenuto infondata anche la denuncia di violazione delle norme in tema di liquidazione delle spese in favore dell’Agenzia
delle entrate ; 15) ha ritenuto infondata anche l’eccezione di inapplicabilità delle sanzioni; 16) ha rigettato la denunciata irregolarità della notifica dell’atto impositivo mediante il servizio postale.
Il ricorrente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a 9 motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il contribuente ha denunciato:
Con il primo motivo la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 19 del DPR 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c. Il giudice regionale avrebbe erroneamente ritenuto fondata la contestazione erariale della indetraibilità dell’iva pagata per l’acquisto di un immobile, allo stato grezzo, da destinare all’eserc izio della propria attività professionale.
Il contribuente ritiene dunque che la contestata assenza di inerenza dei corrispettivi versati per l’esecuzione di lavori di completamento dell’immobile fosse irragionevole, trattandosi di un bene strumentale acquistato per l’esercizio della propria professione, e nel quale non avrebbe potuto esercitare alcunché sino al compimento degli interventi necessari.
Il motivo è infondato.
È pur vero che la giurisprudenza di legittimità in tema ha affermato che la strumentalità del bene acquistato per il proprio futuro utilizzo professionale o economico è sufficiente al riconoscimento della detraibilità dell’iva pagata . Nel caso di specie manca tuttavia la prova dell’utilizzo anche successivo del predetto bene.
In particolare, si è affermato che ai sensi dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, è inerente all’esercizio dell’impresa anche l’acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni
necessarie perché l’attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie, purché il contribuente dimostri l’effettiva e concreta riferibilità dei beni alla futura produzione di ricavi, tenuto conto, in particolare, della loro natura e del tempo intercorso tra l’acquisto e l’uso, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell’acquirente (Cass., 12 agosto 2024, n. 22664, che in forza del predetto principio ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva riconosciuto la legittimità della detrazione, senza valutare se il mancato compimento di operazione attive, con conseguente omessa utilizzazione dei beni acquistati, per ben tredici anni fosse dipesa da effettive difficoltà burocratiche o dall’inerzia della contribuente). Si è ulteriormente chiarito che ai fini della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e sulle operazioni passive occorre accertarne l’effettiva inerenza rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che sia tuttavia richiesto il concreto svolgimento dell’attività di impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche in assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché il bene o il servizio acquisito, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario all’organizzazione dell’impresa ovvero funzionale all’iniziativa economica programmata in vista della successiva attuazione e il mancato utilizzo sia determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente, sia pure assunte in un’accezione ampia (Cass., 17 marzo 2021, n. 7440; cfr. inoltre 3 ottobre 2018, n. 23994; 31 agosto 2022, n. 25635).
Ebbene, anche se la strumentalità del bene può dunque essere riconosciuta per operazioni di carattere preparatorio, occorre tuttavia che tali operazioni si traducano in beni effettivamente utilizzati nell’ambito della propria attività professionale o imprenditoriale. Nel caso di specie, invece, rispetto ad un immobile, acquistato a grezzo nel 2012, e per il quale la stessa parte ricorrente afferma di aver
commissionato i lavori di completamento sin da quell’anno, al momento della verifica, nel 2017 e dunque a distanza di un quinquennio, quell’unità risultava ancora inutilizzata per l’attività professionale e non ancora utilizzabile.
Mancando allora la prova in tali ipotesi richiesta, nel disconoscere la detraibilità dell’Iva versata per gli interventi sull’immobile , il collegio regionale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente si è doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1 del DPR 600/73, degli artt. 53 e 54 del DPR 917/86, e dell’art. 54, comma 4 del DPR 633/72, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c.
Il giudice regionale non avrebbe apprezzato che, rispetto alle 93 operazioni che l’ufficio aveva invitato a giustificare, anche le cinque ritenute non giustificate in realtà esulavano da operazioni per le quali poteva recuperarsi imponibile ed iva e la Commissione non avrebbe fatto corretto utilizzo delle regole d’accertamento .
Il motivo è fondato.
Nel ricorso la difesa del contribuente ha evidenziato le causali delle operazioni bancarie contestate, in tutto cinque, e tra esse sono comprese operazioni eseguite nella qualità di tutore di NOME COGNOME per decreto di nomina del Tribunale di Roma (circostanza peraltro incontestata).
Ebbene, nonostante le difese sul punto fossero specifiche, evidenziando l’estraneità di quelle operazioni al materiale imponibile, e così contraddicendo i l contenuto dell’atto impositivo, il collegio regionale non ha vagliato le ragioni allegate dal contribuente, sicché la sentenza rivela di non aver tenuto conto delle regole di governo delle prove, mancando di una disamina esaustiva sulle questioni specificamente evidenziate dalla difesa del contribuente.
Il motivo trova pertanto accoglimento.
Con il terzo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione della Legge 4/1929, della Legge 212/2000, dell’art.97 della Costituzione, e mancata redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni e mancata attivazione del contraddittorio da parte dell’Ufficio, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c. La Commissione avrebbe errato nell’affermare il rispetto dei principi regolatori del contraddittorio endoprocedimentale.
Il motivo è infondato.
Il ragionamento seguito in sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di contraddittorio endoprocedimentale.
A tal fine deve ribadirsi che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accertamenti fiscali, la giurisprudenza di legittimità, afferma che solo per i tributi “armonizzati” l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endo-procedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli “non armonizzati” non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823; 25 luglio 2025, n. 21271). Si tratta di un orientamento ormai consolidato, secondo la legislazione ratione temporis vigente, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, e al quale anche questo collegio intende dare continuità.
Dal perimetro dell’obbligo del contraddittorio restano dunque fuori le imposte non armonizzate, salvo una espressa prescrizione legislativa e, quanto all’iva e a quelle armonizzate, le fattispecie in cui il contribuente non superi la prova di resistenza, ossia quando sia evidente che le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endo-procedimentale qualora attuatonon avrebbero comunque determinato
RGN 16647/2022
l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo, rivelandosi pertanto meramente dilatorie. Il che, può aggiungersi, non vuol significare che alle parti del procedimento amministrativo (Amministrazione e contribuente) debba richiedersi nella fase endo-procedimentale capacità di critica e valutazione delle complessive allegazioni documentali, pari a quelle demandate all’organo giudiziario in sede processuale, ma che la serietà e pertinenza delle allegazioni del contribuente, qualora vagliate dall’Amministrazione finanziaria all’esito della verifica e prima della notificazione dell’atto impositivo, avrebbero potuto incidere sul se e sul contenuto di questo, se celebrato il contraddittorio. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE).
Da ciò trova conferma che, quanto alle imposte armonizzate, il principio del contraddittorio non può escludersi per il sol fatto che l’accertamento sia stato fondato solo su indagini eseguite ‘a tavolino’, senza accessi o ispezioni nella sede del contribuente. Ma ciò, appunto, afferisce ai soli tributi armonizzati.
Peraltro, è utile chiarire che, se il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per le imposte armonizzate, ciò tuttavia non implica l’insorgenza di un obbligo dell’Agenzia delle entrate di ‘audizione’ del contribuente, cioè un obbligo di convocaz ione, soprattutto se mancano del tutto i presupposti da cui l’organo accertatore possa evincere l’intenzione del contribuente di contraddire sugli esiti della verifica.
Quanto alla doglianza relativa alla assenza di un processo verbale e alla presunta emissione d ell’avviso d’accertamento senza il rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, che presuppone un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività (Cass. n. 22819 del 2022), la
fattispecie esula dalla suddetta disciplina, poiché l ‘accertamento si fonda su indagini sui conti correnti bancari del contribuente, senza accessi, finalizzati alla verifica, presso la sede professionale del contribuente.
Con il quarto ci si duole della nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt.47 e 52 del D.Lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c. La Commissione non avrebbe tenuto conto della mancata fissazione dinanzi alla commissione tributaria provinciale dell’ud ienza per la trattazione dell ‘ istanza di sospensione ex art. 47 546/92.
Il motivo è infondato dovendo farsi applicazione del principio secondo cui, in tema di contenzioso tributario, il giudice che, senza ritardo, decide il merito della causa, omettendo di pronunciarsi sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato, non viola il diritto di difesa del contribuente in quanto, ai sensi dell’art. 47, comma 7, del d.lgs. n. 546 del 1992, gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, per cui non sussiste alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza cautelare che, pur se favorevole, viene meno con la decisione di merito (Cass., 17 gennaio 2025, n. 1149; 9 aprile 2010, n. 8510).
Nel caso di specie la difesa del contribuente, oltre a non aver indicato, nell’osservanza della specificità del motivo, quando fosse stata invocata la misura cautelare della sospensione dell’atto impugnato, non ha neppure evidenziato i tempi intervenuti tra la mancata trattazione della richiesta di sospensione e quelli entro i quali la causa è stata decisa nei gradi di merito.
Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli art. 23 e 25 bis del D.Lgs. n.546/92, della Legge 241/90, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c. Il giudice regionale non avrebbe apprezzato la contestazione elevata sulla ritualità della costituzione dell’Agenza delle entrate, operata con atto redatto su comuni fogli di carta bianca.
In motivo è del tutto privo di pregio, non potendosi certo porre in discussione la riferibilità della difesa all’ Ufficio, tenendo peraltro sempre conto della strumentalità degli obblighi formali, nel caso di specie neppure sussistenti, al diritto di difesa.
Nessuna nullità può poi relazionarsi ad una costituzione tardiva della controricorrente, salvo le conseguenze per eventuali decadenze istruttorie e più in generale per preclusioni processuali, in questo caso neppure adombrate.
Con il sesto si lamenta la v iolazione e falsa applicazione dell’art.11 del D.Lgs. n. 546/92 e dell’art. 33 della Costituzione, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c. Si eccepisce la condanna alle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate costituitasi senza il ministero di un avvocato.
Nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (Cass., 10 gennaio 2024, n. 1019; 11 ottobre 2021, n. 27634).
Il motivo è pertanto infondato.
Con il settimo ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 codice civile, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c. I giudici d ‘appello non hanno esaminato né si sono pronunciati sulla violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 del codice civile.
Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.pc., dell’art.116 c.p.c., dell’art.167 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c. Nella impugnata sentenza i Giudici non hanno esaminato tutte le eccezioni in fatto ed in diritto sollevate dalla ricorrente nel corso del giudizio e non hanno esaminato la documentazione prodotta dal contribuente nel corso del giudizio.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché logicamente connessi, possono ritenersi assorbiti limitatamente alle questioni proposte con il secondo motivo. Quanto al resto, sono privi di pregio perché, tenendo conto che la controversia che occupa questo collegio è relativa ad un accertamento eseguito ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, mediante verifica dei conti bancari del contribuente, costituisce principio da tempo consolidato quello secondo il quale in tema di accertamento dei redditi a mezzo di accesso ai conti correnti del contribuente, questa Corte ha affermato che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria, né la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio.
Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 31 gennaio 2024, n. 2928; 8 aprile 2024, n. 9403; 26 aprile 2017, n. 10249). Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova
analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18 settembre 2013, n. 21303; 4 ottobre 2024, n. 26014). In particolare, quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la specificità della prova allegata, perché per superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore si rende necessario che alla analiticità della prova faccia seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente (Cass., 28 novembre 2018, n. 30786).
Infine, con il nono motivo, ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 132 del cpc, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c. Si eccepisce la nullità della sentenza per violazione e la falsa applicazione dell’art.132 del cpc, per essere la motivazione meramente apparente.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame, non è viziata la decisione quando motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero
purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie il giudice regionale ha esaminato analiticamente le singole censure, rispondendo alle stesse con una motivazione, che può essere o meno condivisa dal contribuente, ma che con i contenuti espressi in 16 pagine (dalla fine di pag. 4 a pag. 19) esula radicalmente dalla motivazione apparente.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo, con rigetto di tutti gli altri, salvo per quanto dichiarato assorbito dei motivi settimo e ottavo. La sentenza va pertanto cassata entro questi limiti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, che in diversa composizione procederà a riesame
dell’atto d’appello del contribuente nei limiti dell’accoglimento di questo ricorso, tenendo conto dei principi di diritto enunciati in tema, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza nei predetti limiti e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025