Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12074 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12074 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES 2008.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16098/2014 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore, con sede legale in Torino, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso, e dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in data 14 ottobre 2022,
-ricorrente/controricorrente in via incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente/ricorrente in via incidentale -MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro-tempore,
-intimato –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 172/34/2013, depositata il 16 dicembre 2013; udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale;
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, l’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale di Torino notificava, in data 16 novembre 2010, nei confronti della suddetta società, avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo al periodo d’imposta 2008, con il quale l’Ufficio procedente recuperava a tassazione interessi passivi ritenuti indeducibili, riguardanti un prestito obbligazionario, per € 227.535,00, nonché maggiori ritenute (riferibili ad oneri del sostituto d’imposta) per € 77.256,00. Venivano quindi accertate maggiori imposte per € 139.828,00, con irrogazione delle conseguenti sanzioni ex art. 12 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per € 115.884,00.
Proposto ricorso dalla società contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino questa, con sentenza n. 23/17/2012, depositata il 5 marzo 2012, rigettava il ricorso, eccezion fatta per la parte relativa alle sanzioni relative alla indeducibilità degli interessi passivi ed alle ritenute sugli stessi interessi.
Interposto gravame dalla contribuente, ed appello incidentale dall’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con sentenza n. 172/34/2013, pronunciata il 13
novembre 2013 e depositata in segreteria il 16 dicembre 2013, rigettava entrambi gli appelli, compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che propone anche ricorso incidentale, affidato a due motivi.
All ‘esito dell’ udienza pubblica del 10 gennaio 2023 la Corte disponeva la sospensione del giudizio fino al 10 luglio 2023, ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.
Con decreto dell’11 ottobre 2024 è stata quindi fissata nuovamente per la discussione l’udienza pubblica del 25 gennaio 2025.
La ricorrente ha depositato memoria.
All ‘udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve darsi atto che la preannunciata proposta di definizione agevolata della controversia non ha avuto seguito.
Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è stato parte del giudizio di merito.
Il ricorso principale, come si è detto, è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 115, della
legge 28 dicembre 1995, n. 549 (vigente ratione temporis ), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, la società contribuente che la C.T.R. avrebbe errato nel confermare l’indeducibilità della quota di interessi passivi relativi ai prestiti obbligazionari emessi dalla stessa società, non essendo stati resi omogenei i termini di confronto tra i tassi ai fini della determinazione della quota indeducibile, cioè il Tasso Unico di Sconto (TUS) vigente al momento dell’emissione del prestito e aumentato di due terzi ed il Tasso di Rendimento Effettivo (TRES), quest’ultimo considerato come parametro semestrale e dunque non in linea con i termini del rapporto indicati dalla norma.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Sostiene, in particolare, la RAGIONE_SOCIALE, che la C.T.R. avrebbe errato nel limitare l’applicabilità della norma suddetta ai soli casi di irrogazione sanzioni e richiesta di interessi moratori, potendola estendere, invece, anche alle maggiori imposte accertate in supposta infrazione del principio di affidamento.
Si procede ora, invece, alla succinta illustrazione dei motivi di ricorso incidentale.
2.1. Con il primo motivo di ricor so incidentale l’Agenzia delle E ntrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Sostiene, in particolare, l’Ufficio che la sentenza impugnata sarebbe nulla per radicale contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla rilevanza dell’atto di adesione perfezionatosi nell’anno 2005, che prima è stato considerato
fonte di affidamento per accertamenti futuri, nel mentre tale affidamento viene successivamente escluso.
2 .2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Ufficio eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, della legge n. 212/2000 e del d.lgs. n. 218/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), c.p.c., non potendosi attribuire rilevanza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 2, cit., all’accertamento con adesione concordato tra le parti in data 21 luglio 2008, in relazione all’anno 2005, in quanto la natura di tale accertamento con adesione impediva di ritenere che lo stesso potesse ingenerare un affidamento sul comportamento fiscale da tenere nei successivi periodi d’imposta, riferendosi ad annualità precedente e non potendo spiegare i suoi effetti oltre tale annualità.
Procedendo quindi allo scrutinio dei motivi di ricorso principale, la Corte osserva quanto segue.
3.1. Il primo motivo è infondato.
Ed invero, la ricorrente censura la sentenza impugnata, con riferimento alla determinazione del quantum degli interessi passivi indeducibili, relativamente a due prestiti obbligazioni emessi dalla società.
Orbene, risulta pacifico che la società ha pattuito, con i sottoscrittori delle obbligazioni, quanto segue: i ) le obbligazioni sono emesse alla pari ed al portatore; ii ) le obbligazioni sono fruttifere di interessi annui variabili, calcolati sulla base della misura del tasso ufficiale di riferimento (TUR), aumentato di 2/3, applicato sull’im porto nominale in essere del prestito obbligazionario; iii ) il tasso ufficiale di sconto di riferimento (o suo equivalente in caso di sua futura abrogazione o sostituzione) è quello rilevato rispettivamente il 30 novembre
per le cedole scadenti il 1° gennaio ed il 31 maggio per le cedole scadenti il 1° luglio.
L ‘art. 3, comma 115, della legge n. 549/1995, vigente ratione temporis , stabilisce che, nel caso in cui il tasso di rendimento effettivo sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni sia superiore ai limiti indicati nel terzo periodo del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. n. 600/1973, gli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi sono indeducibili dal reddito d’impresa.
Il suddetto art. 26, comma 1, terzo periodo, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis , stabilisce che «se i titoli indicati nel precedente periodo sono emessi da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero da quote, l’aliquota del 12,50 per cento si applica a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore: a ) al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al citato decreto, o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione; b ) al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, per le obbligazioni e i titoli similari diversi dai precedenti».
Nel caso di specie si configura quest’ultima ipotesi, per cui, posto che il tasso effettivo di rendimento è quello vigente al momento dell’emissione , indipendentemente dalle successive variazioni, un prestito il cui tasso effettivo non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi ex art. 26, comma 1, terzo periodo, d.P.R. n. 600/1973, usufruirà della ritenuta nella misura del 12,50%, anche qualora il suo rendimento effettivo dovesse successivamente superare quello massimo ammesso ; in questo caso, l’indeducibilità degli interessi dovrà riguardare unicamente quelli eccedenti l’importo derivante dall’applicazione del tasso di riferimento aumentato di due terzi (c.d. tasso soglia), che costituirà, quindi, per tutta la durata del prestito, il limite massimo di deducibilità degli interessi passivi dovuti dall’emittente, anche qualora il rendimento del prestito dovesse cresce per effetto di meccanismi di indicizzazione.
Non può, peraltro, accogliersi la tesi della ricorrente, secondo la quale il confronto tra i tassi -ai fini della determinazione di quelli deducibili -deve essere effettuato tra il ‘tasso soglia’ vigente di volta in volta al 30 novembre (per le cedole scadenti il 1° gennaio) ovvero al 31 maggio (per le cedole scadenti il 1° luglio) e il tasso di rendimento effettivo eventualmente rettificato in ragione della periodicità infrannuale di liquidazione degli interessi. Tale interpretazione, invero, favorirebbe facili manovre di aggiramento della norma di cui all’art. 3, comma 115, legge n. 549/1995, in contrasto con la ratio antielusiva della st essa: infatti, nell’ipotesi in cui , al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non fosse superiore al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, la parte acquisirebbe il diritto a fruire dell’integrale deducibilità degli
interessi passivi anche nel caso in cui fosse previsto nel regolamento un incremento del tasso di rendimento effettivo, magari a fronte di eventi altamente probabili o addirittura certi.
3.2. Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.
La ricorrente deduce che l’applicazione del principio di buona fede, ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni e degli interessi, previsto dall’art. 10, co mma 2, della legge n. 212/2000 – sulla base di un atto di accertamento con adesione riguardante l’indeducibilità degli interessi passivi sui prestiti obbligazionari emessi nel 2002 e nel 2005, sottoscritto tra le parti e riguardante un’annualità precedente – avrebbe dovuto portare la C.T.R. ad escludere anche le maggiori imposte accertate nei suoi confronti.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, il principio di affidamento non può costituire legittima aspettativa circa l’interpretazione delle norme tributarie, dovendo tale principio essere valutato avendo riguardo all’inderogabilità delle norme tributarie ed all’indisponibilità della relativa obbligazione (Cass. 21 settembre 2022, n. 27706; Cass. 27 marzo 2019, n. 8514). Di converso, il legittimo affidamento del contribuente incide sugli aspetti sanzionatori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non può operare sulla debenza ex lege del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass. 25 marzo 2015, n. 5934). Deve quindi escludersi che sul principio di affidamento il contribuente possa fondare una legittima aspettativa sulla metodologia di accertamento.
In conclusione, pertanto, il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE deve essere integralmente rigettato.
Venendo ora ad esaminare il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, la Corte osserva quanto segue.
4.1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile.
L’Agenzia delle E ntrate, invero, denuncia violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, con riferimento ad una asserita contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla parte di tale sentenza con la quale la C.T.R. ha escluso l’applicabilità delle sanzioni, con riferimento all’efficacia di fonte di legittimo affidamento dell’accertamento con adesione intervenuto inter partes in data 21 luglio 2009 per il periodo di imposta 2005, che, nella stessa sentenza, viene ritenuto, tuttavia, come atto non idoneo a legittimare un affidamento del contribuente anche per gli accertamenti per gli anni futuri.
Sul punto, va rilevato, tuttavia, che il vizio di contraddittorietà della motivazione non è più censurabile con ricorso per cassazione.
Peraltro, la presunta contraddittorietà pare, nel caso di specie, frutto, in realtà, di mero errore materiale. Nel passaggio interessato dalla censura, infatti, si legge quanto segue: «ritiene il Collegio che le risultanze conseguenti il perfezionamento e conclusione di una procedura di accertamento con adesione non sono siano idonee a legittimare un affidamento del contribuente circa la validità di tali risultanze anche per i casi (analoghi) futuri in essere tra le stesse parti ed in pendenza di validità delle della norma giuridica impositrice», laddove è evidente che le parole ‘non sono’ sono state aggiunte per un mero lapsus calami in sede di redazione della sentenza, nel mentre la volontà del
giudice è chiaramente quella di escludere l’applicazione delle sanzioni proprio in forza del principio dell’affidamento, affermato nella parte immediatamente precedente della motivazione.
4.2. Il secondo motivo di ricorso incidentale deve invece ritenersi fondato.
Ritiene la C.T.R. che l’atto di adesione in questione, relativo a diversa annualità, abbia determinato un legittimo affidamento della parte contribuente circa la continuità delle valutazioni e del comportamento dell’Ufficio, soprattutto in un caso, come qu ello oggetto del presente giudizio, in cui si verte sulle stesse questioni.
Deve tuttavia rilevarsi che l’accertamento con adesione vincola sia il contribuente che l’Amministrazione finanziaria e, in particolare, preclude a quest’ultima una ulteriore attività accertatrice (salve le deroghe previste dall’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 218/1997) solo per il periodo di imposta interessato dall’accordo, che costituisce il li mite oggettivo della definizione concordata fra le parti. Al contrario, per gli altri periodi d’imposta, l’accertamento con adesione non ha carattere vincolante per le parti, non potendo certo essere paragonato ad un giudicato, con gli effetti esterni tipici di questo, con particolare riferimento ai presupposti fattuali posti a fondamento della pretesa impositiva.
Sul punto, va evidenziato che, in materia tributaria, l’accertamento con adesione, pur essendo il risultato di un accordo tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, costituisce una forma di esercizio del potere impositivo, non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di
contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l’assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale, in ragione di ciò, non è soggetto alle disposizioni del codice civile in tema di transazione, ma alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997, avente carattere cogente siccome afferente all’obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile (in tal senso Cass. 26 maggio 2021, n. 14568).
Proprio il profilo dell’accordo, tuttavia, limita l’efficacia dell’accertamento entro i limiti (contenutistici e temporali) in cui tale accordo si è formato, non potendosi quindi estendere l’efficacia di tale accordo, con riferimento ai presupposti ed al periodo dell’imposta, oltre i termini ed i l imiti in esso indicati. In ragione di ciò, non può certo affermarsi che l’Amministrazione finanziaria, procedendo all’accertamento per gli anni successivi, abbia violato il canone di correttezza di cui all’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente), né che l’adesione dell’Ufficio per una certa annualità possa creare un legittimo affidamento circa periodo di imposta diversi e futuri (art. 10, comma 2, legge n. 212/2000), non potendosi certo considerare l’accordo raggiunto per un determinato periodo d’imposta ostativo con riferimento ad accertamenti relativi a periodi d’imposta successivi, tanto più che, essendosi in presenza di comportamenti elusivi, il contribuente non pu ò considerarsi sorpreso dall’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria (cfr., da ultimo, Cass. 24 maggio 2022, n. 16675).
In conclusione, pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre, con riferimento al ricorso incidentale, il primo
motivo deve essere dichiarato inammissibile, mentre il secondo motivo deve essere accolto.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Stante il rigetto del ricorso principale, ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la RAGIONE_SOCIALE tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Rigetta il ricorso principale.
Accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale, e dichiara inammissibile il primo motivo dello stesso ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare la ricorrente principale tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2025.
Il Consigliere est.
R.G. N. 16098/2014
Cons. est. NOME COGNOME
Il Presidente
(Dott. NOME COGNOME)
(Dott. NOME COGNOME)