Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22273 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
Oggetto: II.DD. e IVA
– avviso di accerta-
mento – sottoscrizione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17024/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso Pietro COGNOME in Roma, INDIRIZZO (PEC EMAIL;
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, n. 2829/39/2016 depositata il 10 maggio 2016, e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, n. 2829/39/2016 veniva accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 446/6/2013 con la quale veniva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento, relativo ad II.DD. e IVA per l’anno di imposta 2007.
Le riprese traevano origine dalle risultanze del P.V.C. della Guardia di Finanza e dalle indagini bancarie ex art. 32, comma 1, n. 7, del d.P.R. n. 600/1973 su conti correnti riconducibili alla società, da cui era emersa materia imponibile non dichiarata e non giustificata dalla contribuente. Il giudice di prime cure accoglieva la preliminare doglianza relativa alla delega alla sottoscrizione dell’ avviso di accertamento, ritenuta non rispondente alle previsioni di cui all’art. 17, comma 1 bis, del decreto legislativo n. 165/2011, in quanto generica e non idonea ai
fini de ll’art. 42 del d.P.R. n. 600/73, con conseguente nullità dell’avviso di accertamento.
Il giudice d’appello riteneva superabile la questione preliminare, in quanto l’avviso di accertamento impugnato era stato legittimamente sottoscritto in virtù di una delega di firma e non di una delega di funzioni e, nel merito, riteneva corretto il recupero a tassazione di operazioni finanziarie non giustificate dalla società.
Avverso la sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione deducendo cinque motivi, cui ha replicato l’Agenzia con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la società ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/1973 e 17 comma 1bis del d.lgs. n. 165/2001, per avere la CTR ritenuto valida la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento considerando sufficiente la relativa disposizione di servizio prodotta in primo grado.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
2.1. La doglianza è anzitutto inammissibile per violazione dell’art. 360 bis cod. proc. civ., avendo la CTR deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, secondo cui la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 è una delega di firma e non di funzioni. Da tale principio deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega che, pertanto, può avvenire mediante ordini di ser-
vizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ex post , la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (cfr., ad es., Cass. n. 12916/2024 e giurisprudenza ivi citata). Ai fini della validità dell’atto , rileva perciò la sua riferibilità all’organo titolare del potere nel cui esercizio l’atto è stato adottato (cfr. Cass. n. 874/2009).
2.2. Il motivo, con il quale si censura anche l’omessa specificità, indicazione temporanea limitata della delega, mancata indicazione nominativa del delegato e del delegante, in disparte dall’eccezione in controricorso di novità del profilo, evidenzia da un lato profili irrilevanti sulla base del principio di diritto sopra richiamato, ed è altresì inammissibile anche perché mira a conseguire un riesame delle emergenze di merito e impinge nel preciso accertamento fattuale del giudice di seconde cure, il quale ha stabilito che « l’avviso di accertamento è stato legittimamente sottoscritto da NOME COGNOME su delega del Direttore Provinciale, sicché trattasi di accertamento sottoscritto in virtù di una delega di firma e non di una delega di funzione » (cfr. p. 4 della sentenza impugnata). Il mezzo di impugnazione non si confronta realmente con tale statuizione e si risolve così in una aspecifica riproposizione di difese di merito già vagliate e disattese dal giudice d’appello.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omes sa pronuncia in merito alla dedotta inammissibilità dell’appello per difetto di delega alla sottoscrizione e per invalidità della notifica del gravame stesso e la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546/1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 della Costituzione.
3.1. La ricorrente si duole del fatto che il giudice di seconde cure ha omesso sia in punto di fatto che nella parte motiva qualsiasi pronuncia
non avendo specificato le ragioni del rigetto delle doglianze formulate dalla contribuente.
4. Il motivo è infondato.
4.1 In tema di ricorso per cassazione, questa Corte ha, anche recentemente (cfr. Cass. ordinanza n. 27551 del 23/10/2024), ribadito che il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto, ma, comunque, indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
4.2. Il giudice di seconde cure ha ritenuto infondata l’ecce zione di inammissibilità dell’appello « alla luce della documentazione in atti per cui non appare carenza di delega né irritualità della notifica dell’appello » (cfr. p. 4 della sentenza) compiendo quindi una espressa e motivata statuizione su entrambe le questioni sollevate dalla società. Esse, riproposte in sede di legittimità, sono inoltre inammissibili anche perché, da un lato, l’una impinge nel l’accerta mento di fatto compiuto dal giudice circa la validità della delega di firma e, l’altra, perché la notificazione del gravame ha comunque raggiunto lo scopo ai fini dell’art.156 cod. proc. civ., attraverso l’avvenuta tempestiva costituzione in giudizio della contribuente, che ha permesso all’odierna ricorrente l’esercizio del proprio compiuto diritto di difesa.
5. Con il terzo motivo viene censurata l’ « Omessa pronuncia. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Costituzione » sulle questioni concernenti l’omessa allegazione all’avviso di accertamento degli atti in esso richiamati e non conosciuti dal contribuente, il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, l’irragionevolezza delle presunzioni relative ai prelevamenti bancari, l’omess o scomputo dei costi relativi ai maggiori ricavi.
6. Il motivo è parzialmente fondato, nei termini che seguono.
6.1. In riferimento ai primi due aspetti, concernenti l’omessa allegazione e il difetto di motivazione, non sussiste alcuna omessa pronuncia. In ordine alla configurabilità della decisione implicita di una questione connessa a una prospettata tesi difensiva o di un’eccezione di nullità, questa Corte ha chiarito (cfr. ad es. Cass. Ordinanza n. 12131 dell’8/05/2023 e giurisprudenza ivi citata) che ricorre quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza. Ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività. Nel caso in esame, il giudice d’appello si è pronunciato nel merito, e così facendo ha necessariamente rigettato in modo implicito le questioni preliminari attinenti al procedimento amministrativo sollevate dall’odierna ricorrente.
6.2. Inoltre, la parte di doglianza con il quale la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’accertamento dell’Ufficio per l’irragionevole ricorso alle presunzioni relative ai prelevamenti bancari a seguito di indagini bancarie condotte nei confronti dei soci, nonché del coniuge e dei figli dei soci (cfr. motivo letto insieme a quanto emerge da p.1 del ricorso) è destituito di fondamento. Il profilo di doglianza pone la questione della legittimità delle riprese fiscali operate a carico di una società sulla scorta delle risultanze delle verifiche sulle movimentazioni dei conti correnti intestati non solo alla società verificata ma anche ai soci, amministratori o a soggetti legati a questi da particolari stretti rapporti personali. Questione di cui questa Corte si è più volte occupata (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 7583/2025, Cass. n. 31750/2024, Cass. n. 20816/2024 e Cass. n. 35856/2023) enucleando i principi di seguito riportati che il Collegio intende ribadire.
Innanzitutto, si è affermato che in tema di accertamenti fiscali, tanto in materia di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, quanto in materia di IVA, ex art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633/1972, le presunzioni ivi stabilite, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che debbono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 22224 del 2018; Cass. sez.
6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20851; Cass. sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4788; Cass. sez. 5, 12 giugno 2015, n. 12276; Cass. sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 428; Cass. sez. 5, 18 dicembre 2014, n. 26829; v. anche Cass. n. 33596 del 2019).
Nel senso della riconducibilità delle movimentazioni dei conti correnti dei soci alla società verificata nel caso di ristretta base azionaria è Cass., Sez. 5, n. 30098 del 21/11/2018, secondo cui, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.
Tali principi devono, però, confrontarsi con quell’orientamento, pure da tempo presente nella giurisprudenza di questa Corte, che non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti della persona, e si è affermato il principio in base al quale «le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti» (Cass., Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02, in cui si richiamano Cass. n. 12817/2018, n. 17423/2003, n. 11145/2011; n. 17243/2003, n. 8826/2001).
Si tratta di un orientamento rinvenibile anche nelle più recenti pronunce di cui si è sopra dato atto e che è stato affermato anche con riferimento agli accertamenti in materia di imposte dirette.
In tale materia, questa Corte ha ribadito che le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono riguardare anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cass. n. 546 del 15/01/2020). Si è comunque precisato che la sola sussistenza dello stretto vincolo familiare fra il contribuente e il terzo non è un dato sufficiente per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, occorrendo che tale vincolo sia accompagnato dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del soggetto terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato (Cass. n. 32974/2018; n. 34747/2023, n. 20816/2024).
Nella fattispecie è dunque applicabile il principio affermato da questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. ordinanza n. 2928 del 31/01/2024 e giurisprudenza ivi citata) secondo il quale, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi
risultanti dai conti predetti. È a quel punto il contribuente a dover dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, ossia con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. La decisione della CTR fondata sulla circostanza che « non risulta fornita la prova certa in ordine alle fatture giustificative delle movimentazioni finanziarie contestate dall’Ufficio » (cfr. p. 4 della sentenza) è perciò in aderenza alla richiamata giurisprudenza.
6.3. Con riferimento allo scomputo dei costi connessi alla determinazione presuntiva dei maggiori ricavi, il Collegio osserva che il giudice di seconde cure ha confermato integralmente le riprese affermando espressamente che « La ricostruzione dei ricavi è legittima e non merita censura per cui le affermazioni della contribuente appaiono generiche e prive di un valido riscontro probatorio. La Commissione rappresenta inoltre che l’Ufficio non ha recepito gli elementi forniti dalla Guardia di Finanza, tenuto conto che ha valutato le osservazioni presentate dalla contribuente non ritenendole valide e giustificative ed ha indicato le operazioni finanziarie recuperate a tassazione non ritenendo valide le argomentazioni della contribuente » (cfr. p. 4 della sentenza, in calce).
L ‘ argomentazione non fa alcuna menzione della questione dei costi, proposta fin dal primo grado e devoluta al giudice con il sesto punto delle controdeduzioni in appello (v. p.16 ricorso, specifico sul tema). Oltre che nel caso di accertamento cd. induttivo puro, anche negli accertamenti basati sulle indagini bancarie di cui all’art.32 del d.P.R. n. 600/1973, come nella fattispecie in esame, in cui l’amministrazione finanziaria tiene conto dei dati contabili disponibili ma, ravvisando lacune o elementi da cui desumere l’inattendibilità delle scritture, li integra con criteri presuntivi, è necessario tener conto dei costi necessaria
alla produzione del maggior reddito accertato. Ciò deve avvenire in proporzione dei maggiori ricavi accertati riconoscendo, in alternativa ad una determinazione analitica, una percentuale forfettaria (così Corte Cost., 31 gennaio 2023, n. 10 e Cass., 23 febbraio 2023, n. 5586). Infatti, sarebbe irragionevole riconoscere lo scomputo dei costi soltanto in caso di accertamento induttivo puro, perché verrebbe avvantaggiato colui che non ha tenuto correttamente le scritture contabili e che pertanto sono considerate inattendibili dall’Amministr azione finanziaria.
L’accertamento di un maggior imponibile conseguito all’utilizzo di elementi presuntivi deve quindi essere accompagnato da una rettifica che tenga conto dell’incidenza percentuale di costi, adempimento demandato al giudice del rinvio.
Con il quarto motivo la ricorrente censura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546/1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Costituzione, per aver la CTR omesso di pronunciarsi in ordine alle specifiche giustificazioni delle movimentazioni finanziarie fornite dal contribuente nei gradi di merito.
8. La doglianza è inammissibile.
Premesso che il giudice ha dato conto della presunta giustificazione offerta dalla contribuente ( « Nel merito contesta le indagini bancarie e ribadisce che sussistono le fatture giustificative… », p.3 sentenza, nella parte in fatto) e, come sopra già riportato, ha ritenuto che in punto di ricostruzione dei maggiori ricavi le deduzioni della contribuente siano generiche e non analitiche, la ricorrente si contrappone a tale accertamento ribadendo anche in sede di legittimità di aver già fornito ed illustrato nel ricorso introduttivo le giustificazioni relative alle movimentazioni bancarie elencate nell’avviso di accertamento. La ricorrente af-
ferma di aver «reiterato nel 6° motivo delle controdeduzioni depositate in appello» (cfr. p. 19 del ricorso) la propria giustificazione, senza tuttavia dare chiara evidenza del suo contenuto. La prospettazione non offre, pertanto, riscontro delle evidenze oggettive che, qualora presenti nella documentazione prodotta nei gradi di merito, avrebbero potuto supportare il motivo di ricorso, il quale difetta del necessario requisito della specificità e localizzazione.
Si ribadisce al proposito (cfr. Cass. SS. UU. n. 8950/2022) che, al fine di sostenere prima e dimostrare poi la denunciata ingiustizia della sentenza di secondo grado, era onere delle ricorrenti indicare puntualmente il contenuto dei documenti richiamati all’interno della censura e segnalare specificamente la loro presenza negli atti del giudizio di merito, carenze che rendono la censura estremamente generica e certamente non coincidente con i precisi canoni di ammissibilità richiesti pacificamente dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Con il quinto e ultimo motivo, rinumerato per mero errore materiale quarto a pag. 20 del ricorso, la società prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ., per avere la CTR ritenuto non idonea la giustificazione offerta dalla contribuente alle contestate movimentazioni, consistente in un assegno bancario, tenuto anche conto che le operazioni rilevanti, a suo dire, possono essere «solo quelli riferibili ai conti intestati o cointestati alla stessa società contribuente» (cfr. p. 21 del ricorso) e non anche a persone diverse, ancorché legate alla contribuente da vincoli commerciali, societari o familiari.
10. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
10.1. Innanzitutto, la censura è inammissibile difettando anch’essa del necessario requisito della specificità e localizzazione, in quanto la ricorrente, dopo aver riproposto il motivo di ricorso introduttivo afferma di averlo «reiterato nel 6° motivo delle controdeduzioni depositate presso la CTR» (cfr. p. 20 del ricorso), senza tuttavia chiarirne il contenuto, né la censura introduce un error in procedendo che possa giustificare l’esame d’ufficio della documentazione.
10.2. La doglianza è, inoltre, inammissibile perché chiede la rivalutazione della prova già pesata dal giudice del merito, oltre che manifestamente infondata. Vale quanto già argomentato al punto 6.2. della presente decisione sull’idoneità delle indagini bancarie condotte nei confronti dei soci, nonché del coniuge e dei figli dei soci. Ciò richiamato, in tema d’imposte sui redditi come di IVA, è orientamento costante di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. ordinanza n. 9403 del 08/04/2024 e giurisprudenza ivi citata) che la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusto l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2. Perciò, in caso di verifiche fiscali sui redditi di una società, i movimenti bancari rilevanti, rispetto ai quali è dato presumere l’esistenza di materia imponibile non dichiarata possono ben riguardare anche conti non formalmente intestati alla società ma a persone diverse, legate al contribuente da vincoli commerciali, societari o familiari.
Conclusivamente, in accoglimento del terzo motivo nei limiti indicati, la sentenza impugnata è cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo della
quantificazione dei costi relativi al maggio reddito accertato, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: accoglie nei limiti di cui in motivazione il terzo motivo del ricorso, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025