Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30038 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30038 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/11/2025
ORDINANZA
n. 9515/2018 R.G.
COGNOME.
Rep.
A.C. 8 luglio 2025
OGGETTO
:
IRPEF
e
IRAP
Reddito d’impresa
Art. 39, comma 1, d.P.R.
n.
600
sul ricorso (iscritto al n. 9515/2018 R.G.) proposto da:
1973.
COGNOME NOME , nata a Mosciano S. Angelo (TE) il DATA_NASCITA e domiciliata in S ant’Egidio alla Vibrata (INDIRIZZO), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale come in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO, con domicilio digitale come in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘Abruzzo n. 869/03/2017, pubblicata il 18 ottobre 2017;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio dell ‘ 8 luglio 2025, dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l ‘ esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che con sentenza del 22 febbraio 2016, la CTP di Teramo accoglieva il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO emesso, ai fini dell’IRPEF ed addizionali, IVA ed IRAP, dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Teramo per l’anno d’imposta 2011, con cui, ai sensi dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, il reddito della contribuente era stato ricostruito e rideterminato, sulla base degli elementi ricavati dalla dichiarazione dei redditi presentata dalla stessa COGNOME (esaminata tramite l’Anagrafe Tributaria) e da tutti gli altri dati desunti dai registri I.V.A. e dai restanti documenti verificati in occasione dell’accesso in Sant’Egidio alla Vibrata (TE), presso la sede dell’attività commerciale (commercio al dettaglio di piante e fiori). La CTP riteneva condivisibili gli assunti della contribuente che aveva lamentato l’omessa indicazione della norma violata ai fini dell’IVA, l’errata determinazione ed indicazione dell’aliquota IVA applicata, l’errata individuazione ed applicazione della ‘ media aritmetica semplice ‘ utilizzata per i computi RAGIONE_SOCIALE percentuali di ricarico e la mancata verifica RAGIONE_SOCIALE dislocazioni accessorie RAGIONE_SOCIALE merci in sedi diverse da quella principale.
2.L’amministrazione finanziaria proponeva appello, sostenendo l’erroneità della pronuncia adottata dal giudice di prime cure per avere considerato condivisibili le ragioni così come esposte in ricorso. In particolare: a) contestava la carenza di motivazione nella parte in cui la CTP aveva giudicato illegittimo – e, quindi, irrimediabilmente ‘ viziato ‘ -l’atto di accertamento per l’omessa indicazione dei dati normativi anche per quanto atteneva alle violazioni ai fini dell’IVA; b) contestava, poi, la rilevanza determinante conferita dal giudice adito all’indicazione della sola aliquota IVA del 20% (venti percento), riportata nell’avviso stante il fatto
che, nel prosieguo e ben prima del contenzioso, essa RAGIONE_SOCIALE aveva, in autotutela, ridimensionato la preponderanza RAGIONE_SOCIALE operazioni imponibili con l’aliquota al 10% (dieci percento), residuando il solo 8,92% (otto virgola novantadue percento) di esse come assoggettabili alla maggiore aliquota del 20% (venti percento); c) censurava, inoltre, l’altro argomento, connesso a quest’ultimo, concernente la misura dell’aliquota, espresso nella pronuncia circa l’asserita erroneità della adottata misura del ricarico medio; a suo dire, infatti, proprio la constatata prevalenza RAGIONE_SOCIALE operazioni imponibili al 10% (dieci percento) e le connesse rettifiche apportate in sede di autotutela avrebbero dimostrato la sostanziale ininfluenza RAGIONE_SOCIALE contestazioni sul ricarico medio applicato; d) da ultimo evidenziava che assolutamente pretestuosi erano da considerare tutti i riferimenti – anch’essi giudicati di rilievo dal primo giudice – alla presenza di merci dislocate, in base agli assunti della contribuente, in sedi accessorie a quella principale, sia per l’assenza di prove adeguate sul punto sia per la mancata esibizione od accenni a documentazione di supporto che ne giustificasse il vaglio.
La sentenza impugnata accoglieva l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE, osservando: « nel corpo dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO (a fol. 4 ed, ancora, a fol. 8, 9 e 10), sebbene sia mancata la formale “indicazione della norma violata ai fini IVA” (come si assume dalla Commissione adita), sia stato, però, enunciato, espressamente ed ampiamente, che “l’infedele” dichiarazione aveva palesato specifiche violazioni non già solo RAGIONE_SOCIALE norme disciplinanti gli obblighi relativi alle imposte sulle persone fisiche ed all’I.R.A.P. ma anche di quelle riguardanti l’I.V.A. ed i connessi poteri accertamento» «nell’avviso, dell’aliquota I.V.A., che è stato ritenuto in quell’ambito di indicare come pari al 20%, anziché pari al 10%, per la quasi totalità RAGIONE_SOCIALE operazioni imponibili. L’inesattezza – pur presente nell’atto -è stata sanata, sua sponte e prima dell’odierno contenzioso, “in autotutela” dalla stessa RAGIONE_SOCIALE che ne ha portato pienamente a conoscenza la COGNOME»
«le censure dell’appellante vanno condivise pure in relazione ai punti b) e c) del gravame (salvo apportare le corrispondenti rettifiche – anche per quanto concerne l’entità RAGIONE_SOCIALE sanzioni -al contenuto dell’avviso di accertamento che, contrariamente a quanto pretenderebbe l’RAGIONE_SOCIALE, va, come si dirà di seguito, opportunamente adeguato a quanto già disposto in autotutela ed integrato) » …« la COGNOME, nello stesso primo giorno (in data 23.9.2011 alle ore 9.00) dell’accesso dei funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Teramo presso l’esercizio della contribuente in INDIRIZZO, di Sant’Egidio alla Vibrata, abbia a loro effettivamente fatto cenno, come assume l’appellata, dell’esistenza di altra merce, oltre a quella giacente nei locali ove veniva svolta l’attività di commercio, presso la propria abitazione, all’interno di un furgone utilizzato per i trasporti ed all’interno di un “ripostiglio” posseduto presso il locale cimitero (cfr. la copia del processo verbale in atti). Ma siffatta circostanza, quand’anche non discutibile, in nulla avrebbe potuto e può incidere – contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice -sull’applicazione della “media” (aritmetica o ponderata) per il calcolo RAGIONE_SOCIALE percentuali di ricarico: ciò, principalmente, perché la COGNOME non ebbe a dedurre che presso quegli “accessori” dell’esercizio (peraltro neppure adeguatamente identificati ed individuati stante la genericità estrema RAGIONE_SOCIALE indicazioni) giacevano altri documenti fiscali utili alla ricostruzione della giacenze e dei dati necessari alla verifica in atto; si badi che, all’atto dell’accesso, i funzionari predetti com’è ugualmente evincibile dalla copia dell’anzidetto processo verbale di accesso del 23 settembre 2011 (vedi a fol. 2 della copia in atti) – avevano esaustivamente e chiaramente invitato la COGNOME “ad esibire le scritture contabili, i libri, i registri e tutta la documentazione attinente l’attività esercitata..”, segnalando, tra l’altro, le conseguenze di rifiuto o di carenza di esibizione degli stessi. Non va, peraltro, dimenticato che nel caso in esame la RAGIONE_SOCIALE, comportandosi nei termini sopra descritti, avrebbe violato sia il dovere di tenere a disposizione presso l’esercizio (od il suo consulente) tutta la documentazione inerente alla propria attività sia il
parallelo dovere di indicare, ab initio, presso la RAGIONE_SOCIALE competente tutte le possibili sedi alternative od accessorie a quella – unica – indicata, invece, quale sede dell’impresa. Pertanto, diversamente da quanto opinato dalla Commissione già adita in primo grado, neppure dall’omessa valutazione da parte dei verificatori RAGIONE_SOCIALE merci asseritamente esistenti altrove, potrebbe dedursi un qualche illegittimità dell’accertamento od, almeno, la mancata colpevole considerazione ad opera dell’ufficio procedente RAGIONE_SOCIALE stesse merci ai fini della “ricostruzione dei ricavi”».
3.Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, la contribuente COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
4.- L ‘ RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per la sua motivazione apparente, deducendo la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, per essere stata completamente travisata la dichiarazione di parte circa l’esistenza di altri punti vendita e di rimanenze presso questi ultimi.
Sostiene, in sintesi, che i giudici della CTR non avrebbero correttamente inteso le dichiarazioni della contribuente, così finendo con l’ avvalorare quanto sostenuto dall ‘amministrazione finanziaria appellante . E ciò in quanto, la quantificazione dei beni presenti presso gli altri punti vendita avrebbe evidentemente ridotto, o addirittura azzerato, l’ammontare RAGIONE_SOCIALE rimanenze non riscontrate al momento del l’ accesso, con conseguente abbattimento dei maggiori ricavi imputati all’attività della contribuente.
2.- La censura è infondata e inammissibile.
È infondata, perché dalla lettura della dichiarazione, così come riportata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (cfr.,
all’uopo, la pag. 2, capoverso contrassegnato dal numero ‘ 2. ‘ RAGIONE_SOCIALE allegazioni in fatto), non è possibile desumere alcun travisamento di essa.
La CTR, infatti, ha chiarito che « la COGNOME non ebbe a dedurre che presso quegli ‘accessori’ dell’esercizio (peraltro neppure adeguatamente identificati ed individuati stante la genericità estrema RAGIONE_SOCIALE indicazioni) giacevano altri documenti fiscali utili alla ricostruzione della giacenze e dei dati necessari alla verifica in atto ».
La motivazione, dunque, non è né insufficiente o mancante, né contraddittoria e tanto meno apparente, atteso che, per come dato atto nella parte relativa allo svolgimento del processo, essa risulta congrua, logicamente argomentata ed effettiva sia dal punto di vista grafico che contenutistico (Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01), ponendosi ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost.
Al riguardo, deve, infatti, ricordarsi il principio nomofilattico in base al quale « La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01, cui hanno fatto seguito numerose pronunce conformi RAGIONE_SOCIALE sezioni ordinarie,
tra cui Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01, nonché Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 6986 del 9 marzo 2023, Rv. 667340-01, in motivazione).
Peraltro, la censura presenta anche un indubbio profilo d’inammissibilità, perché finisce con l’infrangersi contro il consolidato principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. civ., ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01). E ciò, in quanto il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01).
3.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla metodologia di ricarico utilizzata nell’accertamento.
Sostiene, infatti, che, nella sentenza impugnata, non sarebbe stata affatto esaminata la metodologia di ricarico utilizzata nell’accertamento,
nonostante l’amministrazione finanziaria avesse proposto al riguardo specifico motivo di appello che era stato anche accolto dalla CTR.
4.- Anche censura risulta palesemente inammissibile, giacché se è certamente vero che nella sentenza impugnata viene l’afferma ta la fondatezza del motivo di appello di cui si tratta, senza alcuna adeguata spiegazione (nel senso che la questione relativa alla percentuale di ricarico non viene minimamente affrontata), risulta nondimeno altrettanto innegabile come la CTR abbia pronunciato sul relativo motivo d’appello, cosicché non vi è alcuna omessa pronuncia. Né, del resto, questa Corte può prendere in esame la sussistenza di un’ omessa motivazione che, nella specie, non è stata in alcun modo dedotta dalla ricorrente mediante la propos izione di uno specifico motivo d’impugnazione ex art t. 132, comma 2, n. 4) e 360, comma 1, n. 4), c.p.c.
Del resto, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. » (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 27551 del 23 ottobre 2024, Rv. 67273101).
5.- Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e
dell’art. 7 l. n. 212 del 2000, per omessa indicazione nell’avviso di accertamento della normativa IVA applicata.
In sostanza, la ricorrente lamenta che non sarebbe stata indicata la tipologia di controllo effettuata ai fini IVA e l’aliquota applicata.
6.- Anche tale censura risulta palesemente inammissibile, poiché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata dalla quale emerge, in maniera piuttosto chiara ed evidente, com e l’amministrazione finanziaria avesse fatto applicazione dell’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e che era stata applicata l’aliquota del 20% (venti percento) a fini IVA, poi rimasta inalterata solo con riguardo all’8,92% (otto virgola novantadue percento) RAGIONE_SOCIALE operazioni e rettificata in quella del 10% (dieci percento) con riguardo al 91,08% RAGIONE_SOCIALE operazioni.
7.- Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione della tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, alla voce 20 e dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972, per errata determinazione dell’aliquota IVA, nonché per omessa motivazione.
8.- Anche tale censura risulta inammissibile in quanto, come risulta evidente dalla lettura e disamina del suo sviluppo argomentativo (presente nelle pagg. 18-21 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità), si risolve nella pretesa di una ricostruzione della vicenda fattuale, alternativa rispetto a quella già operata dal giudice del merito e in un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio, notoriamente precluso in sede di legittimità. In altri termini, la censura risulta chiaramente diretta a denunciare un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. le già citate Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01;
cfr., altresì, in epoca recente, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 25182 del 19 settembre 2024).
Né, del resto, può reputarsi sussistente un difetto di motivazione, atteso che la CTR ha, sia pure in maniera sintetica, chiarito la correttezza della valutazione compiuta dall’amministrazione finanziaria mediante la rettifica dell’aliquota IVA applicata con riguardo alla quasi totalità RAGIONE_SOCIALE operazioni (nella misura del 91,08% del totale) realizzate dalla contribuente.
9.- Con il quinto (e ultimo) motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 53 d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, al riguardo, che con l’atto di appello dell’RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stato impugnato il capo della sentenza relativo alla condanna alle spese legali, né tale atto conterrebbe alcun motivo di impugnazione circa la soccombenza affermata dalla CTP. Nel ricorso in appello non sarebbe stata trascritta né indicata la parte della sentenza che aveva statuito la condanna dell ‘a mministrazione finanziaria alla corresponsione RAGIONE_SOCIALE spese legali. Di conseguenza, la statuizione relativa alle spese di lite sarebbe passata in giudicato e non avrebbe potuto essere riformata dalla CTR.
10.- La censura è manifestamente infondata.
Ed invero, come si è già sopra chiarito, la CTR si è attenuta al principio più volte affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui « Il giudice di appello, allorché riforma in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad una nuova regolamentazione RAGIONE_SOCIALE intere spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, poiché l’onere RAGIONE_SOCIALE stesse deve essere attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della controversia. » (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 12963 del 4 giugno 2007, Rv. 597604-01; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 1775 del 24 gennaio 2017, Rv. 64273801, secondo cui « In materia di liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese giudiziali, il giudice
d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese. », nonché, da ultimo, Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 16526 del 13 giugno 2024, Rv. 671298-03, secondo cui « Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione. »).
Nella specie, dunque, del tutto correttamente la CTR ha proceduto d’ufficio (e, dunque, anche in assenza di uno specifico motivo d’impugnazione) ad un nuovo regolamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite relative al giudizio di primo grado, avendo accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria e riformato la sentenza della CTP di Teramo, sia pure gravando l ‘ RAGIONE_SOCIALE di procedere alla rettifica e integrazione, nei termini specificati in motivazione, dell ‘ avviso di accertamento per effetto RAGIONE_SOCIALE variazioni, già apportate in sede di autotutela, sia all ‘aliquota IVA, sia all’entità RAGIONE_SOCIALE conseguenti sanzioni.
Né, del resto, può essere sindacata la scelta, operata dalla CTR, in ordine alla compensazione parziale, giacché, come noto, nel giudizio di legittimità il sindacato sulle pronunzie dei giudici del merito riguardo alle spese di lite è diretto esclusivamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico
della parte totalmente vittoriosa, restando del tutto discrezionale – e insindacabile – la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi (Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 26912 del 26 novembre 2020, Rv. 659925-01).
11.- In conclusione, il ricorso deve essere respinto e la contribuente condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
12.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 4.300,00 (euro quattromilatrecento/00), oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 8 luglio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME