Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5119 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5119  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
Oggetto:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21403/2016 R.G. proposto da NOME  COGNOME,  in  proprio  e  in  qualità  di  rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con gli avv.i NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME e con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata  e  difesa  dall’RAGIONE_SOCIALE,  con domicilio ex lege in Roma, alla INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso  la  sentenza  della  Commissione  Tributaria  regionale  della Liguria, Genova, n. 216/03/2015 pronunciata il 26 novembre 2015 e depositata l’11 febbraio 2016 , non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07 febbraio 2024 dal Co: NOME COGNOMENOME COGNOME;
RILEVATO
RAGIONE_SOCIALE ero oggetto di una verifica fiscale per l’anno d’imposta 20 08. Segnatamente l’Ufficio riteneva che le operazioni fatturate dall’RAGIONE_SOCIALE afferissero a operazioni inesistenti e che il sig. COGNOME, che da poco era cessato dalla carica di legale rappresentante, avesse utilizzato l’RAGIONE_SOCIALE per procurare a sé e a terzi un vantaggio fiscale. L’Ufficio concludeva così la sua verifica, che aveva incluso anche accesso ai locali della contribuente, in data 25.07.2013 con consegna del pvc al sig. COGNOME. L’Ufficio apprendeva però che quest’ultimo non era più il legale rappresentante sicché la verifica veniva riaperta con richiesta tra l’altro, del verbale di assemblea di nomina dell’amministratore, identificato nel sig. NOME COGNOME, cui in data 14.10.2013 veniva notificato il pvc. In data 26.11.2013 l’Ufficio emetteva poi l’avviso di accertamento ai fini Ires, Iva e Irap.
L’RAGIONE_SOCIALE adiva così il giudice di prossimità impugnando l’atto  impositivo  ivi  svolgendo  censure  attinenti  tanto  al  merito quanto al procedimento seguito dall’Amministrazione finanziaria, in cui favore esitavano i due gradi di merito.
Ricorre  per  la  cassazione  della  sentenza  il  sig.  COGNOME  in proprio  e in qualità  di  legale  rappresentante  dell’RAGIONE_SOCIALE, svolgendo dieci censure. Replica l’Amministrazione finanziaria con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni.
CONSIDERATO
Con il primo motivo la parte ricorrente prospetta la illegittimità della  sentenza  impugnata  per  violazione  e/o  falsa  applicazione dell’art. 12, co. 7, L. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
1.1 In sintesi, critica la decisione della CTR che non si sarebbe avveduta del fatto che l’avviso di accertamento era stato emesso prima RAGIONE_SOCIALE scadere del 60 giorni previsti dall’art. 12 citato (14.10.2013 -26.11.2013). Soggiunge che in sentenza sarebbe stato riconosciuto il compimento di altri atti istruttori volti ad accertare l’assetto sociale sicché sarebbe ininfluente la validità o l’invalidità della notifica al sig. COGNOME, dovendo avere unicamente riguardo a quella del 14.10.2013, suscettibile di far nuovamente decorrere il termine dilatorio dei sessanta giorni.
Con  il  secondo  motivo  il  ricorrente  denunzia  ancora  la illegittimità  della  sentenza  impugnata  per  violazione  e/o  falsa applicazione dell’art. 12, co. 7, L. n. 212/2000 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.
2.1 In sostanza afferma che l’Ufficio avrebbe illegittimamente operato allorquando ha notificato un primo pvc nelle mani del sig. COGNOME e ha poi riaperto l’istruttoria per eseguire degli accertamenti sull’assetto sociale. Ne deduce quindi l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio giacché il pvc dovrebbe essere redatto e notificato solo a chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni di verifica, non essendo ammissibile la notifica di ulteriori atti di istruzione, tanto più che nel caso in commento sarebbe stata ritenuta regolare la prima notifica.
I due motivi, strettamente connessi tra loro, possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili per difetto di autosufficienza e perché non contestano la reale ratio decidendi della sentenza impugnata.
3.1 Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, secondo cui nel primo motivo si potrebbe ‘ prescindere dalla validità o (invalidità) della notifica effettuata a mani  del sig. COGNOME salvo poi
considerarla invalida nel secondo per illegittimo esercizio di ulteriore attività , la decisione della CTR è concentrata quasi unicamente sulla validità della notifica eseguita in data 25.07.2012, che viene invero accertata dalla CTR, e sul fatto che il sig. COGNOME, al momento della notifica del pvc eseguita nei suoi confronti, si era qualificato come legale rappresentante. Più specificatamente la CTR ha fondato la sua decisione di validità della notifica del 25.07.2012 su due circostanze di fatto: da un lato la circostanza che il sig. COGNOME si fosse dichiarato legale rappresentante al momento della notifica del pvc (circostanza, quest’ultima, che risulterebbe financo nella sua relata di notifica) e, dall’altro, il fatto che a tale data la modifica del legale rappresentante non era conoscibile ai terzi, e quindi nemmeno all’amministrazione finanziaria, tramite l’accesso alle informazioni detenute presso la RAGIONE_SOCIALE, con conseguente sua convinzione che la legale rappresentanza fosse ancora in capo al sig. COGNOME (Cfr. Cass., V, 24262/2022). Orbene, alcuna RAGIONE_SOCIALE due suddette circostanze sono state censurate nei motivi di ricorso, né la parte ricorrente si è premurata, ai fini dell’autosufficienza, di riportare in atti la suddetta relata. In estrema sintesi, le due censure vanno dichiarate inammissibili giacché il ricorrente non censura le specifiche ragioni che hanno indotto la CTR a dichiarare valida la notifica del pvc eseguita a mani del sig. COGNOME.
5. Con la terza doglianza il ricorrente avanza censura ex art. 360, co.  1,  n.  3  c.p.c.  di  illegittimità  della  sentenza  impugnata  per violazione  e/o  falsa  applicazione  degli  artt.  33,  co.  2,  d.P.R.  n. 600/1973 e 52, co. 1, d.P.R. 633/1972, violazione dell’art. 7, co. 1, L. n. 212/2000 e illegittimità derivata dell’avviso di accertamento per illegittimità  del  provvedimento  di  autorizzazione  alla  verifica  in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
4.1 In sostanza fonda la dedotta illegittimità sulla circostanza che l’autorizzazione all’accesso, esibita alla contribuente, sarebbe stata sottoscritta  non  tanto  dal  Capo  Ufficio  come  previsto  dall’art.  52
citato, quanto da altro funzionario dott. COGNOME, ancorché per delega del Direttore. Inoltre, e quand’anche fosse ammissibile tale delega, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe comunque errato avendo omesso di verificare tanto la sua esistenza quanto la sua validità.
Il motivo è infondato.
5.1 Come già affermato da questa Corte «che in tema di accertamento dell’IVA, l’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (richiamato per le imposte dirette dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) prevede, al primo comma, l’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria presso i locali adibiti all’esercizio commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero presso i locali adibiti ad uso promiscuo (e, dunque, anche abitativo) e, al secondo comma, l’accesso presso i locali adibiti ad uso diverso e, dunque, esclusivamente abitativo: nel primo caso, è richiesta la semplice autorizzazione del capo dell’ufficio e del procuratore della Repubblica, senza l’indicazione di specifici presupposti, ponendosi tali autorizzazioni come meri adempimenti procedimentali, legati alla necessità che la perquisizione sia avallata da un’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata; nel secondo caso, invece, l’autorizzazione del procuratore della Repubblica presuppone la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, trovando il suo fondamento nell’inviolabilità del domicilio di cui all’art. 14 Cost. (Sez. 5, n. 25650 del 15/10/2018; Sez. 5, n. 26829 del 18/12/2014)» (cfr. Cass., V, n. 11803/2019).
5.2 Va soggiunto che «La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio,
senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verificai della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass., n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 01)…… Pur riguardando tali principi di diritto la sottoscrizione dell’atto impositivo conclusivo del procedimento di verifica tributaria, è tuttavia evidente la loro estensibilità all’autorizzazione de qua, secondo il generale canone logico-giuridico che “il più comprende il meno”, essendovi la stessa ragione giuridica a basamento della soluzione interpretativa dell’una e dell’ai tra questione» (Cfr. Cass., V, n. 1698/2021).
5.3  Pertanto,  e  in  disparte  il  fatto  che  il  contribuente  non  ha trascritto  né  allegato,  ai  fini  della  necessaria  autosufficienza  del motivo, il processo verbale di constatazione con la descrizione RAGIONE_SOCIALE contestate operazioni di accesso, il motivo va disatteso.
Con il quarto motivo la parte ricorrente denunzia l’omessa pronuncia e la violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. con riferimento al primo motivo di ricorso nel merito avente ad oggetto ‘ contraddittorietà della ricostruzione induttiva effettuata dall’Ufficio. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca della motivazione del provvedimento impugnato. Violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, violazione dell’art. 7 L. n. 212/2000 (c .d. Statuto dei diritti del contribuente). Illegittimità della sentenza impugnata. Omessa pronuncia. Violazione dell’art. 112 c.p.c.’. Segnatamente, trascrive il dedotto motivo, ove le operazioni sarebbero state considerate esistenti ai fini dell’applicazione RAGIONE_SOCIALE imposte sul reddito e inesistenti ai fini IVA ai sensi dell’art. 21, co. 7, d.P.R. n. 633/1972, per poi denunciare l’omessa p ronuncia.
7. Il motivo è infondato «perché non ricorre omessa pronuncia ma rigetto implicito della questione che risulta incompatibile con la decisione adottata (Cass. n. 12652 del 2020). 3.2. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di
omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti, come in questo caso, il rigetto o l’impossibilità di esame pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Il Giudice, invero, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione RAGIONE_SOCIALE parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n. 12652 del 2020)» (Cfr. Cass., V, n. 1863/2024).
7.1  Nella  fattispecie  in  esame  la  CTR  si  è  pronunciata  sulla legittimità  dell’accertamento  compiuto  dall’Ufficio  ancorché  senza richiamare ogni singola contestazione del contribuente, mentre si è pronunciata,  in  modo  peraltro  espresso,  sull’infondatezza  RAGIONE_SOCIALE relative allegazioni in rapporto all’I VA dovuta in caso di operazioni inesistenti e all’applicazione dell’art. 21, co. 7, d.P.R. n. 633/1972.
Con la quinta censura il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., l’illegittimo disconoscimento della natura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’illegittima disapplicazione del regime  fiscale  di  vantaggio  previsto  in  materia  di  associazioni
sportive dilettantistiche, la violazione della L. n. 398/1999 nonché l’illegittima applicazione dell’IRAP in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
8.1 In sintesi afferma che la CTR avrebbe omesso di illustrare il percorso  logico  giuridico  seguito  per  giungere  alla  decisione  di confermare  la  legittimità  dell’accertamento  con  specifico  riguardo alla qualificazione dell’RAGIONE_SOCIALE come ‘soggetto di comodo’ e alla correttezza degli importi determinati negli avvisi.
8.2 Il motivo può essere «riqualificato secondo il paradigma del n.4, comma primo, art.360 cod. proc. civ., in applicazione del principio di diritto ai sensi del quale «L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato» (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239)» (Cfr. Cass., V, n. 18770/2020). Nella fattispecie in esame il motivo denunciato attiene alla nullità della decisione per mancata espressa ricostruzione dell’iter logico seguito e, quindi, alla apparenza della motivazione.
Con il sesto motivo la parte ricorrente denunzia la violazione e/o  falsa  applicazione  dell’art.  2697  c.c.  e  dell’art.  2729  c.c.  e l’illegittima  alterazione  degli  oneri  probatori  gravanti  sulle  parti  in causa ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
9.1 In sostanza denunzia l’illegittimità della sentenza giacché, a norma dell’art. 2697 c.c., gravava sull’Amministrazione finanziaria attore sostanziale l’onere di provare i fatti costituitivi della pretesa erariale, onere che l’Ufficio non avrebbe asso lto.
Con il settimo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione e/o  falsa  applicazione  dell’art.  39  d.P.R.  n.  600/1973,  violazione dell’art.  1  d.P.R.  n.  917/1986,  violazione  dell’art.  53  Cost.,  la tassazione  di  un  reddito  che  l’Ufficio  afferma  essere  i nesistente,
l’irragionevolezza  e  incongruità  della  ricostruzione  induttiva  del reddito, la contraddittorietà dell’avviso di accertamento impugnato, l’eccesso di potere per manifesta arbitrarietà, la violazione e/o falsa applicazione  dell’art.  8,  co.  1,  2  e  3  d.l  n.  16/2012,  l’illegittima imposizione di componenti positivi afferenti a costi e spese illegittimamente ritenute non inerenti all’attività della società contribuente in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
10.1 In sintesi critica la sentenza per aver ripreso a tassazione ricavi ritenuti inesistenti e fittizi, come tali mai percepiti, e per di più in  spregio  al  principio  di  capacità  contributiva,  così  avvallando l’accertamento illogico e contraddittorio condotto dall’Ufficio.
 Il  nono  motivo,  che  viene  qui  anteposto  per  ragioni  di connessione,  concerne  l’omessa  pronuncia  in  relazione  al  quinto motivo  di  ricorso  nel  merito:  ‘ In  ogni  caso:  illegittimo  mancato riconoscimento  dei  costi.  Violazione  dell’art.  39,  co.  2,  d.P.R.  n. 600/1973’. Illegittimità  della  sentenza  impugnata  per  violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co.1, n. 4 c.p.c.
11.1 In sostanza denunzia l’illegittimità della sentenza per non essersi la CTR pronunciata sul motivo di ricorso avente ad oggetto la determinazione del reddito, che poteva avvenire sono tenendo conto dei  costi  o  RAGIONE_SOCIALE  poste  negative,  da  considerare  anche  in  via forfettaria.
 I  quattro  motivi,  strettamente  connessi  tra  loro,  sono inammissibili e comunque infondati, tranne il settimo nei limiti che si indicheranno in seguito al §12.8.
12.1 Va invero ricordato che «In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso  in ordine alla motivazione  di un  avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di
fatto e RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (Sez. 5, Sentenza n. 8312 de 04/04/2013, Rv. 625996 – 01)» (cfr. Cass., V, n. 17477/2022).
12.2 Tale condizione di ammissibilità dei motivi non è stata concretizzata dal ricorrente nella loro formulazione non essendo stata riportata, nemmeno per estratto ovvero nei punti rilevanti, la motivazione dell’avviso impugnato. Nella fattispecie in esame la CTR ha fatto rinvio ai rilievi e alle conclusioni cui era giunto prima l’Ufficio e poi la CTP, osservando come la pretesa erariale era su presunzioni gravi, precise e concordanti con il conseguente sorgere, in capo al contribuente, di fornire la prova contraria, come già affermato da questa Corte (Cfr. Cass., V, n. 11717/2022).
12.3 In ogni caso, e con specifico riferimento al quinto motivo, va comunque ricordato l’orientamento di questa Corte secondo cui «Dispone l’art. 149 TUIR che «indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta». La norma prevede che l’RAGIONE_SOCIALE – alternativamente rispetto alla valutazione della corretta applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni statutarie – possa perdere la qualifica di ente non commerciale ove si accerti l’esercizio in concreto di attività commerciale non prevalente. Quest’ipotesi si verifica laddove – ancorché in costanza del rispetto formale e sin anche sostanziale RAGIONE_SOCIALE disposizioni statutarie – vi sia accertamento in fatto di svolgimento di attività commerciale da parte dell’RAGIONE_SOCIALE con prevalenza rispetto all’attività non commerciale, rientrante nell’attività istituzionale
dell’ente collettivo (Cass., Sez. V, 15 novembre 2021, n. 34189). 8. Detta disposizione prefigura -come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte – un diverso percorso normativo idoneo a comportare la perdita della natura decommercializzata dell’ent e collettivo, ossia l’accertamento dell’attività svolta in concreto dall’RAGIONE_SOCIALE, in alternativa al criterio della riqualificazione della struttura dell’ente collettivo (cfr. Cass. 26 settembre 2018, n. 22939; conf. Cass., Sez. V, 14 dicembre 2021, n. 39789; Cass., Sez. V, 26 settembre 2018, n. 22939)» (cfr. Cass., V, n. 546/2023).
12.4 A ciò aggiungasi che «La disciplina generale riguardante i soggetti sottoposti all’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE società, fissata dagli artt. 86 e 87 T.U.I.R. (ora 72 e 73) -e di cui gli artt. 108 (ora 143) e ss. costituiscono una deroga -si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche (Cass. 9 maggio 2018, n. 11048). N e deriva che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’esenzione ossia che l’ente sebbene somigliasse ad una attività commerciale in realtà non lo era -è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c., non essendo certo sufficiente allegare lo statuto sociale e la finalità ivi recepita (Cass. 29 luglio 2005, n. 16032; Cass. 20 ottobre 2006, n. 22598; Cass. 25 novembre 2008, n. 28005; Cass. 12 maggio 2010, n. 11456; Cass. 12 febbraio 2013, n. 3360; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23167). L’esenzione d’imposta prevista dall’art. 148 T.U.I.R. in favore RAGIONE_SOCIALE associazioni non lucrative dipende pertanto non dall’elemento formale della veste giuridica assunta dall’RAGIONE_SOCIALE, ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro » (cfr. Cass., V, 15325/2019).
12.5  Nella  fattispecie  in  esame  risulta  dallo  stesso  motivo  di ricorso  come  il  ricorrente  non  abbia  fornito  la  prova  contraria  a sostegno  e  conferma  della  natura  associativa  della  contribuente,
essendosi  di  fatto  limitato  a  ‘contestare’  la  ricostruzione  operata dall’Ufficio.
12.6 Inoltre, e con precipuo riguardo al riconoscimento operato dal ricorrente in relazione ai pagamenti effettuati in contanti, vale la pena di ricordare che «Nel disciplinare la fruizione RAGIONE_SOCIALE agevolazioni, e nella individuazione RAGIONE_SOCIALE conseguenze della violazione di quelle modalità, la prescrizione della tracciabilità rappresentava dunque una scelta discrezionale del legislatore, all’esito di un bilanciamento degli interessi pubblici in gioco. Ne discende dunque che alla disciplina agevolativa, che nel sistema impositivo rappresenta una opzione di vantaggio, d’eccezione e derogatrice degli ordinari principi contributivi del soggetto passivo d’imposta rispetto alle finalità e agli obiettivi di spesa pubblica, trova applicazione il criterio di stretta interpretazione» (Cfr. Cass., V, n. 3904/2023).
12.7 La CTR ha dunque fatto buon governo dei principi elaborati da questa Corte, secondo cui all’accertamento di movimentazioni in contanti consegue comunque la decadenza dalle agevolazioni. Tutt’al più, quindi, sarebbe stato onere del contribuente dimostrare che ogni singolo pagamento era di importo inferiore ad euro 516,46.
12.8 Con riguardo invece al settimo e al nono motivo va poi ricordato che «è giurisprudenza pacifica della Corte (in termini, per esempio, Cass. 18/10/2021, n. 28628) che è onere dell’Amministrazione dimostrare, anche mediante presunzioni semplici, l’ogget tiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, dopodiché spetta al contribuente, ai fini (della detrazione dell’IVA e/o) della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate» (cfr. Cass., V, n. 32060/2022). Tuttavia, e con riguardo al settimo motivo, sul punto la CTR avalla la ricostruzione del Fisco ‘che ha correttamente disconosciuto costi fittizi e assoggettato a tassazione ricavi parimenti fittizi’, in quanto derivanti da condotte illecite. Al contrario, per la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19/12/2019, n. 33915, in connessione con Cass. 08/10/2014, n.
21189, Cass. 20/11/2013, n. 25967) «In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 – siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese o altri componenti negativi» (così ancora Cass. V, n. 32060/2022). Non può quindi affermarsi corretta una ricostruzione del reddito che abbia disconosciuto i costi fittizi e tassato i ricavi parimenti fittizi, almeno se non sia accertato in giudizio che il contribuente non abbia dato prova dell’esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, ai fini della detrazione dei costi. L’assunto della totale indeducibilità assoluta è quindi contrario alla giurisprudenza di questa Corte e, per questi profili, il settimo motivo è fondato.
12.9 Tanto premesso, nella fattispecie la C.T.R., senza violare le norme sul riparto, tra fisco e contribuente, dell’onere della prova circa l’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, ha spiegato con chiarezza le ragioni di adesione alla sentenza di primo grado, ivi attestando che il contribuente non aveva fornito la prova contraria. Se, dunque, è rimesso all’Amministrazione fornire un riscontro istruttorio – eventualmente anche tramite uno o più elementi indiziari gravi, precisi e concordanti – che sorreggano la conclusione che alcuni costi, e le relative fatture, siano in realtà meramente fittizi e non possano quindi legittimamente ridurre il reddito imponibile del contribuente che pretenda di dedurli, compete poi al contribuente, all’esito di tale riscontro istruttorio, e in conformità a quanto ritenuto da questa Corte (Cass., 19/10/2018, n. 26453; Cass., 05/07/2018, n. 17619; Cass. 06/06/2012, n. 9108) provare che le operazioni in questione, ed i correlati costi, fossero invece effettivi. Il ricorrente
non solo non ha censurato efficacemente detta circostanza di fatto in ricorso, ma non ha nemmeno dimostrato di avervi ottemperato nei  precedenti  gradi  di  merito,  limitandosi  ad  una  contestazione generica dell’atto impositivo.
L’ottavo motivo ha ad oggetto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. contestazione e conseguente recupero (in quanto fittizi) in capo ai cessionari/committenti  della  RAGIONE_SOCIALE,  dei  coti  afferenti  ai  ricavi tassati in capo alla RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
13.1 Il motivo è inammissibile «stante l’applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. «doppia conforme» di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis poiché il gravame è stato proposto il 21 marzo 2013), e della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 6 novembre 2013); – che, in particolare, la doglianza è inammissibile in quanto contravviene al principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nell’ipotesi, come quella che ci occupa, di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528 del 2014)» (cfr. Cass., V, 18390/2018). Adempimento che il ricorrente, nel caso di specie, non ha svolto.
Con l’ultimo motivo la parte ricorrente denunzia l’illegittima maggiorazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni applicate, l’asserita applicazione della recidiva  e  incompatibilità  della  disciplina  del  cumulo  giuridico,  la violazione  e/o  falsa  applicazione  dell’art.  12  d.l gs.  n.  472/97,  la
violazione dell’art. 7 d.lgs. n. 427/97, l’illegittimità della sentenza impugnata,  l’omessa  censura  su  parte  RAGIONE_SOCIALE  censure  dedotte,  la violazione dell’art. 112 c.p.c. in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
14.1 In sintesi critica la sentenza nella parte in cui la CTR ha avallato la contemporanea applicazione tra l’istituto della recidiva e quello  del  cumulo  giuridico,  ritenendo  che  l’incompatibilità  avesse rilevanza solo in ambito penale e non anche in ambito tributarioamministrativo.
15. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
15.1 È stato invero affermato che il d. lgs. n. 472 del 1997, all’art. 7, comma 3, e art. 12, prevede la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione. In particolare, tanto l’art. 7, comma 3, che l’art. 12, comma 5, fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo. L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, del D. Lgs. n. 472 del 1997, art. 7m comma 3, operata dal D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva). La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono. Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono
completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica. Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass.9148/1996; Cass.49658/2014; Cass.21043 /2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato. Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale, il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là RAGIONE_SOCIALE assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di -distinti riferimenti costituzionali. Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto. Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultrannuale. L’art. 7, comma 3, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, comma 2: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive. Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo
giuridico RAGIONE_SOCIALE sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione RAGIONE_SOCIALE violazioni pregresse. Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. Infatti, l’unicità RAGIONE_SOCIALE violazioni della stessa indole si contrappone, in via di principio, alla pluralità di violazioni che fungono da presupposto della recidiva. Se invece si afferma, come ritiene questo Collegio che la recidiva si fonda sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente RAGIONE_SOCIALE valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva. Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o dalla definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole. Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dal del D. Lgs. n. 472 del 1992, art. 7, comma 3, e art. 12, comma 5, è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione. Alla luce di quanto su esposto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto previamente accertare se le violazioni precedentemente contestate fossero definitive ai fini
della recidiva e commisurare la sanzione tenendo conto della recidiva (così Cass., V, 11833/2020).
15.2  Nella  fattispecie  in  esame  non  risulta  che  la  RAGIONE_SOCIALE  abbia compiuto il suddetto accertamento, non facendo così buon governo dei principi stabiliti da questa Corte. A tanto provvederà il giudice di rinvio.
 Conclusivamente,  il  ricorso  va  accolto  limitatamente  al decimo motivo e, nei limiti di cui in motivazione, anche al settimo. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla competente  C.G.T.  di  secondo  grado  che  provvederà  a  nuova valutazione RAGIONE_SOCIALE questioni di merito, fornendo adeguata e congrua motivazione, nonché alla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il settimo ed il decimo motivo nei sensi di cui in motivazione,  rigettando  gli  altri,  cassa  la  sentenza  impugnata  in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di  provvedere  anche  in  ordine  alle  spese  del  presente  giudizio  di legittimità.
Così deciso in Roma, il 07/02/2024