Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14293 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14293 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19284/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec: EMAIL
-ricorrente principale- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA della COMM. TRIB. REG. SICILIA n. 3220/2016, depositata il 19/09/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal Cons. COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito delle risultanze istruttorie contenute nel PVC della Guardia di Finanza del 24/09/2004 l’Agenzia delle Entrate contestava alla RAGIONE_SOCIALE l’omessa contabilizzazione di ricavi relativi a cessioni di merce all’ingrosso concluse con l’intermediazione di rappresentanti e riscontrate dalla documentazione extracontabile acquisita nel corso delle operazioni di verifica, oltreché l’indebita deduzione di oneri per lavoro dipendente non corrisposti al personale.
La società impugnava l’atto dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, che, in accoglimento del ricorso, annullava l’avviso di accertamento.
L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi tempestivo appello, che con sentenza n. 3220/2016 -veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia con rideterminazione del calcolo di quanto dovuto a titolo di maggiori imposte dirette ed indirette.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidandolo a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale basato su un unico motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La ricorrente principale propone due motivi di doglianza.
Con il primo deduce ‘ Error in iudicando ‘ ai sensi del n. 3), del primo comma, dell’art. 360 c.p.c.’, asserendo che ‘Il giudice di seconde cure ha disapplicato il principio di cassa previsto ex lege per le vendite a mezzo di agenti di commercio, travisando tra l’altro la documentazione tipica prevista nella fattispecie’.
La contribuente sostiene che la documentazione esaminata (ossia i prospetti di liquidazione delle provvigioni ai rappresentanti)
e considerata contabilità in nero, non costituiva valido elemento indiziario, dotato quindi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Il giudice del gravame, inoltre, avrebbe dovuto quantificare i costi correlati ai ricavi presunti, al fine di applicare il principio di garanzia costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
Con il secondo motivo la parte privata lamenta ‘ Error in iudicando ‘, ai sensi del n. 3), primo comma, art. 360 c.p.c.’. Il giudice di seconde cure, nella prospettazione della parte, ‘ha disapplicato le presunzioni legali relative delle indagini finanziarie svolte con P.V.C. del 14/12/2006 mentre ha applicato le presunzioni semplici derivanti da documentazione extracontabile considerata erroneamente ‘in nero’ con P.V.C. del 24/09/2024′.
La RAGIONE_SOCIALE evidenzia come, ai fini dell’accertamento ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. n. 660/1973, le indagini finanziarie si qualificano come presunzioni legali relative, previste ex lege . Pertanto, i versamenti non giustificati sono considerati ‘vendite in nero’ ed i prelevamenti ‘acquisti in nero’ a meno che il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nelle dichiarazioni o che le stesse non si riferiscano ad operazioni imponibili. Posto che le risultanze delle indagini finanziarie hanno condotto alla constatazione della regolarità tra le operazioni contabili registrate e dichiarate con le movimentazioni finanziarie esaminate, con conseguente irrilevanza fiscale, si contesta l’applicazione da parte del giudice di seconde cure dell’efficacia probatoria prevista per le presunzioni semplici, trascurando invece le presunzioni legali relative derivanti dalle indagini finanziarie svolte.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale proposto dalla difesa erariale, si deduce ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.’. Con tale doglianza la difesa erariale
censura la sentenza per omessa pronuncia con riferimento al rilievo concernente l’indebita deduzione di oneri non effettivamente corrisposti ai dipendenti.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato per i motivi che seguono.
In tema di accertamento del reddito di impresa, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che ‘La presunzione, di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, di omessa fatturazione di ricavi conseguiti dalla società contribuente, correlata agli accertati prelevamenti operati su conti correnti bancari, ritenuti ‘uscite di cassa’, deve ritenersi superata qualora detta movimentazione finanziaria sia stata regolarmente contabilizzata e la società, come suo onere, fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione, quali componenti positive del reddito di impresa, non essendo, invece, la società medesima tenuta anche a dimostrare l”inerenza’ della movimentazione all’attività di impresa, prevista dall’art. 109, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 con riguardo alle componenti negative.’ E ancora che ‘La presunzione, di cui all’art. 51, di omessa fatturazione di ricavi conseguiti dalla società contribuente, correlata agli accertati prelevamenti operati sui conti correnti bancari, ritenuti “uscite di cassa”, deve ritenersi superata qualora gli assegni siano stati regolarmente contabilizzati dalla medesima società e la stessa, come suo onere, fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione.’.
Orbene, secondo il quadro normativo attualmente vigente in materia, l’accertamento condotto sulla base di documentazione extracontabile, può e deve essere contestato positivamente (ossia mediante elementi specifici e certi, non risultando in tal senso sufficiente la mera regolarità formale della contabilità) dal contribuente che quell’accertamento intenda contestare, mediante
la prova dell’infondatezza della pretesa fiscale (Cass. n. 9210/2011, Cass. n. 14150/2016 e Cass., n. 20094/2014 ove si legge ‘Per i redditi di impresa il d.P.R. n. 600/1973, art. 39, primo comma, lett. e) consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare – anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette -l’infondatezza della pretesa fiscale’.).
Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, la sentenza gravata ha dato conto nella motivazione della carenza di prova contraria – di cui era onerato il contribuente -idonea a contrastare l’accertamento tributario operato dall’Amministrazione finanziaria sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta in sede istruttoria. Nella sentenza censurata si legge infatti che ‘Nessuna memoria o documentazione, considerabile prova contraria è stata rinvenuta nel fascicolo di primo grado, regolarmente trasmesso con dettagliato indice, né risulta prodotta nel presente procedimento di gravame’. La valutazione operata dai giudici del gravame quindi, con esito in favore della fondatezza e legittimità dell’accertamento basato sulla documentazione extracontabile, in quanto non adeguatamente contrastata in sede probatoria, non configura alcun vizio di legittimità, confermandosi ex adverso pienamente conforme alla legge. Né è possibile in questa sede di legittimità riesaminare nel merito le risultanze istruttorie oggetto di valutazione dei giudici del gravame.
Il secondo motivo di doglianza si profila inammissibile.
Invero, con la censura in oggetto, la parte intende revocare in dubbio il ragionamento presuntivo posto alla base
dell’accertamento in quanto con lo stesso il giudice del merito avrebbe violato la gerarchia delle presunzioni, attribuendo prevalenza alle risultanze extracontabili in confronto alle risultanze delle indagini finanziarie ex art. 32 d.P.R. n. 600/1973 effettuate nell’ambito di un pvc del 14/12/2006. A tal proposito, senza necessità di entrare nel merito della doglianza, è sufficiente rilevare come l’aspecificità del motivo osti al suo ingresso nello scrutinio che quivi potrebbe avere luogo. Manca infatti sia la prova del fatto storico (non rinvenendosi in atti alcun pvc del 14/12/2006) sia la sua valenza probatoria atta a scardinare il ragionamento presuntivo che intende dimostrare infondato.
Ne consegue l’integrale rigetto del ricorso principale.
Con riferimento al mezzo di impugnazione del ricorso incidentale, deve concludersi per la sua inammissibilità. Ed invero, la difesa erariale si duole della mancata pronuncia del giudice di merito con riferimento al rilievo concernente l’indebita deduzione di oneri non effettivamente corrisposti ai dipendenti (buoni sconto), censurando così, mediante la denuncia di un vizio ricondotto al n. 4), primo comma, art. 360 c.p.c., un profilo insussistente e non emergente dalla sentenza in questione.
Dalla lettura della medesima decisione, difatti, è dato rilevare l’esame del giudice della questione sottoposta al suo vaglio, pur con esito non condiviso dalla parte. Il valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi infatti ‘è rimesso esclusivamente al giudice di merito’, il quale ha ritenuto di non rinvenire la ‘prova che gli stessi non siano stati ritualmente annotati e su cui l’appello dell’Agenzia delle Entrate appare del tutto generico’. La censura intende, pertanto, raggiungere surrettiziamente una nuova valutazione sul punto da parte di questa Corte, la quale tuttavia resta preclusa in sede di legittimità e deve essere dichiarata inammissibile.
La reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
Rilevato che risulta soccombente, quanto al ricorso incidentale, parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, al ricorso incidentale non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, conseguenza che, invece, va applicata a carico della ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025.