Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32026 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32026 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11082/2022 R.G. proposto da:
CARIFI RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Ud.22/10/2024
CC
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA SEZ.DIST. SALERNO n. 7477/2021 depositata il 21/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. dist. Salerno ( hinc: CTR) con la sentenza n. 7477/2021, depositata in data 21/10/2021 , ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 140/2020, dichiarando legittimi e fondati gli avvisi di accertamento impugnati e, in particolare, l’avviso n. TFK 030302911/2018 (emesso nei confronti del RAGIONE_SOCIALE per Ires, Irap, Iva ed accessori relativi all’anno 2013), l’avviso n. TFK 010302932/2018 (emesso nei confronti di NOME relativo all’Irpef e accessori per l’ann o 2013) e l’avviso n. TFK 050302929/2018 (emesso nei confronti di Carifi Teresa in relazione all’Irpef ed accessori per l’anno 2013).
La CTR ha premesso che l’Agenzia delle Entrate di Avellino aveva contestato alla società RAGIONE_SOCIALE un maggior reddito d’impresa per l’anno 2013 pari a Euro 1.578.911, sulla base di un PVC redatto dalla Guardia di Finanza, con estensione della pretesa fiscale anche nei confronti dei soci COGNOME NOME e
RAGIONE_SOCIALE in considerazione delle movimentazioni bancarie riscontrate sui conti di riferimento della società e dei soci, compreso il dipendente NOME NOMECOGNOME ritenuto socio di fatto.
2.1. In relazione alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino (che aveva accolto il ricorso dei contribuenti) sono stati ritenuti infondati il primo motivo d’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (relativo alla insufficiente mo tivazione della sentenza per non aver tenuto conto di fatti decisivi della controversia e ritenuto non fondato dal giudice di seconde cure, in quanto l’omessa presentazione della dichiarazione non poteva costituire l’unico elemento a supporto dell’accertam ento) e il secondo motivo (relativo alla mancata considerazione di ulteriori elementi, come l’omessa presentazione degli studi di settore, d ella comunicazione «spesometro» e del bilancio annuale della Camera di commercio e ritenuto infondato, dal momento che il giudice di primo grado aveva, di fatto, ritenuto ammissibile l’estensione delle indagini bancarie anche ai soci o a terze persone).
2.2. Era stata ritenuta, invece, fondata la censura relativa all’onere della prova in caso di accertamenti bancari in capo ai soci o a soggetti terzi, ritenuti soci di fatto.
2.3. La CTR, richiamata la giurisprudenza di legittimità (Cass. 33596 del 2019) in relazione all’interpretazione dell’art. 32 d.P.R. 29/09/1973, n. 600 e dell’art. 51 d.P.R. 26/10/1972, n. 633 (secondo la quale l’amministrazione finanziaria può utilizzare, nell’accertamento sulla società, le risultanze dei rapporti bancari intestati a un socio non solo in ragione di tale qualità, ma anche in presenza di un’ulteriore connessione tra tali risultanze e i reddi ti della società) ha ritenuto che « nei confronti della società e dei conti correnti della stessa, sussiste la presunzione di riferibilità delle operazioni all’attività aziendale, nel mentre in riferimento ai conti dei
soci o terze persone, compete all’Amministrazione finanziaria fornire la dimostrazione che le operazioni riscontrate siano state effettuate per occultare operazioni fiscalmente rilevanti a favore della società » . 2.4. Ha quindi ritenuto che la sentenza impugnata avesse condiviso tali principi e fosse entrata nel merito delle risultanze istruttorie. In particolare, la CTR, da un lato, ha rilevato che l’indagine sui conti correnti bancari nei confronti dei soci o di terze persone (presunte socie) è ammissibile. Dall’altro lato , ha tuttavia rilevato che non sono i soci o eventuali terze persone a dover giustificare le operazioni contestate, ma è l’amministrazione finanziaria a dover provare la riferibilità di queste ultime alla società.
2.5. La CTR non ha, invece, condiviso le valutazioni del giudice di primo grado in ordine alla prova presuntiva ritenuta non sufficiente nel caso di specie. Al contrario ha evidenziato che in tema di prova per presunzioni il giudice deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e n ella ricostruzione dei fatti, attraverso la valutazione analitica degli elementi indicati. Ha pertanto concluso che: « la verifica effettuata dalla Guardia di Finanza sulle movimentazioni bancarie, con estensione delle indagini anche ad acquirenti emittenti assegni e bonifici, affermanti che le vendite di beni erano state effettuate in nome e per conto della società verificata; la esistenza di notevoli operazioni bancarie del tutto in contrasto con i redditi prodotti (presunto socio di fatto NOME NOME, dipendente della società con movimentazioni sui propri conti di svariati milione di euro) dai vari soci; la mancata partecipazione al contraddittorio e la mancata giustificazione degli importi rinvenuti, possono ritenersi tutti elementi presuntivi, la cui forza congiunta può, a parere di questa Commissione, comportare una valida prova di quanto accertato dall’Ufficio.»
Contro la sentenza della CTR RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed COGNOME NOME hanno proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 e art. 132 cod. proc. civ. (richiamato dall’art. 1 d.lgs. n. 546 del 1992) in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ.
1.1. I ricorrenti hanno esposto che, nella prima parte della motivazione, la CTR ha rilevato l’infondatezza delle censure rivolte dall’amministrazione finanziari a alla sentenza di primo grado, in relazione alla mancata considerazione di una serie di profili ed elementi ( l’ omissione della dichiarazione di redditi da parte della società, in realtà presentata fuori termine, l’omessa presentazione dello studio di settore e dello spesometro ecc…) esaminati, invece, dalla Commissione Tributaria Provinciale. La CTR ha inoltre evidenziato che in relazione alle risultanze dei conti dei soci e di terze pers one compete all’amministrazione finanziaria dimostrare che le operazioni riscontrate siano state effettuate per occultare operazioni fiscalmente rilevanti. Ciò nonostante, ha ritenuto che la tesi dell’agenzia fosse fondata, alla luce di una valutazione discrezionale degli elementi indiziari allegati.
1.2. La sentenza impugnata -nel dare rilievo all’estensione delle indagini anche ad acquirenti emittenti assegni e bonifici affermanti che le vendite di beni erano state effettuate in nome e per conto della società verificata -non ha tenuto, tuttavia, conto dell’assenza di alcun riferimento documentale all’interno del PVC che riguardasse
le indagini eseguite nei confronti di terzi acquirenti emittenti assegni e bonifici in favore dei soci. Rileva che dallo stralcio del PVC (pag. 24) emerge che manca qualsiasi riferimento alle singole operazioni bancarie e ai pagamenti eseguiti a favore dei singoli soci, così come non vi è traccia dei bonifici e degli assegni emessi in favore dei soci o presunti tali.
1.3. In relazione al secondo elemento ( i.e. l’esistenza di notevoli operazioni bancarie in contrasto con i redditi prodotti dai soci e in particolare dal socio di fatto NOME NOME) posto alla base del convincimento del giudice i ricorrenti evidenziano la contraddizione in ordine a quanto affermato sulla circostanza che non compete ai soci giustificare le operazioni contestate.
1.4. Inoltre, i ricorrenti contestano che la CTR abbia posto sul medesimo piano le movimentazioni bancarie riferibili ai soci e quelle relative al presunto socio (dipendente della società) NOME COGNOME, come se le due ipotesi fossero fungibili e lo status di socio di fatto di quest’ultimo dovesse ritenersi accertato solo perché lo aveva apoditticamente asserito la Guardia di Finanza. Tuttavia, un conto è sostenere che NOME COGNOME fosse un soggetto interposto ex art. 37 d.P.R. n. 600 del 1973 (consentendo l’uso dei conti personali per veicolare ricchezze destinate alla società), mentre un altro conto è sostenere che fosse socio di fatto: mentre nel primo caso i suoi redditi sarebbero stati direttamente riferibili all’interponente, nella seconda ipotesi avrebbe partecipato agli utili e sarebbe stata necessaria la prova della cd. affectio societatis ex art. 2247 cod. civ. Anche sotto questo profilo la motivazione, ad avviso dei ricorrenti, è da ritenere apparente.
1.5. Anche il terzo tassello indiziario impiegato dalla CTR, costituito dalla mancata partecipazione al contraddittorio, appare apodittico e, in parte, estraneo alla vicenda processuale. Nel caso di
specie il contraddittorio non vi era stato (come evidenziato dalla società ricorrente nel ricorso introduttivo, pag. 12-13 e dai soci a pag. 17-19 dei rispettivi ricorsi). In particolare, il contraddittorio non era stato espletato nei confronti del socio di fatto NOME COGNOME (che non ha partecipato né al procedimento di accertamento, né al successivo processo), sebbene fosse titolare della maggior quota di reddito riferibile alla società. Per quanto nella ricostruzione della base imponibile l’uso delle m ovimentazioni bancarie acquisite non sia subordinat o, secondo l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, al contraddittorio con il contribuente (anticipato alla fase amministrativa) -dal momento che l’invito a fornire notizie e chiarimenti sulle operazioni annotate sui conti correnti bancari costituisce una facoltà e non un obbligo per l’amministrazione finanziaria -è proprio la CTR a dare un peso indiziario e decisivo a tale elemento, valorizzando la mancata partecipazione dei soci al contraddittorio con la Guardia di Finanza. Dal tenore della decisione sembra, invece, che i ricorrenti dovessero giustificare pure le risultanze dei conti bancari del terzo.
1.6. Secondo i ricorrenti la motivazione è apparente anche laddove la CTR assume, in modo apodittico, che il dipendente della società COGNOME NOME fosse un socio di fatto solamente perché sui suoi conti personali risultavano annotate « movimentazioni per svariati milioni di euro», senza chiarire quale fosse il rapporto che legava quest’ultimo agli altri soci. Tuttavia, qualora si supponga la partecipazione di un terzo al rapporto sociale ex art. 2247 cod. civ., spetta al Fisco provare l’esistenza della cd. affectio societatis.
In conclusione, ad avviso dei ricorrenti la motivazione non è idonea a soddisfare il minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
Con il secondo motivo di ricorso è stato contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di uno o più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione.
2.1. I ricorrenti contestano l’omesso esame da parte della CTR di una serie di fatti decisivi emergenti dagli atti del processo e oggetto di discussione. A tal fine viene richiamata l’affermazione della CTR, nella parte in cui ha attribuito valenza decisiva alle risultanze della verifica effettuata dalla Guardia di Finanza sui conti dei soci, compreso il «socio di fatto» COGNOME NOME ed in particolare alla circostanza dell’estensione delle indagini « anche ad acquirenti emittenti assegni e bonifici, affermanti che le vendite di beni erano state effettuate in nome e per conto della società verificata» . Tuttavia, in nessuno degli atti e documenti acquisiti al processo vi è traccia di presunte indagini riguardanti terze persone. La ricorrente rileva, poi, come fosse inattendibile lo stesso riferimento alla vendita di beni, trattandosi di società edile che esegue prestazioni di servizi in favore di terzi e non cessioni di beni. Questo deficit probatorio era stato denunciato dalla società e dai soci nei rispettivi ricorsi introduttivi. Neppure in appello l’Ufficio ha colmato tale lacuna, limitandosi a produrre i soli elenchi relativi alle movimentazioni bancarie riscontrate sui conti dei soci (in pratica le mere risultanze delle indagini finanziarie).
Con il terzo motivo è stata contestata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. Nella specie la CTR ha fondato la sua decisione di accoglimento dell’appello anche sulle risultanze delle indagini che avrebbero riguardato terze persone e, in particolare, i presunti acquirenti emittenti assegni e bonifici, sebbene i risultati di tali
indagini non risultassero acquisiti agli atti del processo, ma fossero solo richiamati genericamente dalla Guardia di Finanza nel PVC. La sentenza impugnata, sotto questo profilo, viola l’art. 115 cod. proc. civ., che impone al giudice di porre a fondamento della decisione le sole prove proposte dalle parti.
Con il quarto motivo di ricorso è stata contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., la falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, 37, comma 3 e 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972 , oltre che dell’art. 2247 cod. civ.
4.1. Un ulteriore vizio della sentenza, secondo i ricorrenti, riguarda la violazione delle norme in tema di ripartizione dell’onere della prova e in materia di uso delle presunzioni semplici, con riferimento all’interposizione fittizia di redditi di cui all’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, oltre che alla falsa applicazione delle norme sul procedimento di accertamento in tema di indagini bancarie.
4.2. I giudici di secondo grado hanno recepito l’orientamento secondo il quale nel caso di accertamenti bancari su conti non intestati direttamente al contribuente non può operare l’automatismo presuntivo di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 (e 51 d.P.R. n. 633 del 1972), secondo il quale i versamenti e i prelevamenti rilevati sul conto ispezionato sono recuperati interamente a tassazione sotto forma di reddito imponibile, salva la prova contraria da parte del contribuente. Costituisce, infatti, ius receptum il principio secondo il quale la valenza di presunzione legale relativa in favore dell’erario comporta l’inversione della prova a carico del contribuente.
Di conseguenza, in caso di accertamento sui conti intestati a terzi l’onere della prova dell’illecito fiscale grava sull’ufficio, che può
avvalersi di presunzioni purché siano gravi precise e concordanti ex art. 2729 cod. civ., mentre non si applica l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, non gravando, quindi, sul contribuente l’onere di giustificare i singoli movimenti annotati. Grava, invece, su ll’ufficio l’onere di provare che i movimenti bancari rinvenuti sui conti di terzi siano riferibili alla società e siano rilevanti sul piano fiscale. In particolare, in tali ipotesi, l’amministrazione deve provare, anche tramite presunzioni, la natura fitt izia, dimostrando l’interposizione dei terzi nella titolarità dei conti.
4.3. La ricorrente rileva come, nel caso di specie, la motivazione della sentenza si fondi su tre tasselli:
le dichiarazioni dei terzi acquirenti emittenti assegni e bonifici in merito alle vendite eseguite in nome e per conto della società verificata;
l’esistenza di notevoli operazioni bancarie dei vari soci (incluso il socio di fatto) in contrasto con i redditi prodotti da costoro;
la mancata partecipazione al contraddittorio e la mancata giustificazione degli importi rinvenuti da parte dei soci.
Con riferimento a quanto evidenziato sub a) i ricorrenti rilevano come tale requisito fosse totalmente assente (come risulta dal vizio motivazionale già contestato), con la conseguenza che non avrebbe dovuto essere preso in considerazione. L’elemento sub b) è un non indizio. Nel momento in cui l’Ufficio pone a fondamento del decisum la presunzione per cui sarebbero riferibili alle società del Gruppo RAGIONE_SOCIALE tutte le movimentazioni bancarie riscontrate sui conti correnti dei soci (e persino di un non socio) -e cioè sia i prelievi che i versamenti -in quanto non giustificati dai titolari dei conti, finisce per applicare lo stesso schema presuntivo indicato nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 (e nell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972). Tuttavia, in caso di conti intestati a terzi è il fisco a dover provare il maggior
imponibile, sia sotto il profilo qualitativo relativo alla riferibilità alla società delle operazioni bancarie transitate sui conti dei soci, sia sotto il profilo quantitativo relativo alla misura del reddito presuntivamente accertato. Tale prova deve essere rigorosa, cioè conforme allo standard di cui all’art. 2729 cod. civ. Diversamente, l’agenzia ha assunto quale reddito imponibile della società la mera sommatoria dei versamenti e dei prelievi rinvenuti sui conti dei terzi, senza operare alcuna selezione o scrutinio dei dati bancari, includendo persino quelli riferiti a un soggetto terzo (COGNOME Luigi). L’amministrazione finanziaria, al fine di presumere che i movimenti bancari riscontrati sui conti di COGNOME Luigi fossero riferibili alla società, avrebbe dovuto provare, preliminarmente, lo status di socio di fatto di quest’ultimo , senza darlo, invece, per scontato. L’assunzione per cui COGNOME NOME fosse un socio di fatto è altresì incompatibile con la fattispecie dell’interposizione fittizia prevista nell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, con la conseguenza che, sotto questo profilo, la CTR è incorsa anche nel vizio di falsa applicazione di tale norma, allorché ha presunto che i conti bancari del terzo fossero utilizzati per veicolare i flussi finanziari destinati alla società.
Con riferimento a quanto evidenziato sub c) i ricorrenti rilevano che nel caso di specie non vi è stato un contraddittorio in senso stretto, ma solo un invito a comparire ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, che la Guardia di Finanza aveva rivolto ai due soci e al terzo presunto socio, perché fornissero notizie sui propri conti personali. Ora, se è vero che i soci della RAGIONE_SOCIALE devono giustificare le movimentazioni dei propri conti bancari, lo stesso ragionamento non può valere nei confronti del terzo, in quanto estraneo alla società e al procedimento impositivo. Il sig. COGNOME NOME non è stato interessato da alcun procedimento di accertamento e non è parte del presente processo.
La sua inerzia è, quindi, insuscettibile di essere assimilata, sul piano delle conseguenze indiziarie, a quella dei soci. In altre parole, non era il terzo, presunto socio di fatto, non destinatario di alcuna pretesa impositiva, a dover giustificare i movimenti transitati sui propri conti correnti bancari.
Con il quinto motivo di ricorso è stata contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2247, 2263, 2468, comma 2, 2727 e 2729 cod. civ., nonché degli artt. 39 d.P.R. n. 660 del 1973, 1, 5 e 47 t.u.i.r. e 53 Cost.
5.1. La sentenza impugnata è inficiata, secondo i ricorrenti, da un ulteriore vizio che attiene all’uso del procedimento presuntivo da parte dei giudici di merito e che si è tradotto nell’erronea imputazione degli utili extracontabili in capo ai soci, odierni ricorrenti sig.ri NOME e RAGIONE_SOCIALE, in misura pari al 50% ciascuno, anche delle norme civilistiche in tema di partecipazione agli utili societari e di quelle fiscali in tema di tassazione dei redditi di partecipazione. L’amministrazione finanziaria, sulla base dell’accertamento emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ha presunto che il maggior utile accertato fosse stato distribuito extracontabilmente a favore dei due soci. Tale imputazione dei redditi -conforme alla giurisprudenza di legittimità in materia di società a ristretta base sociale -è errata, perché non tiene conto del fatto che giusta quanto accertato dall’ufficio impositore, come riportato alle pag. 3, 5 e 7, della sentenza gravata -i soci della RAGIONE_SOCIALE erano tre e non due, avendo l’Agenzia attribuito presuntivamente al sig. COGNOME NOME lo ‘status’ di socio di fatto.
Di conseguenza, una volta presunto che il sig. COGNOME Luigi rivestisse la qualifica di socio di fatto della RAGIONE_SOCIALE e una volta imputate alla società anche le movimentazioni finanziarie risultanti dai conti
bancari personali, sarebbe stato logico e consequenziale concludere che anche il sig. COGNOME NOME avesse partecipato alla ripartizione extracontabile dell’imponibile. Viceversa, in modo paradossale, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver ipotizzato l’interp osizione fittizia del terzo nel possesso del reddito societario, lo ha pretermesso nella distribuzione degli utili extracontabili, limitata ai due soci palesi. Si tratta di un vulnus logico denunciato, sin dal primo grado di giudizio.
Il ricorso è infondato.
6.1. Il primo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.
6.2. È infondato nella misura in cui l’unico motivo di appello ritenuto fondato nella sentenza impugnata attiene alla valutazione delle risultanze delle movimentazioni bancarie (sui conti dei soci effettivi e del socio presunto sig. COGNOME LuigiCOGNOME. Viceversa, i motivi ritenuti infondati dalla CTR attengono alla contestazione relativa al l’insufficiente motivazione della sentenza di primo grado (ritenuta infondata dalla CTR, «avendo la decisione di primo grado valutato che la omessa dichiarazione non poteva considerarsi come unico elemento a supporto dell’accertamento ed avendo, inoltre, riconosciuto l’ammissibilità dell’estensione delle indagini bancarie anche ai soci o terze persone» ) e alla mancata considerazione di altri elementi (mancata presentazione degli studi di settore, della comunicazione «Spesometro» e del bilancio annuale della Camera di Commercio che unitamente alla mancata risposta al questionario avrebbero consentito la estensione delle indagini bancarie ai soci). In altre parole, il giudice di seconde cure, nel ritenere infondate le contestazioni per omessa motivazione in ordine alla rilevanza dell’omessa presentazione della dichiarazione da parte della società contribuente (ritenuto elemento di per sé non dotato di valenza probatoria assorbente) e dell’irri levanza della mancata
considerazione di altri elementi (presentazione degli studi di settore, spesometro), ha incentrato le proprie valutazioni in ordine alla fondatezza della pretesa impositiva sulla disamina delle movimentazioni bancarie dei soci, nonché del lavoratore dipendente sig. COGNOME NOME
6.3. Il motivo è anche inammissibile nella misura in cui la parte ricorrente veicola, attraverso la contestazione del carattere apparente della motivazione, censure che attengono alla valutazione delle prove da parte del giudice di seconde cure, così come fa a pag. 19 del ricorso dove contesta che: « la CTR non ha considerato che il PVC della Guardia di Finanza, sul quale era basato l’accertamento, non conteneva alcun riferimento documentale e specifico alle indagini eseguite nei confronti dei terzi acquirenti emittenti assegni e bonifici in favore dei soci. Tale circostanza (ossia l’esistenza dei pagamenti in favore dei soci mediante assegni e bonifici) viene semplicemente enunciata in modo generico dai verbalizzanti nel PVC e pedissequamente richiamata dal l’Agenzia nelle sue difese, ma non è documentata.»
Lo stesso è a dirsi per quanto affermato a pag. 20, dove si legge che: « una volta premesso che non compete ai soci giustificare le operazioni contestate, come si legge a pag. 6 della sentenza , la conclusione logica è che l’onere della prova del collegamento gravi interamente sul Fisco, nel senso che quest’ultimo deve farsi carico di ricercare aliunde ulteriori elementi probatori a sostegno del proprio assunto. Viceversa, nel
momento in cui addossa ai soci l’onere di giustificare le operazioni bancarie rinvenute sui propri conti correnti, la CTR sta in pratica utilizzando esattamente la logica presuntiva dell’art.32 d.p.r. n. 600/73, la qual cosa contraddice la premessa del suo ragionamento.»
Sul punto occorre evidenziare che la possibilità di qualificare come operazioni riferibili alla società le movimentazioni bancarie rilevate sui conti correnti di soci o di terzi può essere data dall’amministrazione finanziaria anche mediante il ricorso alla prova critica, con la conseguenza che la sentenza che si basi sulle presunzioni non incorre nel vizio di motivazione apparente, nell’ipotesi in cui risulti quali siano stati gli elementi che hanno condotto il giudice a ritenere provato il fatto (principale) ignoto, partendo dai fatti secondari noti.
Analoghe considerazioni valgono per l’affermazione contenuta a pag. 21 del ricorso, dove si legge che: « In ultimo, con riguardo al terzo tassello indiziario, costituito dalla mancata partecipazione dei soci al contraddittorio preventivo, esso appare altresì apodittico e addirittura in parte estraneo alla vicenda processuale.
Qui la Commissione ha del tutto omesso di considerare che nella fattispecie un vero contraddittorio non vi era stato (come peraltro eccepito dalla società ricorrente alle pagg. 12 e 13 del ricorso introduttivo, richiamato in premessa ed allegato sub 6, e dai soci alle pagine 17-19 dei rispettivi ricorsi allegati sub 7 e 8).
In particolare, il contraddittorio non era stato espletato nei confronti del presunto socio di fatto NOME NOME, sebbene quest’ultimo secondo la prospettazione della GdF condivisa dall’Ufficio fosse titolare della maggior quota di reddito riferibile alla società.»
Peraltro, in merito a quello che la ricorrente definisce terzo tassello della motivazione della sentenza impugnata relativo alla mancata
partecipazione al contraddittorio, l’affermazione appena riportata contraddice parzialmente con quanto si legge a pag. 35 del ricorso, dove, in sede di illustrazione del quarto motivo, la ricorrente afferma che: « Per quanto concerne il terzo tassello indiziario valorizzato dalla CTR, vale a dire la circostanza della mancata partecipazione dei soci al contraddittorio, si è già osservato che qui non vi è stato un ‘contraddittorio’ in senso stretto, ma solo un invito a comparire ex art.32 d.p.r. n.600/73, che la GdF, in sede di indagine finanziaria, aveva inteso rivolgere ai due soci ed al terzo (presunto socio) affinché fornissero notizie sui propri conti personali.
Ebbene, se, in astratto, può ritenersi plausibile che i soci della RAGIONE_SOCIALE verificata debbano giustificare le movimentazioni dei propri conti bancari, lo stesso ragionamento non potrebbe valere nei confronti del terzo, in quanto estraneo alla società ed al procedimento impositivo: COGNOME NOME -giova ribadirlo – non è stato interessato da alcun procedimento di accertamento e non è parte del presente processo.»
Il secondo motivo è inammissibile, dal momento che la ricorrente non fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. , ma bensì contesta l’assenza di supporto probatorio relativo alla prova delle mancate indagini in relazione agli acquirenti emittenti di assegni e bonifici affermanti che le vendite di beni erano state effettuate in nome e per conto della società verificata. Dalla lettura del motivo risulta contestata la carenza probatoria dell’uffic io finanziario che non avrebbe prodotto documentazione relativa alle indagini riguardanti terze persone, avendo depositato, solo nel giudizio d’appello, unicamente gli elenchi relativi alle movimentazioni bancarie.
8. Il terzo motivo, con il quale viene contestato alla CTR di aver fondato la sua decisione di accoglimento dell’appello sulla base delle
risultanze delle indagini che avrebbero riguardato terze persone e, segnatamente, i presunti acquirenti emittenti assegni e bonifici, è infondato. Questa Corte ha affermato che: « Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza. » (Cass. 06/04/2023, n. 9507).
Nel caso di specie, per l’illustrazione del terzo motivo la parte ricorrente si riporta all’errore sopra denunciato, con evidente riferimento a quanto evidenziato in relazione al secondo motivo di ricorso. In particolare, a pag. 24 del ricorso la parte ricorrente richiama la pag. 20 del PVC dove viene fatto riferimento alle indagini che hanno acclarato, tramite escussione dei traenti di assegni e bonifici, la vendita di beni per nome e per conto della società verificata, senza emissione di alcun documento contabile. Rileva che non vi è alcuna traccia di tali presunte indagini ed evidenzia come tale lacuna probatoria non sia stata colmata neppure in grado di appello dove l’agenzia delle entrate, in data 08/02/2021, secondo
quanto riportato a pag. 26 del ricorso, avrebbe prodotto i soli elenchi delle movimentazioni bancarie riscontrate sui conti dei soci, secondo i ricorrenti le mere risultanze delle indagini finanziarie. Deve, tuttavia, ritenersi che tale aspetto non involga la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ma riguardi, piuttosto, la valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito, che nel far riferimento alla « verifica effettuata dalla Guardia di Finanza sulle movimentazioni bancarie, con estensione delle indagini anche ad acquirenti emittenti assegni o bonifici, affermanti che le vendite di beni erano state effettuate in nome e per conto della società verificata » ha tenuto conto di quanto emergeva dal PVC riportato per estratto dalla stessa parte ricorrente a pag. 24 del ricorso.
8.1. In ordine all’efficacia probatoria del processo verbale di constatazione questa Corte ha recentemente affermato che: « In tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il
giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore. » (Cass., 05/07/2024, n. 18420). Il caso di specie rientra sub c): le dichiarazioni indicate come ricevute da terzi non meglio identificati riportate nel verbale costituiscono un elemento di prova, valutabile in concorso con altri elementi. Nella specie la CTR ha collocato le dichiarazioni dei terzi menzionate nel PVC nell’ambito di un quadro probatorio di natura indiziaria, senza venir meno ai principi richiamati nella pronuncia appena citata.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
9.1. Con tale motivo viene contestata la violazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ., la falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, la violazione dell’art. 37, comma 3, e 39 d.P.R. n. 600 del 1973, la violazione dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2247 cod. civ.
9.2. I ricorrenti evidenziano come la motivazione della sentenza si fondi su tre passaggi già indicati al punto 4.3. e rileva che il primo, incentrato sulle dichiarazioni di terzi acquirenti emittenti assegni e bonifici in merito alle vendite effettuate in nome e per conto della società verificata, fosse del tutto assente. Tale considerazione non è, tuttavia, decisiva considerato che la stessa ricorrente (v. pag. 24) afferma come nel PVC i verbalizzanti diano atto delle dichiarazioni ricevute da terzi non meglio identificati ed è già stato evidenziato come secondo questa Corte (Cass., 05/07/2024, n. 18420, v. supra, 8.1.) tali dichiarazioni costituiscano un elemento di prova, il quale, seppure inidoneo se considerato isolatamente, può comporre, insieme ad altri elementi, un quadro connotato dai requisiti di
gravità, precisione e concordanza, sufficiente per ritenere provato il fatto ignoto ( i.e. la riferibilità alla società delle movimentazioni bancarie riferibili ai conti di terzi soggetti).
9.3. Con riferimento a quello indicato dai ricorrenti come il cd. secondo tassello della motivazione ( i.e. notevoli operazioni bancarie sul conto corrente dei soci, compreso quello di fatto in contrasto con i redditi prodotti) non è corretta la contestazione che, con tale modus procedendi , si finisce per applicare l’art. 32, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973. Nel caso di specie la presenza sui conti correnti dei soci (odierni ricorrenti) e di quello che nella sentenza impugnata è indicato come socio presunto (v. infra, 9.4.) costituisce un fatto che, nel ragionamento condotto dalla CTR, va a saldarsi con altri fatti (come la mancata partecipazione al contraddittorio, su cui v. infra, 9.7.) per delineare un quadro probatorio connotato dai requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da portare a ritenere imputabili alla società contribuente le movimentazioni sui conti bancari di terzi soggetti . Diversamente, l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 , con riferimento ai conti intestati direttamente alla società stabilisce una presunzione relativa, che richiede la prova contraria indicata nella norma. In sostanza, la prova cd. critica attraverso la quale la CTR ha ritenuto provata l’imputazione delle movimentazioni bancarie sui conti correnti intestati ai soci e al sig. COGNOME NOME non si nutre di un ragionamento presuntivo (quale sarebbe quello che riconducesse alla società le movimentazioni bancarie per il solo fatto di essere eseguite sui conti dei soci e in quello del sig. COGNOME), ma di un più ampio quadro probatorio indiziario che dà rilievo anche ad altri elementi, come il carattere esorbitante delle operazioni bancarie rispetto ai redditi dell’intestatario del conto e la mancata partecipazione al contraddittorio (su cui v. infra ).
9.4. I ricorrenti rilevano, poi, a pag. 34 del ricorso che nel caso delle risultanze dei conti intestati al dipendente COGNOME NOME, l’attribuzione alla società delle operazioni bancarie ivi annotate è il frutto di una presunzione di secondo grado, il cui utilizzo avrebbe richiesto preliminarmente la dimostrazione della cd. affectio societatis ex art. 2247 cod. civ.
Tale assunto non è condivisibile. La ricostruzione, in via induttiva, delle operazioni extracontabili riferibili a una società non richiede che le movimentazioni bancarie esaminate dall’amministrazione finanziaria siano eseguite necessariamente sui conti correnti dei soci, potendo essere eseguite anche su conti bancari intestati a diversi soggetti, come di mostra l’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973. Una volta esclusa l’operatività della presunzione relativa ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione ai conti correnti intestati a soggetti terzi rispetto alla società la qualificazione delle movimentazioni bancarie eseguite su tali conti come operazioni extracontabili imputabili alla società avviene sulla base della cd. prova critica per presunzioni e, quindi, sulla base di fatti connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 cod. civ. In tale quadro probatorio la cd. affectio societatis , sebbene possa costituire un elemento di forte pregnanza indiziaria (in ragione sia del legame tra la società e i soci, sia della circostanza che questi ultimi finiscono per essere beneficiari diretti degli utili extracontabili conseguenti a operazioni non dichiarate) per poter imputare alla società le movimentazioni bancarie eseguite sui conti correnti intestati ai soci, non assume tuttavia valore di conditio sine qua non. È infatti possibile per l’amministrazione finanziaria fornire la prova che siano imputabili alla società anche operazioni eseguite sui conti correnti di terzi, in presenza di un quadro probatorio connotato dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie dove, da un lato, la stessa sentenza impugnata fa riferimento al sig. NOME COGNOME indicandolo, con espressione atecnica come socio presunto e, dall’altro lato, la stessa amministrazione finanziaria contesta ai soli soci effettivi la percezione di utili extracontabili.
Il riferimento al socio presunto richiede niente più che una correzione della motivazione, trattandosi di un richiamo atecnico, considerato quanto si legge nella sentenza impugnata in merito alle « notevoli operazioni bancarie del tutto in contrasto con i redditi prodotti (presunto socio di fatto NOME NOME, dipendente della società con movimentazioni sui propri conti di variati milione di euro) dai vari soci». È evidente che la CTR, al fine di imputare alla società, le movimentazioni bancarie operate sul conto intestato al sig. NOME COGNOME non ha evocato la presenza di un rapporto sociale (anche di fatto) quale unico elemento dirimente, ma ha fatto riferimento alla presenza di un rapporto di lavoro dipendente e all’ammontare delle operazioni eseguite sul conto esorbitanti rispetto ai redditi percepiti. In merito al riferimento al fatto che il sig. COGNOME fosse un socio presunto è pertanto sufficiente la mera correzione della motivazione.
9.5. Questa Corte ritiene che in tema di accertamento relativo a società, è legittima l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari nella disponibilità di terzi estranei alla compagine sociale in presenza di presunzioni connotate dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., di riferibilità di quei movimenti all’attività economica della società sottoposta a verifica, non essendo necessaria la prova dell’esistenza in capo al terzo di un rapporto sociale di fatto od occulto.
9.6. La motivazione della CTR, diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, non ha poi evocato alcuna interposizione fittizia in
merito all’intestazione del conto corrente del sig. COGNOME come risulta dal riferimento alla riconducibilità alla società delle movimentazioni bancarie dei soci e del terzo presunto socio (v. sub 9.5).
9.7. È infine infondata anche la contestazione relativa a quello evocato dai ricorrenti come terzo tassello indiziario (v. supra 4.3), cioè alla mancata partecipazione al contraddittorio da parte dei soci. Sul punto i ricorrenti rilevano che (pag. 35 ricorso): « non vi è stato un ‘contraddittorio’ in senso stretto, ma solo un invito a comparire ex art.32 d.p.r. n.600/73, che la GdF, in sede di indagine finanziaria, aveva inteso rivolgere ai due soci ed al terzo (presunto socio) affinché fornissero notizie sui propri conti personali. »
In merito alla mancata risposta all’invito dell’amministrazione questa Corte ha recentemente precisato che: « Qualora il contribuente sia stato vanamente invitato a rendere giustificazioni sugli esiti di indagini bancarie, ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le operazioni effettuate dal contribuente su conti correnti intestati a terzi legittimamente confluiscono nell’accertamento induttivo puro, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del citato d.P.R., con la conseguenza che l’Amministrazione non è gravata di alcun ulteriore onere probatorio in punto di riferibilità dei conti al contribuente e delle somme di cui alle suddette operazioni, spettando invece allo stesso contribuente l’onere di fornire rigorosa prova contraria.» (Cass., 19/03/2024, n. 7360).
10. Quanto rilevato sub 9.4. e 9.5. porta a ritenere infondato anche il quinto motivo di ricorso, incentrato sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 2247, 2263, 2468, comma 2, 2727, 2729 cod. civ. e 39 d.P.R. n. 600 del 1973, oltre agli artt. 1, 5, e 47 t.u.i.r e l’art. 53 Cost. A tal proposito a pagg. 36-37 del ricorso in cassazione si legge che: « sulla base dell’accertamento emesso nei
confronti della società RAGIONE_SOCIALE, l’Agenzia delle Entrate ha presunto che il maggior utile accertato fosse stato distribuito extracontabilmente a favore dei due soci. Tanto in ragione della natura di società a ristretta base partecipativa della RAGIONE_SOCIALE (formata da due soli soci, oltretutto legati da rapporto di coniugio).
Sin qui il procedimento presuntivo può ritenersi – per lo meno astrattamente -conforme allo schema elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa o familiare, pur non sussistendo (a differenza di una società di persone), una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci «non può considerarsi illogica, tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto, la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, con la conseguenza che gli utili extrabilancio della società di capitali a ristretta base azionaria o familiare si presumono distribuiti ai soci, salva la loro prova contraria» (cfr. fra le tante Cass. n. 1906/08; Cass. n. 24531/07; Cass. 39297/21).
Nel caso di specie, l’Ufficio ha fatto uso di tale principio allorché, in sede di accertamento personale nei confronti dei soci, ha attribuito a ciascuno di essi il 50% dell’utile extracontabile accertato in capo alla società.»
Ciò premesso, i ricorrenti contestano che i soci della RAGIONE_SOCIALE fossero tre e non due, considerato che l’Agenzia aveva attribuito al sig. COGNOME lo status di socio di fatto. Il motivo è infondato: il carattere atecnico del riferimento contenuto nella sentenza impugnata al sig. COGNOME come socio presunto è confermato non solo dalla presenza di elementi indiziari ben più incisivi (rapporto di lavoro dipendente e carattere esorbitante delle movimentazioni
bancarie sul suo conto corrente), ma anche dalla circostanza che non sia stata contestata nei suoi confronti la percezione di utili extracontabili.
Alla luce di quanto sin qui rilevato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.700,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della del ificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22/10/2024.