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Accertamento da studi di settore: onere della prova

Un’impresa si oppone a un accertamento fiscale basato sugli studi di settore. Dopo due sentenze favorevoli al contribuente, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, chiarendo che l’accertamento non si fonda solo sullo scostamento statistico. La Corte definisce i rispettivi oneri probatori tra Fisco e contribuente, sottolineando che quest’ultimo deve dimostrare le peculiarità della propria attività che giustificano ricavi inferiori agli standard.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento da studi di settore: la Cassazione definisce l’onere della prova

L’accertamento da studi di settore rappresenta da sempre un tema delicato nel dialogo tra Fisco e contribuente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sulla questione, delineando con precisione i confini della motivazione dell’atto impositivo e l’onere della prova che grava sulle parti. La decisione chiarisce che il semplice scostamento dei ricavi dichiarati rispetto agli standard non è, da solo, sufficiente a invalidare l’accertamento, ma innesca un meccanismo probatorio complesso.

Il caso in esame

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente per l’anno d’imposta 2011. L’Ufficio, basandosi sulle risultanze degli studi di settore, aveva contestato ricavi superiori a quelli dichiarati per oltre 23.000 euro, rettificando di conseguenza IRPEF, IRAP e IVA. Prima dell’accertamento, era stato inviato un invito al contraddittorio, che però non aveva portato a un accordo.

Il contribuente ha impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) che in secondo grado (Corte di Giustizia Tributaria). I giudici di merito avevano annullato l’accertamento, ritenendo in un caso errata l’individuazione dello studio di settore applicabile e, nell’altro, riscontrando un’assoluta mancanza di motivazione dell’atto impositivo.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando che i giudici d’appello avessero erroneamente ignorato il fatto che l’accertamento non si fondava esclusivamente sullo scostamento statistico, ma anche su una serie di altri elementi corroboranti.

L’onere della prova nell’accertamento da studi di settore

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta interpretazione della procedura di accertamento basata sugli studi di settore.

I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: questo tipo di accertamento non è automatico, ma costituisce un sistema di “presunzioni semplici”. La gravità, precisione e concordanza di tali presunzioni non derivano dal mero scostamento matematico, ma emergono solo all’esito del contraddittorio con il contribuente. Questo dialogo preventivo è obbligatorio, pena la nullità dell’accertamento stesso.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha chiarito in modo netto la ripartizione dell’onere probatorio:

1. A carico del contribuente: Spetta al contribuente dimostrare, senza alcuna limitazione di mezzi, l’esistenza di condizioni specifiche che giustifichino uno scostamento rispetto ai risultati degli standard. Egli deve provare le peculiarità della sua attività economica che lo rendono non confrontabile con il modello statistico di riferimento.
2. A carico dell’Agenzia delle Entrate: L’Ufficio non può limitarsi a indicare lo scostamento. La motivazione dell’accertamento deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per cui le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio sono state disattese.

Un punto cruciale sottolineato dalla Corte è che, nel caso specifico, l’accertamento non era basato esclusivamente sui risultati dello studio di settore. Si trattava, piuttosto, di un “accertamento analitico-induttivo”, originato dallo studio di settore ma supportato da ulteriori elementi. I giudici di merito avevano errato nel ritenere che l’Ufficio si fosse limitato a un calcolo presuntivo, ignorando il quadro probatorio più ampio.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La decisione della Cassazione rafforza l’importanza del contraddittorio come fase cruciale del procedimento di accertamento. Per i contribuenti, ciò significa che rimanere inerti o non rispondere adeguatamente all’invito dell’Agenzia può avere conseguenze negative. È fondamentale prepararsi a questa fase documentando in modo puntuale e dettagliato tutte le circostanze (crisi di settore, problemi di salute, concorrenza anomala, ecc.) che possono aver influito negativamente sui ricavi.

Per l’Amministrazione Finanziaria, la sentenza è un monito a non redigere atti impositivi con motivazioni standardizzate. L’Ufficio deve dimostrare di aver considerato la situazione specifica del contribuente e di aver valutato le sue argomentazioni. Un accertamento valido è quello che emerge da un’analisi completa, non da una mera applicazione matematica di uno standard statistico.

Un accertamento fiscale può basarsi solo sullo scostamento risultante dagli studi di settore?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’accertamento basato sugli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici. La motivazione dell’atto non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità dello standard al caso concreto e con le ragioni per cui le contestazioni del contribuente sono state disattese.

Qual è l’onere della prova del contribuente in un accertamento da studi di settore?
Il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazioni di mezzi o di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione della sua impresa dall’area di applicazione degli standard o la specifica realtà della sua attività economica nel periodo d’imposta, che spieghi un reddito inferiore a quello presunto.

Cosa accade se il contribuente non risponde all’invito al contraddittorio?
Il contribuente che rimane inerte e non risponde all’invito si assume le conseguenze del suo comportamento. In tal caso, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di instaurare il contraddittorio. Successivamente, il giudice potrà valutare nel quadro probatorio la mancata risposta del contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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