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Accertamento conti terzi: onere della prova società

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 2025, ha rigettato il ricorso di una S.r.l. contro un accertamento fiscale per IRES e IVA. L’avviso si basava su movimentazioni bancarie rilevate su conti correnti intestati al padre dell’amministratore. La Corte ha confermato la validità dell’accertamento conti correnti terzi, ribadendo che in presenza di una società a base ristretta e di stretti legami familiari, le movimentazioni si presumono riferibili alla società. Quest’ultima non ha fornito la prova analitica e specifica necessaria a superare tale presunzione, limitandosi a prove generiche, ritenute insufficienti.

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Pubblicato il 31 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento conti terzi: Cassazione sull’onere della prova

L’accertamento su conti correnti di terzi è uno strumento potente a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su come funziona la presunzione legale in questi casi, specialmente quando si tratta di società a base ristretta, e quale tipo di prova deve fornire il contribuente per vincerla. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne i risvolti pratici.

I fatti di causa: dalla verifica fiscale al ricorso in Cassazione

Una società a responsabilità limitata riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, ai fini IRES e IVA, maggiori ricavi non dichiarati per oltre un milione di euro. La rettifica si basava sugli esiti di indagini finanziarie effettuate sui conti correnti personali del padre dell’amministratore e socio di maggioranza (al 60%) della società.

La società impugnava l’avviso, sostenendo che l’amministratore svolgeva anche una propria autonoma attività agricola e che le movimentazioni bancarie non erano riferibili all’attività sociale. Se in un primo momento i giudici di merito davano ragione alla società, la Commissione Tributaria Regionale, in un secondo momento e a seguito di un primo rinvio della Cassazione, ribaltava la decisione, ritenendo che la società non avesse fornito la prova necessaria per superare la presunzione.

La vicenda approdava così nuovamente in Corte di Cassazione, con la società che lamentava la violazione di diverse norme procedurali e sostanziali.

La presunzione legale e l’accertamento su conti correnti di terzi

Il cuore della questione risiede nella presunzione legale stabilita dalle normative fiscali (in particolare, l’art. 32 del d.P.R. 600/1973 e l’art. 51 del d.P.R. 633/1972). Secondo un orientamento consolidato, queste presunzioni operano anche per le società di capitali quando le movimentazioni bancarie avvengono su conti intestati ai soci o ai loro stretti congiunti. Ciò accade in presenza di specifici elementi, come:

* Una compagine sociale ristretta.
* Uno stretto rapporto di contiguità familiare tra l’amministratore/socio e l’intestatario dei conti.

In questi casi, la probabilità che i movimenti bancari siano, in realtà, da attribuire all’ente societario è considerata molto elevata.

La posizione della Corte di Cassazione sull’accertamento

La Suprema Corte, già nella sua prima ordinanza di rinvio, aveva stabilito che la presenza congiunta di elementi sintomatici (società con soli due soci, conto intestato al padre convivente del socio di maggioranza, movimentazioni incompatibili con le dichiarazioni del titolare del conto) era sufficiente a integrare la presunzione legale. Il giudice del rinvio, quindi, non doveva rivalutare l’esistenza della presunzione, ma solo verificare se la società avesse fornito una prova contraria adeguata.

L’onere della prova a carico del contribuente

La giurisprudenza è chiara su questo punto: non è sufficiente una prova generica o ipotetica sulle cause dei versamenti. È indispensabile che il contribuente offra una prova analitica della correlazione di ogni singola movimentazione con operazioni già dichiarate o della sua totale estraneità all’attività d’impresa. Nel caso di specie, la CTR aveva correttamente ritenuto che la società non avesse assolto a tale onere, non avendo dimostrato che i versamenti fossero riconducibili all’attività agricola del padre dell’amministratore.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso presentati dalla società. In sintesi, i giudici hanno affermato che:

1. Il giudice del rinvio è vincolato ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione e non può rimetterli in discussione. La CTR si è attenuta a tale principio, limitandosi a verificare l’assolvimento dell’onere probatorio da parte della società.
2. La motivazione della sentenza impugnata non era né apparente né inesistente, ma esponeva, seppur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per concludere che la prova contraria non era stata fornita.
3. Non è possibile una nuova valutazione delle prove in sede di legittimità. La società cercava di ottenere un riesame del merito, contestando la valutazione della CTR su elementi come l’estraneità dell’altro socio o l’esistenza di un’attività agricola del terzo. La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge.
4. L’omesso esame di fatti decisivi non sussisteva. I fatti indicati dalla ricorrente o erano già stati considerati (come l’attività agricola del terzo) o non erano decisivi, cioè non avrebbero potuto cambiare l’esito del giudizio, data la solidità della presunzione legale basata sul vincolo parentale.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale in materia di accertamenti fiscali basati su indagini bancarie: quando sussistono indizi gravi, precisi e concordanti che legano i conti di un terzo a una società a base ristretta, scatta una presunzione legale di maggiori ricavi. Per vincere questa presunzione, non basta allegare circostanze generiche. Il contribuente ha il gravoso onere di fornire una prova analitica, movimentazione per movimentazione, che dimostri l’origine lecita e l’estraneità di tali somme all’attività d’impresa. Una difesa basata su mere affermazioni o prove non specifiche è destinata a fallire.

Quando i movimenti su un conto corrente di un familiare possono essere attribuiti a una società?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando esistono elementi sintomatici come una società a ristretta base (pochi soci), uno stretto rapporto di contiguità familiare tra l’amministratore o i soci e l’intestatario del conto, e le movimentazioni appaiono incompatibili con la situazione reddituale dichiarata da quest’ultimo. In questi casi, opera una presunzione legale di riferibilità alla società.

Quale prova deve fornire la società per contestare un accertamento basato su conti di terzi?
La società non può limitarsi a una prova generica. Deve fornire una prova analitica e specifica che dimostri, per ogni singola movimentazione contestata, la sua correlazione con operazioni già dichiarate oppure la sua completa estraneità all’attività d’impresa. L’onere della prova è a carico del contribuente.

Il fatto che il familiare titolare del conto svolga una propria attività economica è sufficiente a superare la presunzione?
No, non è sufficiente. Come chiarito dalla Corte, anche se il familiare svolge una propria attività, la società deve comunque fornire la prova analitica che le specifiche somme contestate derivino da tale attività e non siano riconducibili all’impresa sociale. Nel caso esaminato, questa prova non è stata fornita in modo adeguato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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