Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18592 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18592 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5610/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME
NOME (CODICE_FISCALE) e NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
R.G. 5610/2023
COGNOME.
Rep.
C.C. 23/4/2024
C.C. 14/4/2022
AVVISO DI ACCERTAMENTO TRIBUTARIO. RISARCIMENTO DANNI.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, SCARPERIA GUSTAVO
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di L ‘ AQUILA n. 1338/2022 depositata il 28/09/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Chieti, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedendo che, previa declaratoria di nullità o di annullamento degli atti di accertamento per adesione sottoscritti tra le parti in data 12 marzo 2015, l’RAGIONE_SOCIALE fosse condannata, insieme ai suoi funzionari NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra di loro, anche ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., al risarcimento dei danni subiti dalla società attrice, quantificati in una somma non inferiore ad euro 1.668.327,52, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che essa attrice, società esercente dal 2009 il servizio di trasporto aereo con elivelivoli, era stata sottoposta dall’RAGIONE_SOCIALE convenuta ad un accertamento che si era concluso ipotizzando, a suo carico, la qualità di società di comodo per gli anni 2009-2012, con conseguente liquidazione di imposte e sanzioni per una cifra pari a circa sei milioni di euro. Aggiunse che, a seguito dell’avviso di accertamento, tra le parti erano stati conclusi accordi in adesione che avevano ridotto il debito complessivo alla somma di euro 1.668.327,52, accordi che, però, erano da considerare nulli o annullabili per presunte pressioni indebitamente e scorrettamente esercitate a suo carico, consistenti nella minaccia di una denuncia penale e dell’iscrizione a ruolo, nella misura di un terzo, della maggiore imposta accertata.
Si costituì in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda.
Espletata una c.t.u., il Tribunale rigettò la domanda.
Avverso detta sentenza ha proposto appello la società soccombente e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 28 settembre 2022, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione RAGIONE_SOCIALE ulteriori spese del grado.
Ha premesso la Corte territoriale che gli atti di accertamento per adesione in contestazione avevano fatto seguito alla notificazione degli avvisi di accertamento scaturiti dal verbale di constatazione del maggio 2014 ed alla richiesta avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, i quali avevano ridotto in modo significativo le maggiori imposte e le sanzioni irrogate. Ciò in quanto l’amministrazione finanziaria, all’esito del contraddittorio con la contribuente e della valutazione dell’ulteriore documentazione da questa prodotta, aveva limitato agli anni 2010 e 2011 l’applicazione della normativa antielusiva di cui all’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994 ed aveva escluso, per l’anno 2012, l’applicazione dell’art. 2, comma 36 -decies , del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modifiche nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di società di comodo.
Tanto premesso, la Corte di merito ha richiamato il consolidato orientamento in base al quale l’accertamento con adesione definito dalla giurisprudenza di legittimità in termini di accordo di diritto pubblico -determina «l’intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, con la conseguenza che risulta normativamente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo che ne costituisca eventualmente il presupposto, il quale conserva efficacia solo a garanzia del fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato, nonché quella di chiedere il rimborso RAGIONE_SOCIALE somme versate in esecuzione dell’accordo stesso». Ma comunque, ove pure si ipotizzasse che tale intangibilità non precluda l’esercizio dell’azione
di annullamento, nella specie non era configurabile, neppure in astratto, il vizio del consenso ipotizzato dalla società appellante; irrilevanti apparivano, a tal fine, sia la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, da ritenere atto dovuto, sia l’iscrizione a ruolo, in misura di un terzo, della maggiore imposta dovuta.
Nessuna costrizione era immaginabile, posto che gli accertamenti per adesione erano giunti al termine di una complessa procedura in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, nel corso della quale la società attrice era stata assistita da tre professionisti; tanto più che l’accertamento definitivo, ben più favorevole per il contribuente, aveva determinato anche «lo sblocco e l’incameramento di rimborsi IVA relativi agli anni 2013 e 2014 ammontanti complessivamente ad euro 1.156.235,26». D’altronde, ha aggiunto la Corte, anche il verbale di constatazione che aveva condotto all’accertamento appariva «scevro dagli abusi e dagli errori giuridici e fattuali ipotizzati dall’appellante».
Richiamata la trama normativa in tema di disciplina RAGIONE_SOCIALE c.d. società di comodo, la sentenza ha posto in luce come dall’espletata c.t.u. svolta in primo grado fosse emerso che sussistevano gli estremi di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994 per applicare alla società RAGIONE_SOCIALE la normativa su tali società, non essendo stata fornita dalla stessa la prova dell’esistenza di situazioni non dipendenti dalla volontà dell’imprenditore e diventando, perciò, irrilevante l’effettivo svolgimento dell’attività di noleggio di velivoli da parte della società medesima. Non era emerso, in definitiva, che i risultati della verifica compiuta nel 2014 dai funzionari appellati fossero stati alterati da errata applicazione RAGIONE_SOCIALE norme antielusive o, peggio, da presunti abusi, rimasti indimostrati. Né a diversa conclusione poteva giungersi per il fatto che, all’esito dell’accertamento con adesione, era risultata una riduzione di un terzo RAGIONE_SOCIALE sanzioni, posto che tale esito non era stato il frutto del riconoscimento di errori commessi in sede di verifica, quanto di
un’applicazione «più che estensiva» della causa di esclusione concernente la società in relazione al primo periodo di imposta (2009).
In conclusione, in assenza di un danno ingiusto e di una condotta colposa o dolosa dei funzionari che avevano svolto la verifica, la domanda risarcitoria doveva essere integralmente rigettata.
Contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a cinque motivi.
Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La società ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., perché la sentenza impugnata avrebbe inteso l’azione attorea come mera impugnazione degli atti per adesione per vizi del consenso, mentre essa si fondava sulle contestazioni riferite alle violazioni della buona fede e RAGIONE_SOCIALE regole e principi in ambito tributario, quale autonoma causa petendi del petitum risarcitorio e avrebbe inteso che l’azione attorea non contestasse l’erroneità degli atti d’adesione se non tardivamente in secondo grado.
Sostiene la società ricorrente che fin dal giudizio di primo grado e in tutti gli atti successivi essa aveva ampiamente dedotto il fondamento della domanda risarcitoria, ipotizzando l’esistenza di abusi da parte dell’RAGIONE_SOCIALE convenuta.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, esaminato dalla Corte d’appello, sostenendo che tutte le considerazioni contenute nel primo motivo fondano anche tale ulteriore vizio.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1175, 1366, 1374, 1375 e 2043 cod. civ.; degli artt. 1 e 11 della legge n. 241 del 1990; degli artt. 1325 e 1418, secondo comma, cod. civ.; degli art. 1427 ss. cod. civ.; del codice del consumo; dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998; dell’art. 2 Cost.; dello Statuto del contribuente; degli artt. 23, 53, 97 Cost.; della normativa sulle società di comodo (della L. n. 724 del 1994, art. 30, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 36decies e 36undecies , conv. nella L. 14 settembre 2011, n. 148); della normativa in tema di accertamento con adesione, del d.lgs. n. 218 del 1997.
La società ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe dato atto che l’amministrazione aveva violato le regole e i principi suddetti allorché non aveva valorizzato fin dall’inizio gli elementi in proprio possesso e più favorevoli alla società contribuente, procedendo ad avvisi di accertamento per circa sei milioni di euro salvo poi, senza passare per nuovi accertamenti, valorizzare, ma parzialmente, i dati nei soli accertamenti con adesione. Si sostiene che l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto impiegare da subito i dati conosciuti per escludere l’applicazione della legge n. 724 del 1994, oppure avrebbe dovuto emettere nuovi atti di accertamento. Il fatto che l’attività di impresa fosse iniziata nel 2009, dato pacifico, avrebbe dovuto condurre l’RAGIONE_SOCIALE ad escludere tale anno dal periodo rilevante di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della normativa sull’accertamento per adesione, del d.lgs. n. 218 del 1997; dell’art. 2697 c.c.; della correttezza; degli artt. 1 e 11 della legge n. 241 del 1990; dello Statuto del contribuente; dei principi di capacità contributiva, solidarietà,
proporzionalità, ragionevolezza, buon andamento; RAGIONE_SOCIALE regole sul riparto di giurisdizione; degli artt. 1325 e 1418, secondo comma, cod. civ.; degli artt. 1427 ss. cod. civ.; del codice del consumo; dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998; degli artt. 1175, 1337, 1366, 1374 e 1375 cod. civ., in tema di buona fede e responsabilità precontrattuale.
La società ricorrente, contestato che gli accertamenti per adesione possano essere definiti come negozi di diritto privato, ribadisce che l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione una serie di dati che aveva a sua disposizione, violando i principi di correttezza e buona fede.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della normativa sulle società di comodo; della L. n. 724 del 1994, dell’art. 30 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, dell’art. 2, commi 36decies e 36undecies , convertito nella L. 14 settembre 2011, n. 148; della normativa in tema di accertamento con adesione, del d.lgs. n. 218 del 1997; dello Statuto del contribuente; degli artt. 2, 23 e 53 Cost.; dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere della prova.
La società ricorrente rileva che la sentenza impugnata avrebbe deciso le questioni di diritto in modo difforme dalla giurisprudenza di questa Corte, poiché ha ritenuto superabili le presunzioni di cui alla legge n. 724 del 1994 non in virtù della prova dell’effettività dell’impresa (dato provato e incontestato), né alle riscontrate difficoltà della start up . Si contesta inoltre la sentenza della Corte d’appello per avere affermato la legittimità dell’operato dell’RAGIONE_SOCIALE (che ha affermato l’irrilevanza dell’esercizio effettivo dell’impresa e l’esistenza di effettive cause ostative della redditività), ritenendola conforme all’interpretazione della legge n. 724 del 1994 all’epoca dei fatti preminente, nonostante dette
interpretazioni siano opposte a quelle affermate dal Supremo Collegio.
La Corte ritiene che il ricorso sia inammissibile per le ragioni che seguono.
6.1. Un primo rilievo da compiere, che riguarda in generale tutti i motivi di ricorso, è che manca un’esposizione sommaria dei fatti idonea a dare conto di quale sia stato l’effettivo svolgimento della vicenda.
Nella parte introduttiva del ricorso, infatti, si esordisce affermando che l’atto di citazione era stato precisato con la memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ., della quale si passa immediatamente ad illustrare il contenuto. Ciò è di per sé indice di una non corretta impostazione dell’impugnazione. Si passa, poi, ad indicare quelle che dovrebbero essere le precisazioni contenute nella memoria, ma senza spiegare né cosa sia stato detto nell’atto di citazione originario né quale sia il legame tra quest’ultimo e la memoria successiva. Non emerge dall’ incipit del ricorso, in altre parole, quali fossero realmente i fatti e il loro svolgimento cronologico, rispetto ai quali vi sono soltanto riferimenti del tutto generici. Tant’è che subito dopo (pp. 5 -6 del ricorso) si passa ad illustrare le conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado, con successivi rapidi richiami al contenuto RAGIONE_SOCIALE sentenze del Tribunale e della Corte d’appello.
6.2. Tanto premesso, il Collegio rileva che il primo motivo di ricorso è inammissibile per più di una ragione.
Esso è, innanzitutto, carente sotto il profilo della chiarezza espositiva perché, nel tentativo di dimostrare la fondatezza del proprio assunto -e cioè che la Corte d’appello sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia e di incompleto esame RAGIONE_SOCIALE censure, ritenendo erroneamente che alcune contestazioni fossero state sollevate solo in appello -supporta la censura trascrivendo la
motivazione della sentenza ma con significative e rilevanti mancanze.
Non può essere taciuto, poi, che il motivo è redatto con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., perché è vistosamente carente anche nell’indicazione degli atti ai quali fa riferimento nel sostenere le censure.
Ma, anche volendo ignorare le numerose e gravi carenze di prospettazione, la Corte rileva che, come giustamente si osserva nel controricorso, tutta la contestazione dimostra di non cogliere affatto la ratio decidendi della sentenza impugnata. Ed invero la Corte d’appello, come già si è evidenziato in precedenza, ha illustrato con chiarezza espositiva e con ricchezza di particolari tutte le ragioni per le quali dovevano escludersi sia la possibile esistenza di un vizio del consenso da parte dell’odierna ricorrente sia la violazione dei principi di correttezza e buona fede in materia di diritto tributario. Altrettanto deve dirsi in relazione alla contestazione della presunta scorrettezza dei dati assunti negli accertamenti per adesione, con particolare riferimento all’esclusione dell’anno 2009 dal conteggio relativo agli anni in rapporto ai quali era stata ritenuta la natura di società di comodo.
6.3. Le carenze enunciate a proposito del primo motivo possono essere estese anche al secondo, che è ripetitivo del primo con la diversa prospettazione del vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Senza contare che la censura proposta è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., posto che si è in presenza di una pronuncia di appello c.d. doppia conforme .
6.4. Il terzo e il quarto motivo, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente e sono entrambi inammissibili.
Ed invero, a prescindere dalla contestazione circa la definizione dell’accertamento con adesione in termini di negozio di diritto privato -affermazione che, letteralmente assunta, non trova
riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, che si esprime piuttosto in termini di accordo di diritto pubblico (v., di recente, l’ordinanza 26 maggio 2021, n. 14568) i due motivi in esame si risolvono in un insieme di censure, affastellate senza un preciso ordine logico, che mescolano elementi di fatto e di diritto e finiscono, in realtà, per ribadire osservazioni già fatte in precedenza e per sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
La Corte ritiene di dover aggiungere, ad abundantiam , richiamando sul punto anche i corretti rilievi del controricorso, che la sentenza impugnata ha evidenziato che il processo verbale di constatazione era, per sua natura, atto istruttorio privo di un immediato effetto giuridico sulla società ricorrente; che non era prospettabile alcuna minaccia distorsiva del consenso, né in relazione alla possibile denuncia penale né all’iscrizione a ruolo di una parte RAGIONE_SOCIALE imposte, e che l’accordo tra la società ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE era il frutto di una mediazione svoltasi attraverso numerose riunione nelle quali la RAGIONE_SOCIALE era stata assistita da ben tre professionisti. Senza contare che, come la Corte d’appello ha significativamente messo in luce, gli accordi asseritamente viziati avevano consentito alla società oggi ricorrente di ottenere lo sblocco di cospicue somme a titolo di rimborsi dell’IVA.
Palesemente di merito sono, poi, le contestazioni riguardanti la sussistenza o meno RAGIONE_SOCIALE condizioni per l’applicazione del regime RAGIONE_SOCIALE società di comodo ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 e l’esclusione dell’anno 2009 dal conteggio del complessivo debito d’imposta.
6.5. Non diversa sorte meritano, infine, le censure contenute nel quinto motivo di ricorso.
Da un lato, infatti, esse si risolvono nella contestazione mossa alla sentenza impugnata là dove ha ritenuto sussistenti, in fatto, le
condizioni di legge per applicare alla società ricorrente il regime RAGIONE_SOCIALE società di comodo; ed è palese che, sotto questo profilo, il motivo tende a sollecitare un indebito riesame del merito.
Da un altro lato, poi, il motivo mette in contestazione l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte relativo alle società di comodo. Ora, a prescindere dall’improprietà di una simile doglianza, resta il fatto, insuperabile, che la Corte d’appello, richiamando e facendo proprie le argomentate conclusioni del c.t.u., ha ritenuto sussistenti tutte le condizioni di legge per l’applicazione della normativa antielusiva, avendo cura di precisare che il diverso esito dell’accertamento con adesione determinato, tra l’altro, dall’esclusione dell’anno 2009 dall’applicazione dell’art. 30 cit. -non poteva in alcun modo tradursi in una «valutazione di erroneità» dei risultati contenuti nei contestati avvisi di accertamento.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 10.000 oltre spese eventualmente prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per il versamento al giudice competente per il merito, da parte della
società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza