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Accertamento d’ufficio: obbligo di dedurre i costi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25702/2025, chiarisce che in caso di accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di determinare, anche in via induttiva, i costi inerenti ai maggiori ricavi accertati. Omettere tale calcolo viola il principio costituzionale di capacità contributiva. La Corte ha quindi accolto il ricorso del contribuente su questo punto, cassando con rinvio la sentenza di merito che negava il riconoscimento dei costi in assenza di prove documentali.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento d’ufficio: La Cassazione Sancisce l’Obbligo di Calcolare i Costi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di accertamento d’ufficio: anche quando un contribuente omette la dichiarazione dei redditi, l’Amministrazione Finanziaria ha il dovere di determinare i costi relativi ai maggiori ricavi accertati. Ignorare questo passaggio significa violare il principio costituzionale della capacità contributiva. Questa decisione offre un’importante tutela per i contribuenti, ribadendo che la tassazione deve colpire la ricchezza effettiva e non un reddito fittiziamente maggiorato.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda il legale rappresentante di un’associazione sportiva dilettantistica, destinatario di quattro avvisi di accertamento e un atto di contestazione per gli anni 2009 e 2010. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di una ricostruzione induttiva dei redditi non dichiarati dall’associazione, aveva emesso atti impositivi per IRES, IRAP e IVA, oltre alle relative sanzioni.

Il contribuente aveva impugnato tali atti, ma i suoi ricorsi erano stati respinti sia in primo che in secondo grado. Giunto in Cassazione, nelle more del giudizio, il ricorrente ha aderito alla definizione agevolata (il cosiddetto “condono”) per l’atto di contestazione e per due avvisi di accertamento relativi all’IVA. Il processo è quindi proseguito solo per i due avvisi rimanenti, concernenti IRES e IRAP.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha parzialmente accolto il ricorso del contribuente. Ha respinto il primo motivo, relativo alla presunta violazione del contraddittorio preventivo, ma ha accolto il secondo, concernente la mancata determinazione dei costi da parte dell’Ufficio.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato estinto il giudizio per le controversie condonate e ha cassato la sentenza impugnata per quanto riguarda gli atti non definiti, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto del principio di diritto affermato.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Corte si fonda su due distinti binari argomentativi, che meritano un’analisi approfondita.

Il Contraddittorio Preventivo nei Tributi non Armonizzati

Il primo motivo di ricorso si basava sulla violazione del diritto al contraddittorio prima dell’emissione dell’atto impositivo. La Corte ha ritenuto questo motivo infondato. Ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale esiste solo per i cosiddetti tributi “armonizzati” a livello europeo, come l’IVA.

Per i tributi “non armonizzati”, come IRES e IRAP (oggetto della controversia residua), tale obbligo sussiste solo in ipotesi specifiche previste dalla legge, ad esempio a seguito di accessi, ispezioni o verifiche fiscali presso la sede del contribuente. Nel caso di specie, l’accertamento era avvenuto “a tavolino”, cioè presso gli uffici dell’Agenzia, sulla base dei dati disponibili. Pertanto, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio preventivo.

L’Obbligo di considerare i costi nell’accertamento d’ufficio

Il secondo motivo di ricorso, che è stato accolto, si è rivelato cruciale. Il contribuente lamentava che l’Agenzia, pur avendo accertato maggiori ricavi, non avesse considerato i costi correlati. La Corte di Cassazione ha affermato che, in caso di omessa dichiarazione e conseguente accertamento d’ufficio (ai sensi dell’art. 41 del D.P.R. n. 600/1973), l’Amministrazione Finanziaria può utilizzare “presunzioni supersemplici”, cioè prive dei normali requisiti di gravità, precisione e concordanza, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.

Tuttavia, questo potere non è illimitato. La Corte ha stabilito che l’Ufficio deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati. Omettere questo passaggio porterebbe a tassare il ricavo lordo come se fosse reddito netto, con una palese violazione del principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione. La corte di merito aveva errato nel sostenere che i costi non potessero essere considerati in assenza di idonea documentazione fornita dal contribuente. Al contrario, è proprio l’Ufficio che, nell’ambito del suo potere-dovere di accertamento, deve stimare tali costi in modo forfettario o induttivo.

Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione rafforza un principio di equità fiscale di fondamentale importanza. Stabilisce che, anche di fronte a una grave inadempienza come l’omissione della dichiarazione, il potere dell’Amministrazione Finanziaria non può tradursi in un’imposizione arbitraria che ignori la realtà economica. Il diritto del contribuente a vedersi riconosciuti i costi, sebbene in via presuntiva, è una diretta conseguenza del principio costituzionale di capacità contributiva. La decisione implica che l’onere dell’Ufficio non si esaurisce nell’accertare i ricavi, ma si estende alla necessaria determinazione dei costi ad essi inerenti, garantendo così che l’imposta colpisca un reddito il più possibile vicino a quello effettivo.

In caso di accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate è obbligata a considerare i costi sostenuti dal contribuente?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria deve sempre determinare, anche in via induttiva, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, al fine di non violare il principio costituzionale di capacità contributiva.

L’obbligo di contraddittorio preventivo si applica a tutti i tipi di accertamento fiscale?
No. Secondo questa ordinanza, l’obbligo generalizzato di contraddittorio prima dell’emissione dell’atto si applica solo ai tributi “armonizzati” (come l’IVA). Per i tributi “non armonizzati” (come IRES e IRAP), tale obbligo esiste solo in casi specificamente previsti dalla legge, come dopo verifiche fiscali in loco.

Cosa significa che l’Agenzia può usare “presunzioni supersemplici”?
Significa che nell’ambito di un accertamento d’ufficio, l’amministrazione può basarsi su indizi e dati che non possiedono i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti in altre procedure. Questo inverte l’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale. Tuttavia, ciò non esonera l’Ufficio dal dovere di determinare i costi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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