Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 872 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 872 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13614/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria regionale della Campania n. 1678/2015 depositata il 18/02/2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; in subordine accogliersi il secondo motivo.
Udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME e il difensore della ricorrente Avvocato NOME COGNOME che hanno richiamato le conclusioni rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
Dalla narrativa della sentenza qui impugnata risulta che l’ufficio ha contestato a RAGIONE_SOCIALE (‘DH’) un’operazione elusiva di leveraged cash out , così riassumibile nei suoi tratti essenziali: (a) i soci di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (‘DCN’) (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) cedevano alla (neocostituita) DH le loro partecipazioni in RAGIONE_SOCIALE, con atto di vendita e non con atto di conferimento di beni in natura (partecipazioni), al fine di non sottostare alla tassazione dei dividendi distribuiti da DCN ai soci medesimi, la cui retrocessione a favore degli stessi soci cedenti (o meglio conferenti) veniva mascherata sotto forma di ripianamento del debito contratto da DH per l’acquisto dell’intera partecipazione nella DCN; (b) in dettaglio, sulla premessa della natura elusiva della complessa operazione, coll’accertamento ogget to del giudizio si contesta a DH di avere omesso di eseguire le ritenute a titolo di imposta del 12,5 per cento sul complessivo importo distribuito, (per quanto qui rileva) nell’anno 2007, ai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME a titolo di dividendi sotto la forma apparente di pagamento del prezzo per l’acquisto della partecipazione in DCN.
DH ha impugnato l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Napoli, la quale ha accolto il ricorso con sentenza (n. 206/13) che è stata confermata dalla CTR della Campania che, a sua volta, ha rigettato l’appello dell’ufficio sulla base delle seguenti considerazioni:
(i) la sentenza di primo grado ha negato che la cessione a RAGIONE_SOCIALE delle partecipazioni dei soci di RAGIONE_SOCIALE possa essere qualificata come conferimento po iché, nell’accertamento con adesione che ha riguardato uno dei soci cedenti, NOME COGNOME per l ‘anno 2004, era stata riconosciuta la natura di ‘cessione’ (o vendita) delle azioni,
sicché successivamente l’Ufficio non avrebbe potuto mutare tale qualificazione, essendo vincolato a quanto in precedenza convenuto e accettato; (ii) trattandosi di un’unica fattispecie costitutiva delle pretese a carico dei soci della DCN e della DH, si potrebbe configurare un’ipotesi di litisconsorzio necessario relativo ai giudizi promossi da tutti i soggetti accertati e sarebbe stato opportuno che i soci della DCN e la RAGIONE_SOCIALE fossero parti di un unico procedimento; (iii) d’altronde, l’accertamento con adesione per un’annualità nei confronti di NOME COGNOMEsocia della DCN) nel presente giudizio è assimilabile ad un giudicato esterno, per essere identiche le questioni di fatto e diritto sottese all’accertamento con adesione e all’accertamento impugnato in que sta sede; (iv) il comportamento dell’ufficio è contraddittorio sia sul piano logico sia rispetto al principio di buona fede (art. 10, legge 27 luglio 2000, n. 212) perché l’accertamento fiscale, benché ampiamente motivato in relazione all’abuso del diritto , si fonda su «una situazione di fatto e di diritto non certa, ma opinabile».
L’Agenzia delle entrate ricorre, con sei motivi, per la cassazione della sentenza di appello; la società contribuente resiste con controricorso.
La causa, rinviata a nuovo ruolo su richiesta della difesa della contribuente, al fine di consentirle di valutare se avvalersi della definizione agevolata di cui all’art. 1, commi da 186 a 205, legge 29 dicembre 2022, n. 197, è stata fissata per la discussione alla odierna udienza pubblica.
In prossimità della pubblica udienza il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta con la quale, richiamando le conclusioni scritte già formulate in ordine al presente ricorso in vista dell’udienza pubblica del 10 gennaio 2023, ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546 del 1992», lamentando che la motivazione della sentenza impugnata contenga argomentazioni così profondamente contraddittorie da rendere impossibile comprenderne sotto il profilo logico e giuridico il suo effettivo significato.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonché dell’art. 7, primo comma, e degli artt. 39, primo comma, e 42, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, pr i mo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546». L’Amministrazione ricorrente lamenta che la CTR abbia erroneamente affermato che l’accertamento con adesione intervenuto per un precedente anno nei confronti di un socio sarebbe vincolante anche nei confronti della società, e possedesse anzi un’efficacia ancora maggiore del giudicato, così da precludere l’adozione di un accertamento di diverso contenuto. I Giudici di appello avrebbero effettuato una ardita simulazione del provvedimento di accertamento concluso con l’adesione del contribuente alla sentenza del giudice passata in giudicato, estendendo al primo atto l’efficacia che l’art. 2909 c.c. attribuisce al secondo.
Con il terzo strumento di impugnazione l’Amministrazione ricorrente denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, d.lgs. 218 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546», deducendo che le eventuali limitazioni del potere impositivo previste dall’art. 2 cit. possono riguardare solo ed esclusivamente le parti dell’accordo ed il periodo di imposta a cui esso si riferisce, dovendosi escludere che l’accertamento con adesione intervenuto con un determinato soggetto e per un particolare periodo di imposta
possa esplicare effetti vincolanti per altre annualità, nei confronti di altri soggetti ed in relazione a diverse imposte.
Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, primo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 89 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» , censurando l’erroneità della tesi, affermata dalla CTR nella sentenza impugnata, secondo cui nel caso di specie l’effetto vincolante nei confronti della società dell’accertamento con adesione intervenuto nei confronti di un socio dipenderebbe dalla inscindibilità della posizione dei due soggetti, con riguardo agli accertamenti compiuti ed alle pretese avanzate nei loro confronti.
Con il quinto motivo si denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» . La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sul motivo di appello, formulato dall’Amministrazione, avente ad oggetto la erronea riqualificazione, da parte della CTP di Napoli dell’operazione elusiva in questione.
Con il sesto strumento di impugnazione l’Agenzia delle entrate denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L. 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 37 -bis del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1 c.p.c., ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546», censurando l’erronea evocazione, da parte della CTR, del principio di correttezza e buona fede predicato dall’art. 10 cit.
Il primo motivo è infondato.
L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di
legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della decisione.
Va ancora rammentato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1,
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e 03/03/2022 n. 7090).
Nel caso di specie, pur in presenza di alcuni passaggi della motivazione che non brillano certo per chiarezza e coerenza, è ben comprensibile la ratio decidendi su cui si fonda la decisione della Corte territoriale, ovverosia sull’assunto i) che l’Amministrazione non avrebbe potuto mutare la qualificazione di ‘cessione’ (o vendita) delle azioni riconosciuta nell’accertamento con adesione che ha riguardato uno dei soci cedenti, NOME COGNOME per l’anno 2004, essendo vincolato a tale accordo; ii) che l’accertamento con adesione
per un’annualità nei confronti di NOME COGNOME sarebbe assimilabile ad un giudicato esterno efficace nel presente giudizio, iii) che il comportamento dell’ Ufficio sarebbe contraddittorio sia sul piano logico, sia rispetto al principio di buona fede di cui all ‘ art. 10, legge 27 luglio 2000, n. 212.
Il secondo, terzo, quarto e sesto motivo di ricorso devono esaminarsi unitariamente in quanto tutti contestano le diverse argomentazioni che la CTR ha posto a fondamento della propria statuizione secondo cui la qualificazione, nell’accertamento con adesione del 2004 nei confronti della socia NOME COGNOME dell’operazione in questione come cessione della azioni avrebbe precluso all’Agenzia delle Entrate di qualificare, per gli anni successivi, e nei confronti della società, la medesima operazione come conferimento di partecipazioni, al fine di operare la tassazione delle somme pervenute ai soci della RAGIONE_SOCIALE come dividendi.
8.1. I motivi sono fondati.
Va osservato, a tale riguardo, che l’accertamento con adesione vincola sia il contribuente sia l’Amministrazione finanziaria e, in particolare, preclude a quest’ultima una ulteriore attività accertatrice, salve le deroghe previste dall’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 218/1997, solo per il periodo di imposta interessato dall’accordo, che costituisce il limite oggettivo della definizione concordata fra le parti, definizione che peraltro, nel caso di specie, ebbe ad oggetto soltanto il quantum debeatur della pretesa impositiva, essendo in discussione unicamente la plusvalenza derivante dalla cessione.
8.2. Al contrario, per gli altri periodi d’imposta, l’accertamento con adesione non ha carattere vincolante per le parti, non potendo in alcun modo essere paragonato ad un giudicato, con gli effetti esterni tipici di questo, con particolare riferimento ai presupposti fattuali posti a fondamento della pretesa impositiva.
8.3. Sul punto, va evidenziato che, in materia tributaria, l’accertamento con adesione, pur essendo il risultato di un accordo tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, costituisce una forma di esercizio del potere impositivo, non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l’assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale, in ragione di ciò, non è soggetto alle disposizioni del codice civile in tema di transazione, ma alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997, avente carattere cogente siccome afferente all’obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile (in tal senso Cass. 26 maggio 2021, n. 14568). 8.4. Proprio il profilo dell’accordo, tuttavia, limita l’efficacia dell’accertamento entro i limiti (contenutistici e temporali) in cui tale accordo si è formato, non potendosi quindi estendere l’efficacia di tale accordo, con riferimento ai presupposti ed al periodo dell’imposta, oltre i termini ed i limiti in esso indicati (v. Cass. n. 3854/2023).
In ragione di ciò, non può certo affermarsi che l’Amministrazione finanziaria, procedendo all’accertamento per gli anni successivi, abbia violato il canone di correttezza di cui all’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente), non potendosi certo considerare l’accordo raggiunto per un determinato periodo d’imposta ostativo con riferimento ad accertamenti relativi a periodi d’imposta successivi, tanto più che, essendosi in presenza di comportamenti elusivi, il contribuente non può considerarsi sorpreso dall’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 16675/2022, che, in relazione alla medesima vicenda qui esaminata, ha, per tali ragioni, rigettato il ricorso proposto dal Fallimento della socia NOME COGNOME relativo ad IRPEF per l’anno
d’imposta 2007, in quanto annualità differente rispetto a quella definita con accertamento con adesione).
8.5. Infine, nel caso di specie, risulta inconferente ogni questione relativa al rapporto tra adesione della società e accertamento del singolo socio nelle società di persone, non applicandosi, trattandosi di società di capitali, il criterio di imputazione del reddito per trasparenza, ex art. 5, comma 1, del Tuir.
In conclusione, in accoglimento del secondo, terzo, quarto e sesto motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il quinto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/11/2024.