Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14064 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14064 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 11981/2016 R.G. proposto da
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno n. 9616/04/2015, depositata il 4.11.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi –
Accertamento
La CTP di Salerno rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso un avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione all’anno 200 8, con il quale era stato accertato un reddito non dichiarato pari ad € 13.984,00, riconducibile alla sua attività di agente della società RAGIONE_SOCIALE
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno rigettava l’appello proposto dal contribuente, rilevando, per quanto ancora qui interessa, che:
-la pretesa occasionalità dell’attività prestata dal contribuente era smentita dal volume degli affari procurati, come si evinceva dalla contabilità della società committente, e dal fatto che il predetto non svolgesse alcuna altra attività lavorativa;
-l’attività di agente di commercio, pertanto, era stata esercitata in maniera professionale e abituale, sicchè il contribuente aveva l’obbligo di tenere le scritture contabili obbligatorie e adempiere agli obblighi fiscali;
-in ordine alla territorialità RAGIONE_SOCIALE prestazioni, l’Ufficio aveva correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 7 , comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 633 del 1972, avendo condiviso le risultanze dell’indagine condotta dalla Guardia di Finanza, secondo la quale la RAGIONE_SOCIALE aveva una stabile organizzazione in Italia, come era dimostrato dall’esistenza di una fitta rete di agenti residenti in Italia, che procacciavano clienti tutti italiani;
il COGNOME era comunque tenuto a versare l’IVA, in quanto operava in Italia, anche se per conto di un committente stabilito all’estero;
-era infondato l’assunto secondo il quale l’opera prestata dal NOME sarebbe stata priva di quel minimo apparato logistico costituente presupposto necessario ai fini IRAP, in quanto il contribuente era inserito in una struttura organizzativa (la RAGIONE_SOCIALE) che aveva in Italia
una base organizzativa stabile e, quindi, ‘in strutture organizzative riferibile ad altrui responsabilità ed interessi’ ;
-l’ammontare RAGIONE_SOCIALE provvigioni percepite dal COGNOME, ai fini IRPEF, era stato calcolato sulla base dei dati forniti dalla società committente;
-non si poteva tenere conto né dei costi né dell’assoggettamento dei redditi alla ritenuta del 6%, non avendo il contribuente fornito alcuna prova al riguardo;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi;
-l ‘RAGIONE_SOCIALE si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per vizio di ultrapetizione, avendo la CTR respinto l’eccezione di non imponibilità ai fini dell’IVA dei servizi di intermediazione resi dal contribuente, proposta da questi ai sensi dell’art. 9, comma 1, n. 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di un accertamento di fatto, contenuto nelle controdeduzioni dell’Ufficio (l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia della RAGIONE_SOCIALE), che non era indicato nell’atto impositivo impugnato e nel PVC da cui il primo scaturiva;
il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, quando la sentenza di merito impugnata si fonda -come nel caso in esame su più ‘ rationes decidendi ‘ autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente censuri tutte le ‘ rationes ‘; l’omessa impugnazione di una di essere
rende, dunque, inammissibile, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, le quali, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 27.07.2017, n. 18641; Cass. 14.02.2012, n. 2108; Cass. 3.11.2011, n. 22753);
-la CTR non si è limitata a respingere l’eccezione di non imponibilità ai fini IVA, in base all’art. 7, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 633 del 1972, ma ha anche precisato che il COGNOME, ‘proprio in quanto operante in Italia per conto di un committente non soggetto passivo dell’imposta perché stabilito all’estero, sia comunque tenuto al versamento dell’imposta stessa ‘, ravvisando l’ulteriore fattispecie di cui all’art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972;
il ricorrente non ha contestato questa ulteriore ratio decidendi , per cui il predetto motivo è inammissibile;
-con il secondo motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato la doglianza relativa al regime di non imponibilità ai fini IVA RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese, in quanto relative a servizi di intermediazione riferibili a beni in importazione, in applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 , trattandosi di beni trasferiti in Italia solo in conto deposito, al fine di essere custoditi prima della cessione al cliente finale;
con il terzo motivo, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato che i servizi di intermediazione prestati dal contribuente costituivano servizi internazionali non imponibili;
-con il quarto motivo, lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato la doglianza relativa al calcolo errato RAGIONE_SOCIALE provvigioni;
– il secondo e il quarto motivo, che vanno esaminati unitariamente, riguardando lo stesso tipo di vizio, sono inammissibili, operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 8.11.2013, non avendo il ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
– occorre in ogni caso rammentare che alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 4.11.2015). A seguito di detta modifica normativa, non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
-la nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha sostituito l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate dopo l’11.09.2012), ha limitato il ricorso alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. 2.10.2017, n. 23940);
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi
(Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
il ricorrente ha, invece, denunciato il vizio sotto il paradigma previgente di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., avendo censurato, nella sostanza, una motivazione insufficiente della sentenza impugnata;
il terzo motivo è inammissibile per mancanza di specificità, non avendo il contribuente riportato nel ricorso, anche per estratto, il contenuto dei documenti (e non avendoli neppure localizzati) dai quali risulti la sussistenza della asserita non imponibilità RAGIONE_SOCIALE prestazioni;
con il quinto motivo, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt . 53 Cost. e 54 del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR riconosciuto i costi sostenuti dal contribuente per la sua attività professionale, nonostante l’accertamento in via induttiva de i ricavi;
il motivo è fondato;
occorre rammentare che, in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva (Cass. n. 1507 del 20/01/2017);
nella specie, avendo il contribuente omesso di presentare le dichiarazioni fiscali per l’anno 2008, l’Amministrazione ha determinato d’ufficio il suo reddito, avvalendosi dei dati comunicati dalla società committente, ma senza considerare i costi relativi ai ricavi accertati che, anche in assenza di indicazioni fornite dal contribuente, dovevano essere determinati induttivamente;
con il sesto motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto sussistente il presupposto per la tassazione dei compensi ai fini IRAP;
anche questo motivo è fondato;
– secondo l’ orientamento ormai pacifico di questa Corte, richiamato anche nella sentenza impugnata, ‘In tema di IRAP, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui all’art. 1, legge 9 maggio 1985, n. 204 è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui’ (Cass. S. Un. n. 12108 del 26/05/2009);
– la CTR ha ritenuto, male interpretando la decisione richiamata, che l’ accertato inserimento del contribuente nella rete di agenti operanti per conto della società RAGIONE_SOCIALE e, quindi, in una struttura organizzativa riferibile ‘ad altrui responsabilità ed interessi’, costituisse il presupposto per l’applicazione dell’IRAP nei confronti del NOME, mentre si tratta, semmai, di circostanza fattuale che esclude l’assoggettabilità del suo reddito a detta imposta, proprio perché dimostra che il contribuente non era responsabile della struttura organizzativa, ma un semplice collaboratore;
– in conclusione, vanno accolti il quinto e il sesto motivo, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto e il sesto motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 22 novembre 2023