Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3066 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
Oggetto: accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15512/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Oristano alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) dalla quale è rappresentato e difeso in forza di procura speciale in atti
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna n. 438/01/2020 depositata in data 04/12/2020, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–COGNOME NOME, esercente l’attività di impresa di costruzioni, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio rideterminava reddito d’impresa per il periodo d’imposta 2005 richiedendo maggiore Irpef, Iva e Irap oltre ad interessi e sanzioni; la pretesa derivava dalla rideterminazione dei corrispettivi della cessione di n. 7 immobili, dichiarati, secondo l’Ufficio, in misura significativamente inferiore al valore di mercato e quindi al prezzo che si contestava di conseguenza come effettivamente praticato;
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso; appellava il contribuente;
con la pronuncia gravata il giudice dell’appello ha confermato la decisione di primo grado;
ricorre a questa Corte COGNOME NOME con atto affidato a sette motivi di doglianza che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c.;
-l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
Considerato che:
il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, vale a dire dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000, degli artt. 3, 24, 97 Costi., dell’art 41 della Carta Fondamentale UE e dell’art. 1 L. 241 del 1990 per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante lo stesso sia stato notificato senza l’osservanza del termine dilatorio di 60 giorni dall’atto conclusivo dell’indagine; il tutto con omessa attivazione della obbligatoria fase del contraddittorio preventivo e/o endoprocedimentale;
il motivo è infondato;
-la sentenza impugnata ha accertato come ‘l’avviso, infatti, è stato emesso al termine di un controllo basato sull’esame della documentazione contabile richiesta al contribuente ai sensi dell’art 32 del D.P.R. 600 del 1973 e dell’art. 51 del D.P.R. 633 del 1972 e sull’autonomia istruttoria dell’Ufficio, senza accessi a ispezioni presso la sede dell’imprenditore’;
-pertanto, quanto all’imposizione reddituale e all’irap basta osservare non è stato eseguito alcun accesso, ispezione o verifica a seguito del quale sorge l’obbligo per l’Agenzia delle Entrate di attendere i sessanta giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento;
con riferimento a ll’ iva, la stessa sentenza impugnata ancora ha accertato come ‘… la ricorrente invoca il diritto a partecipare ai contraddire all’interno del procedimento di accertamento sostenendo che in tal modo avrebbe potuto ‘porre all’attenzione dell’Ufficio le stesse deduzioni odiernamente fatte valere in sede giudiziale’ le quali tuttavia essendo questioni di stretto diritto (infondate, come si dirà meglio in prosieguo) senza margini di valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione finanziaria, non avrebbero potuto incidere sul contenuto dell’accertamento emesso’; ne deriva che in concreto la c.d. ‘prova di resistenza’ non è stata dedotta, poiché si è escluso da parte della CTR che le deduzioni del contribuente potessero costituire giustificazione idonea allo svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale;
-tali elementi, infatti, non avrebbero condotto l’Ufficio a modificare le proprie pretese come poi formalizzate nell’avviso di accertamento, in quanto tali da porre solo questioni di diritto: nel concreto allora, alla luce di quanto accertato dalla sentenza, come sopra riportato, non risulta quindi sia stata dedotta -con ciò non ponendosi alcuna questione in ordine al suo concreto contenuto -la c.d. ‘prova di resistenza’;
il secondo motivo censura la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 24 c. 4 e c. 5
della L. n. 88 del 2009 e all’art. 35 c. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 e alla lett. d) del comma 1 dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 24 c. 5 della L. n. 88 del 2009; secondo parte ricorrente la sentenza di appello avrebbe fatto erronea applicazione delle norme di legge per determinare i valori delle cessioni immobiliari e i conseguenti redditi non dichiarati;
– il motivo è infondato;
come si evince dalla lettura della sentenza impugnata (punto n. 7.1. a pag. 2), in realtà la stessa ha fondato la ricostruzione induttiva dei ricavi derivanti dalla cessione degli immobili, come scrive …’ utilizzando una pluralità di elementi di fatto e di indizi, tutti convergenti nel ritenere non veritieri i prezzi di vendita indicati negli atti notarili di compravendita….’; si tratta in dettaglio delle ‘… significative divergenze con i valori ricavati dall’osservatorio prezzi (sia dell’agenzia del territorio che dalla Camera di Commercio)’ ma anche -che più conta ‘… La concessione di mutui per l’acquisto di importo superiore al prezzo indicato in fattura e corrispondente a oltre l’ottanta per 100 del valore di mercato, la contraddittorietà nell’indicare il medesimo prezzo per immobili di tipologia notevolmente diversa’;
trova quindi applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, sia pure negandone l’automaticità e decisività a fini probatori, le risultanze OMI e gli importi dei mutui connessi agli acquisti di immobili possano comunque costituire elementi presuntivi atti a fondare, in difetto di prova contraria da parte del contribuente, la pretesa tributaria; -nel dettaglio, si è ritenuto ancora recentemente che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2155 del 25/01/2019) nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972,
sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv. in I. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità; tale elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di “presumptio de presumpto”;
e nel presente caso, le risultanze OMI, unitamente agli importi dei mutui contratti dagli acquirenti i beni ceduti dalla società contribuente risultavano confermativi della pretesa (sentenza impugnata ultima pagina, terza riga); pertanto tali elementi non potevano esser liquidati semplicemente ritenendoli “non sufficienti a giustificare la pretesa erariale” quantomeno con riguardo alle operazioni nelle quali l’importo del mutuo era superiore al prezzo dichiarato e il valore OMI indicava una incongruenza del prezzo stesso proprio rispetto alle risultanze in parola;
il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’ art. 3 L. n. 241 del 1990, all’art. 7 della L. n. 212 del 2000, all’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 41 c. 2 lett. C) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 34 e all’art. 27 Cost. e all’art. 112 c.p.c. per avere erroneamente la sentenza di appello rigettato il motivo relativo al difetto assoluto di motivazione dell’avviso di accertamento qui impugnato;
il motivo è infondato in quanto privo di decisività;
la sentenza impugnata ha ritenuto sia debitamente motivato l’avviso di accertamento, sia fornita alle prova della pretesa con esso formulata, poiché ha rilevato la presenza di ulteriori elementi a sostegno di entrambi i profili dell’atto impositivo in aggiunta alle risultanze OMI; essa quindi ha correttamente pronunciato sia nel riconoscere debitamente illustrato nell’avviso di accertamento l’iter
logico giuridico seguito dall’Ufficio nell’esplicare le ragioni poste alla base del proprio agire, sia nel riconoscere fornita la prova della maggiore pretesa, non basandosi la stessa unicamente sulle risultanze OMI;
ciò si evince anche da un chiaro passaggio argomentativo della sentenza della CTR la quale (punto 7.2., secondo periodo) scrive: ‘Da quanto osservato in tema di motivazione e prova dell’impugnato accertamento, si ricava, altresì, che l’ufficio non si è basato su una presunzione legale introdotta per effetto dell’art. 35, comma 23 -bis, del decreto legge n. 223 del 2006….’, esso invece sempre secondo la pronuncia di merito -ha adottato una rettifica ‘… fondata sull’analisi di diversi elementi convergenti (come i valori tratti dalla banca dati RAGIONE_SOCIALE o la difformità tra il prezzo e il maggiore importo del mutuo richiesto dagli acquirenti…’;
peraltro, il dipanarsi dei gradi del merito dimostra con chiarezza come la motivazione contestata con il motivo in esame sia stata in realtà ben percepita dal contribuente che l’ha contrastata difendendosi nei propri atti in modo puntuale e analitico; se la deve concludere quindi che la motivazione fosse del tutto idonea a sostenere l’atto impugnato;
trova quindi conferma e applicazione in questa sede, essendosi nel concreto allineato ai principi da essa espressa, quella giurisprudenza di Legittimità secondo la quale (in termini Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22804 del 13/08/2024) l’avviso di liquidazione (o di accertamento) della maggiore imposta dovuta non è sufficientemente motivato se ha rettificato il valore dell’immobile facendo esclusivo riferimento alle quotazioni OMI (esclusivo riferimento che qui sussiste per quanto sopra detto) poiché queste, in difetto di ulteriori elementi, non indicano congruamente il valore venale in comune commercio del bene – che può variare in funzione di molteplici parametri, quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione
nello strumento urbanistico e lo stato delle opere di urbanizzazione ed integrano un elemento privo dei requisiti di precisione e gravità;
-il quarto motivo si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. e della violazione falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., di error in procedendo ex art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 115 e all’art. 116 c.p.c. per omesso esame del motivo di ricorso e della relativa prova sul valore reale degli immobili;
il motivo è inammissibile;
-vertendosi nella fattispecie in situazione di c.d. ‘doppia conforme’, essendo risultato il contribuente soccombente in ambo i gradi di merito, situazione prevista dall’art. 348 – ter, comma 5, c.p.c. (ratione temporis vigente, ora trasfuso nell’art. 360, quarto comma, c.p.c.), il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica, come qui invero avviene, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra molte, Cass. Sez.3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023; Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
il quinto motivo lamenta la violazione falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 24 Cost. e 2697 c.c. per mancato assolvimento da parte dell’Agenzia delle entrate all’onere della prova del quale era gravata;
-secondo parte ricorrente l’Amministrazione Finanziaria per emettere l’avviso di accertamento per cui è causa si limita a fare riferimento al prezzo di vendita indicato in una serie di atti pubblici di compravendita ed al valore indicato negli atti di mutuo senza produrli in giudizio. Lo stesso dicasi delle stime dell’OMI a cui fa riferimento l’Agenzia delle Entrate senza produrle in giudizio;
il motivo è all’evidenza inammissibile;
non si evince infatti nella sentenza impugnata né da alcun atto del processo trascritto il ricorso per Cassazione che tale censura sia stata proposta nei gradi di merito; la stessa e quindi nuova poiché introdotta per la prima volta davanti a questa Corte di cassazione e va dichiarata appunto inammissibile;
il sesto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente dell’art. 91 c.p.c., per avere la sentenza impugnata liquidato le spese di giudizio in favore dell’Ufficio in mancanza di costituzione dello stesso a mezzo dell’avvocatura dello Stato di un difensore abilitato;
il motivo è infondato;
basti sul punto osservare che la liquidazione delle spese in favore dell’ente pubblico, vincitore in giudizio, che si difende a mezzo di suoi funzionari delegati, è espressamente prevista sin dall’introduzione del comma 2 bis nel corpo dell’art. 15 del d. Lgs. n. 546 del 1992 (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27634 del 11/10/2021, Rv. 662425 -01);
il settimo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 111 c. 6 Cost e all’art. 36 c. 2 n. 4 d. Lgs. n. 546 del 1992 per totale carenza di motivazione della sentenza in ordine la liquidazione delle spese in particolare con riguardo al mancato riconoscimento della riduzione delle stesse del 20% essendo l’Ufficio stato difeso da proprio personale;
il motivo è infondato;
-come si evince dall’avviso di accertamento prodotto a questa Corte da parte controricorrente, il valore della controversia colloca la lite nello scaglione compreso tra euro 52.000 ed euro 260.000; nondimeno, non vi era certo obbligo del giudice di merito di liquidare le dette spese nel minimo, ben potendo applicarsi l’ammontare medio;
pertanto, la determinazione delle spese risulta corretta, poiché la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi,
non richiede apposita motivazione e non va sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020);
in conclusione, il ricorso va rigettato;
le spese sono liquidate in dispositivo secondo la soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore di parte controricorrente che liquida in euro 8.200,00 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.