Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1285 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1285 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13600/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 2612/2015, depositata il 16/03/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; in subordine accogliersi il secondo motivo.
Udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME e il difensore della ricorrente Avvocato NOME COGNOME che hanno richiamato le conclusioni rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
Dalla narrativa della sentenza qui impugnata risulta che l’Ufficio ha contestato a RAGIONE_SOCIALE (‘DH’) un’operazione elusiva di leveraged cash out , così riassumibile nei suoi tratti essenziali: (a) i soci di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (‘DCN’) (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) cedevano alla (neocostituita) HD le loro partecipazioni in RAGIONE_SOCIALE, mediante atto di vendita e non con atto di conferimento di beni in natura (partecipazioni), al fine di non sottostare alla tassazione dei dividendi distribuiti da DCN ai soci medesimi, la cui retrocessione a favore degli stessi soci cedenti (o meglio conferenti) veniva mascherata sotto forma di ripianamento del debito contratto da DH per l’acquisto dell’intera partecipazione nella DCN; (b) in dettaglio, sulla premessa della natura elusiva della complessa operazione, coll’accertamento oggetto di questo giudizio si contesta a DH di avere omesso di eseguire le ritenute a titolo di imposta del 12,5 per cento sul complessivo importo distribuito, (per quanto qui rileva) nell’anno 2008, ai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME a titolo di dividendi sotto la forma apparente di pagamento del prezzo per l’acquisto della partecipazione in DCN.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Napoli, la quale ha rigettato il ricorso con sentenza (n. 574/13) che è stata riformata dalla CTR della Campania che, a sua volta, ha accolto l’appello della contribuente sulla base delle seguenti considerazioni: (i) è erronea l’applicazione da parte dell’ufficio dell’art. 37 -bis, d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto l’operazione di trasferimento a DH delle partecipazioni detenute in DCN da parte dei suindicati soci (persone fisiche), perfezionata nel 2004, è stata
qualificata, anche ai fini fiscali, come ‘cessione’ e non come ‘conferimento’ in sede di accertamento con adesione da parte dei soci, nel cui àmbito è stata convenuta una mera rideterminazione del corrispettivo di cessione; (ii) è errata la pronuncia di primo grado che ha affermato che «era irrilevante la definizione intervenuta con riferimento agli avvisi di accertamento notificati per il periodo d’imposta 2004 nel presupposto che «l’adesione relativa a un anno d’imposta non vincola l’Ufficio per i successivi anni».
L’Agenzia delle entrate ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza di appello; la società contribuente resiste con controricorso.
La causa, rinviata a nuovo ruolo su richiesta della difesa della contribuente, al fine di consentirle di valutare se avvalersi della definizione agevolata di cui all’art. 1, commi da 186 a 205, legge 29 dicembre 2022, n. 197, è stata quindi fissata per la discussione alla odierna udienza pubblica.
In prossimità della pubblica udienza il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta con la quale, richiamando le conclusioni scritte già formulate in ordine al presente ricorso in vista dell’udienza pubblica del 10 gennaio 2023, ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546 del 1992», lamentando che la motivazione della sentenza impugnata contenga argomentazioni così profondamente contraddittorie da rendere impossibile comprenderne sotto il profilo logico e giuridico il suo effettivo significato.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonché dell’art. 7, primo comma, e degli artt. 39, primo comma, e 42, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546». L’Amministrazione ricorrente lamenta che la CTR abbia erroneamente affermato che l’accertamento con adesione intervenuto per un precedente anno nei confronti di un socio sarebbe vincolante anche nei confronti della società, così da precludere l’adozione di un accertamento di diverso contenuto.
Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, primo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 89 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546», censurando l’erroneità della tesi, affermata dalla CTR nella sentenza impugnata, secondo cui nel caso di specie l’effetto vincolante nei confronti della società dell’accertamento con adesione intervenuto nei confronti di un socio dipenderebbe dalla inscindibilità della posizione dei due soggetti, con riguardo agli accertamenti compiuti ed alle pretese avanzate nei loro confronti.
Con il quarto motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia l’ «Omesso esame di un fatto rilevante e decisivo del giudizio, che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546». Lamenta la ricorrente che la CTR non avrebbe esaminato la specifica eccezione, proposta con le controdeduzioni di appello, avente ad oggetto la natura elusiva della operazione societaria posta in essere.
Con il quinto strumento di impugnazione, l’Agenzia delle entrate denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546». Lamenta la ricorrente che i giudici di appello abbiano omesso di considerare che le parti hanno posto in essere operazioni artificiose e abusive, allo scopo di aggirare gli obblighi tributari.
6. Il primo motivo è infondato.
L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
Va ancora rammentato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto
di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
Nel caso di specie, pur in presenza di alcuni passaggi della motivazione che non brillano certo per chiarezza e coerenza, è ben comprensibile la ratio decidendi su cui si fonda la decisione della Corte territoriale, ovverosia sull’assunto che l’Amministrazione non avrebbe potuto mutare la qualificazione di ‘cessione’ (o vendita) delle azioni riconosciuta nell’accertamento con adesione che ha riguardato uno dei soci cedenti, NOME COGNOME per l’anno 2004, essendo vincolata a tale accordo.
7. Il secondo e terzo motivo di ricorso devono esaminarsi unitariamente in quanto entrambi contestano le argomentazioni che la CTR ha posto a fondamento della propria statuizione secondo cui la qualificazione, nell’accertamento con adesione del 2004 nei confronti della socia NOME COGNOME dell’operazione in questione come cessione delle azioni avrebbe precluso all’Agenzia delle Entrate di qualificare, per gli anni successivi, e nei confronti della società, la medesima operazione come conferimento di partecipazioni, al fine di operare la tassazione delle somme pervenute ai soci della RAGIONE_SOCIALE come dividendi.
7.1. I motivi sono fondati.
Va osservato, a tale riguardo, che l’accertamento con adesione vincola sia il contribuente sia l’Amministrazione finanziaria e, in particolare, preclude a quest’ultima una ulteriore attività accertatrice, salve le deroghe previste dall’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 218/1997, solo per il periodo di imposta interessato dall’accordo, che costituisce il limite oggettivo della definizione concordata fra le parti, definizione che peraltro, nel caso di specie, ebbe ad oggetto soltanto il quantum debeatur della pretesa impositiva, essendo in discussione unicamente la plusvalenza derivante dalla cessione.
Al contrario, per gli altri periodi d’imposta, l’accertamento con adesione non ha carattere vincolante per le parti.
7.2. Sul punto, va evidenziato che, in materia tributaria, l’accertamento con adesione, pur essendo il risultato di un accordo tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, costituisce una forma di esercizio del potere impositivo non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l’assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale, in ragione di ciò, non è soggetto alle disposizioni del codice civile in tema di transazione, ma alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997, avente carattere cogente siccome afferente all’obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile (in tal senso Cass. 26 maggio 2021, n. 14568).
7.3. Proprio il profilo dell’accordo, tuttavia, limita l’efficacia dell’accertamento entro i limiti (contenutistici e temporali) in cui tale accordo si è formato, non potendosi quindi estendere l’efficacia di tale accordo, con riferimento ai presupposti ed al periodo dell’imposta, oltre i termini ed i limiti in esso indicati (v. Cass. n. 3854/2023).
In ragione di ciò, non può certo affermarsi che l’Amministrazione finanziaria, procedendo all’accertamento per gli anni successivi, abbia violato il canone di correttezza di cui all’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente), non potendosi certo considerare l’accordo raggiunto per un determinato periodo d’imposta ostativo con riferimento ad accertamenti relativi a periodi d’imposta successivi, tanto più che, essendosi in presenza di comportamenti elusivi, il contribuente non può considerarsi sorpreso dall’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 16675/2022, che, in relazione alla medesima vicenda qui esaminata, ha, per tali ragioni, rigettato il ricorso proposto dal Fallimento della socia NOME COGNOME
relativo ad IRPEF per l’anno d’imposta 2007, in quanto annualità differente rispetto a quella definita con accertamento con adesione).
7.4. Infine, nel caso di specie, risulta inconferente ogni questione relativa al rapporto tra adesione della società e accertamento del singolo socio nelle società di persone, non applicandosi, trattandosi di società di capitali, il criterio di imputazione del reddito per trasparenza, ex art. 5, comma 1, del Tuir.
8. In conclusione, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti il quarto ed il quinto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/11/2024.