Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9515 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9515 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9975/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE . (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LIGURIA n. 357/2015, depositata il 02/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Co. COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente dottor NOME COGNOME, titolare della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, svolgente attività di farmacia in Genova, era attinto da avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006, con ripresa tassazione per maggiore Iva, Irpef, Irap ed addizionale regionale all’esito di applicazione delle risultanze degli studi di settore, previo apposito contraddittorio con il contribuente svoltosi in più giornate.
In tale sede, il titolare della farmacia dichiarava aver iniziato l’attività solo da pochi mesi e che quindi l’anno accertato non era rappresentativo, altresì affermava non rappresentativa neppure la cifra pattuita per rilevare il magazzino, atteso che la scorta di farmaci venduta avrebbe avuto minor prezzo di circa il 30% se acquisita presso i normali fornitori, documentandone il minor prezzo a campione.
Alla luce di tutte queste evenienze, l’Ufficio rimodulava in ribasso l’originario accertamento, ma rifiutava di svalutare la quantificazione di magazzino, preferendo la risultanza certa del contratto di acquisto, rispetto alle affermazioni della parte contribuente assistite dalla prova a campione di alcuni sconti, ritenuti da parte pubblica non rappresentativi del valore affermato.
I gradi di merito erano favorevoli alla parte contribuente, donde ricorre per Cassazione l’Avvocatura generale dello Stato affidandosi ad un unico motivo, cui replica con tempestivo contro ricorso la parte contribuente.
CONSIDERATO
Con l’unico motivo di ricorso, il patrono erariale prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973, dell’articolo
62 sexies del decreto-legge 331 del 1993, nonché degli articoli 2729 e 2697 del codice civile.
Nella sostanza, la parte pubblica rileva una scorretta indicazione contabile da parte privata nella comunicazione dei dati rilevanti, qualificando inizio dell’attività nel corso del periodo d’imposta ciò che era continuazione di attività svolta da altri soggetti; nonché la correttezza nell’applicazione alle risultanze di magazzino del valore convenzionalmente pattuito tra cedente e cessionario, rispetto a quello affermato dal cessionario, qui parte contribuente.
Dev’essere ricordato che i n tema di accertamento basato su studi di settore, il requisito della “grave incongruenza” di cui all’art. 62sexies , comma 3, d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, costituisce presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento su di essi fondati, senza che assuma rilievo, per gli avvisi notificati successivamente al 1° gennaio 2007, la modifica dell’art. 10, comma 1, l. n. 146 del 1998 operata con l’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006, in quanto priva di portata innovativa e diretta ad assicurare, secondo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, una funzione di mera semplificazione e coordinamento normativo attesa l’abrogazione dei commi 2 e 3 del medesimo art. 10, ad opera dell’art. 37, comma 2, lett. b, d.l. n. 226 del 2006, e l’estensione della tipologia di accertamento a prescindere dalla contabilità adottata (cfr. Cass. V, n. 20608/2022), e tanto si pone in coerenza con la giurisprudenza eurounitaria (Cass. V, n. 18249/2021). Nel caso in esame non va sottaciuto che – anche a seguito della rimodulazione a seguito del contraddittorio endoprocedimentale- lo scostamento si fosse ridotto a poco sopra il 10%, al limite quindi per l’adozione della procedura impositiva in oggetto.
Peraltro, il motivo si profila inammissibile ove propone una rivalutazione del compendio probatorio offerto dalle parti nella determinazione del valore di magazzino, per raggiungere un risultato
diverso da quello a cui è pervenuto il giudice di merito, laddove si controverte delle ulteriori giustificazioni offerte dal contribuente per motivare tale successivo divario dal valore statistico dello studio di settore, giustificazioni ritenute valide da l giudice d’appello.
Ed infatti le irregolarità formali contestate dall’Ufficio sono state oggetto di valutazione amministrativa e di riduzione della ripresa a tassazione, rimanendo il contenzioso unicamente sul valore iniziale dei medicinali in magazzino, contrapponendosi il valore di contratto fatto proprio dall’Ufficio, al valore reale sostenuto dalla parte privata e motivatamente ritenute apprezzabili dal collegio di secondo con la sentenza qui in scrutinio.
A questa Suprema Corte di legittimità è inibita ogni valutazione di merito in ordine al profilo probatorio, salvo che siano stati violati i criteri di prevalenza della prova legale, circostanza qui nemmeno rappresentata.
Ed infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011). Più precisamente, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità,
sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
Pertanto, il ricorso è inammissibile e tale va dichiarato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.duemilatrecento/00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento , agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 05/03/2024.