Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9603 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9603 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6473/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliatain ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO
presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE LEGALE E TRIBUTARIO rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrenti-
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA II GRADO BOLZANO n. 105/2018 depositata il 02/11/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria di II grado di Bolzano ( hinc: CT), con la sentenza n. 105/2018 depositata in data 02/11/2018, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 39/2018 con la quale la Commissione Tributaria di I grado di Bolzano, aveva accolto parzialmente i ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, da Hofer RAGIONE_SOCIALE in proprio e da Hofer COGNOME e NOME, in qualità di soci della società ed eredi di COGNOME NOME, contro otto avvisi di accertamento relativi agli anni 2010 e 2011 (riuniti dalla Commissione Tributaria di primo grado all’intero del fascicolo R.G. n. 200/16), con i quali l’amministrazione finanziaria aveva rideterminato, in esito alle indagini bancarie:
-i maggiori ricavi di Euro 1.118.977 per l’anno 2010 e di Euro 239.614 per l’anno 2011 in capo a lla società RAGIONE_SOCIALE
i maggiori ricavi di Euro 2.428.652 per il 2010 e di Euro 307.442 per l’anno 2011 in capo al sig. NOME COGNOME
il maggior reddito da partecipazione nella RAGIONE_SOCIALE in capo ai soci COGNOME NOME e NOME per Euro 372.955 per l’anno 2010 ed Euro 48. 198,00 per l’anno 2011;
i maggiori ricavi di RAGIONE_SOCIALE di Hofer RAGIONE_SOCIALE. in Euro 48.203 per l’anno 2010 e in Euro 39.211 per l’anno 2011, con tutte
le conseguenze anche sui redditi da partecipazione dei soci Hofer Egon, NOME e NOME e quelli conseguiti dall’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, pari a Euro 164.183,00 per l’anno 2010 ed Euro 9.224 ,00 per l’anno 2011.
La CT ha ritenuto infondate le censure dell’Agenzia delle Entrate, incentrate sul fatto che, ad avviso del giudice di prime cure, gli appellanti avrebbero sufficientemente giustificato i prelievi e le rimesse, sebbene le giustificazioni fornite non riguardassero le singole operazioni, ma valori aggregati. Ad avviso della CT, grazie a una copiosa documentazione (costituita da scritture contabili, fatture e documenti bancari insieme a numerosi elenchi), era stato dimostrato che i versamenti e i prelevamenti corrispondevano alle voci contenute in contabilità o che si trattava di meri giroconti o di importi doppiamente conteggiati dalla Guardia di Finanza. Tale ricostruzione analitica aveva consentito al giudice di primo grado di ritenere fondato il ricorso dei contribuenti con riferimento a gran parte delle operazioni, ad esclusione degli importi non provati (Euro 48.203,00 per l’anno 2010 ed Euro 39.211 ,00 per l’anno 2011 per la società; Euro 164.183,00 per l’anno 2010 ed Euro 9.224,00 per l’anno 2011 per la ditta individuale Hofer Egon).
2.1. Il giudice di seconde cure ha, quindi, ritenuto che la sentenza impugnata fosse conforme alla presunzione legale stabilita nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, considerato che l’Agenzia delle Entrate non aveva mai contestato le giustificazioni fornite dal contribuente. Riesaminata, quindi, la documentazione agli atti è stata condivisa la decisione di primo grado.
2.3. La CT ha, poi ritenuto, con riferimento al secondo motivo d’appello, che l’omessa o intempestiva risposta alla richiesta di esibizione da parte dell’amministrazione finanziaria, per poter precludere l’acquisizione, in sede contenziosa, di dati e docum enti
non forniti in sede precontenziosa, deve essere preceduta dalla fissazione di un termine da parte dell’amministrazione per l’adempimento degli inviti o delle richieste, accompagnato dall’indicazione degli atti o dei documenti da esibire, con l’avvertimento delle conseguenze derivanti dall’inottemperanza a tale richiesta. Solo in tale ipotesi la produzione di documentazione all’interno del processo può essere ritenuta inutilizzabile, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà che deve connotare l’azione sia dell’ufficio che del contribuente, alla luce di quanto previsto dagli artt. 6 e 10 legge n. 212 del 2000.
Contro la sentenza della CT l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
I sig.ri EGON HOFER e RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata censurata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza, viziata da motivazione omessa e comunque solo apparente sui motivi di appello, per violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 112 e 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, comma 7 Cost.
1.1. La ricorrente rileva che la sentenza impugnata non ha preso in considerazione i rilievi dell’Agenzia delle Entrate, adeguatamente esplicitati nelle motivazioni dei singoli avvisi di accertamento, ritenendoli tamquam non essent . Le motivazioni del giudice di secondo grado, oltre a pervenire a una soluzione erronea, sono del tutto apparenti e inconsistenti. La valutazione probatoria, non sindacabile in sede di legittimità, deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione, n ell’apparato motivazionale che sorregge il
decisum, deve rispondere a canoni di coerenza logica interna al discorso, con riferimento ai principi di completezza, causalità logica e di non contraddizione.
1.2. Il motivo -da ritenere ammissibile, contrariamente a quanto evidenziato dalla controricorrente, in quanto sono riscontrabili le censure proposte contro la motivazione della sentenza impugnata ai sensi e per gli effetti dell’art. 366 c.p.c. – è infondato, dal momento che secondo un consolidato orientamento di questa Corte: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da tale vizio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello perché tardivo, senza indicare la documentazione esaminata e la valenza probatoria della stessa ai fini della decisione assunta). » (Cass., 23/05/2019, n. 13977).
La motivazione apparente deve essere distinta dalla motivazione sintetica, dal momento che nel primo caso, a differenza del secondo, resta totalmente oscuro e impenetrabile l’iter argomentativo che ha condotto il giudice a un determinato risultato decisorio. Non basta, quindi, che la decisione e le argomentazioni poste a suo fondamento non siano condivise dalla parte soccombente: per ritenere sufficiente la motivazione è necessario che il giudice indichi le ragioni e gli elementi ritenuti dirimenti -sul piano probatorio e in esito a una valutazione comparativa delle prove portate dalle parti -ai fini della
decisione. Nel caso in esame l’iter argomentativo del giudice d’appello è chiaro e risulta che lo stesso abbia ritenuto superata la presunzione sancita nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 alla luce delle produzioni documentali dei contribuenti (ai quali fa espresso riferimento) e ai (ritenuti) esiti in punto di assolvimento dell’onere della prova.
Con il secondo motivo è stata denunciata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 51 d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 c.c., 2727 e 2729 c.c.
2.1. In via subordinata, per l’ipotesi del mancato accoglimento del primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha contestato che la sentenza impugnata abbia violato l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Difatti, la documentazione prodotta dai ricorrenti non consente di giustificare le singole operazioni di conto corrente contestate dall’ufficio. Ha rilevato come l’ufficio, in base alla norma appena richiamata, agisca in base a un a presunzione legale che determina l’inversione dell’onere della prova a car ico del contribuente. La presunzione di redditività delle movimentazioni bancarie può essere, quindi, superata, solo dimostrando, in concreto e in via alternativa, che i ricavi presuntivamente conseguiti non sono, in realtà, riferibili allo svolgimento della propria attività oppure che sia stata data l’indicazione del destinatario del prelievo non annotato in contabilità. In sostanza, il contribuente deve fornire gli elementi idonei a provare l’irrilevanza fiscale della condotta e, quindi, la non riconducib ilità degli accreditamenti a fonti reddituali soggette a tassazione. Nel caso in esame la società contribuente non ha mai esibito alcun documento relativo alla contabilità, pur operando in regime di contabilità ordinaria. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito i contribuenti non hanno adempiuto all’onere pro batorio di fornire
puntuale e documentata giustificazione alle singole movimentazioni finanziarie contestate. La CT è inoltre incorsa in errore, giustificando come versamenti in contanti movimentazioni che, sulla base dei dati inviati dagli istituti di credito, risultavano bonifici bancari. Rileva, inoltre, come tutti i dati riportati dalla società contribuente non sono relativi a singole operazioni, ma riguardano, piuttosto, dati aggregati. La parte non ha, poi, dato prova analitica delle movimentazioni bancarie di cui l’Uff icio ha chiesto giustificazione: la maggiore criticità è data dal fatto che le movimentazioni recuperate dall’ufficio su tutti i cont i correnti sono da ricondurre a versamenti in contanti. Rileva che la presunzione ex lege prevista nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 impone al contribuente la dimostrazione, per ogni singola operazione, dell’estraneità rispetto all’attività o della regolare contabilizzazione. Il contribuente non ha fornito, tuttavia, tale prova, dovendosi tenere conto, altresì, che tra le movimentazioni bancarie (in entrata e in uscita) l’ufficio ha escluso i pagamenti eseguiti dalla società a favore dei fornitori e dei pagamenti eseguiti per la retribuzione di dipendenti.
2.2. Il motivo è fondato. L’art. 32, comma 1, n. 7), d.P.R. n. 600 del 1973 prevede la possibilità di acquisire « dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria». Il n. 2) della norma appena richiamata prevede, poi, che tali dati, notizie e documenti « sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto
ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.»
La norma prevede una presunzione legale relativa, che consente, da un lato, all’amministrazione finanziaria di porre i dati risultanti dalle indagini bancarie alla base degli accertamenti e rettifiche ex art. 38, 39, 40 e 41 d.P.R. n. 600 del 1973 e, dall’altro lato, consente al contribuente di fornire la prova contraria.
2.3. Con riferimento ai contenuti di quest’ultima deve essere data continuità all’ orientamento secondo il quale, in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass., 03/05/2018, n. 10480).
È stato altresì precisato che gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di
verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass., 30/06/2020, n. 13112).
2.4. In sostanza, dalla giurisprudenza di questa Corte emerge che la presunzione legale scolpita dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 non richiede un ulteriore vaglio da parte del giudice in merito alla presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tali da portare a ritenere la presenza di maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati. L ‘inversione dell’onere della prova in capo al contribuente impone, quindi, a quest’ultimo di fornire la prova contraria in ordine al collegamento delle operazioni bancarie con i dati risultanti dalla contabilità o in merito all’estraneità di tali operazioni dal reddito imponibile.
2.5. L’articolazione della prova contraria deve essere, tuttavia, analitica e portare a un riscontro di congruità con i dati della contabilità o di estraneità delle movimentazioni bancarie ai redditi imponibili. Nel caso di specie si legge nella sentenza impugnata: « Gli appellati, infatti, con una copiosa documentazione, costituita da scritture contabili, fatture e documenti bancari assieme a numerosi elenchi, hanno dimostrato che i versamenti e i prelevamenti corrispondono alle voci contenute in contabilità, o che si trattava di meri giroconti o di importi doppiamente conteggiati dalla Guardia di Finanza … I giudici di primo grado hanno rispettato il dettato dell’articolo 32 d.P.R. 600/73 che prevede una presunzione legale che i versamenti e i prelevamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, ma che, a fronte di detta presunzione legale, il contribuente può fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice.»
Tale percorso argomentativo non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (v. supra, 2.3. e 2.4.) che ritiene necessario un riscontro analitico per ciascuna operazione che non trovi supporto nella contabilità del contribuente (peraltro l’unico soggetto, quale autore, sia della contabilità che delle movimentazioni bancarie contestate dall’a mministrazione finanziaria, a essere in grado di fornire adeguate e concrete giustificazioni volte a riconciliare le seconde con la prima).
Con il terzo motivo di ricorso è stata contestata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 115 c.p.c.
3.1. La ricorrente ha censurato l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’Agenzia delle Entrate non avrebbe mai contestato nessuna delle singole giustificazioni analiticamente fornite dai contribuenti, limitandosi a dedurre, genericamente, la carenza di prova. Si tratta, ad avviso di parte ricorrente, di un’affermazione smentita dagli atti, perché la documentazione è stata contestata analiticamente, sia in fase amministrativa che in fase contenziosa.
3.2. Non è poi giustificabile l’affermazione che esclude l’inutilizzabilità degli atti prodotti dai contribuenti in ragione dell’asserita mancanza di avviso da parte dell’amministrazione finanziaria con la fissazione di un termine minimo. Tale affermazione non trova riscontro nei fatti, dal momento che l’ufficio ha invitato ritualmente e formalmente i contribuenti, ai sensi dell’art. 32, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 a fornire la documentazione giustificativa, secondo quanto è dato leggere nella stessa sentenza del giudice di primo grado.
3.3. La controricorrente ha contestato (pag. 23 ss. del controricorso) la tardività della questione proposta, evidenziando
come in nessun punto dell’atto d’appello fosse affrontata la questione relativa alla pretesa inutilizzabilità della documentazione prodotta in sede contenziosa, in quanto non esibita o trasmessa in esito agli inviti dell’ufficio in sede procedimentale , con riferimento ai periodi d’imposta 2010 e 2011. Divers amente, l’eccezione è stata proposta per il periodo d’imposta 2009, oggetto di un’autonoma sentenza di accoglimento della Commissione Tributaria Regionale (R.G. n. 106/2/2018, impugnata con ricorso in cassazione).
3.4. Il motivo di ricorso è fondato solo in parte (cioè con riferimento alla denuncia della violazione dell’art. 115 c.p.c., su cui v. infra ), evidenziando, per il resto, plurimi profili di inammissibilità, a partire dal difetto di specificità ex art. 366, primo comma, n. 3 e 6, c.p.c., con riferimento alla contestazione relativa all’inutilizzabilità della documentazione prodotta dal contribuente. Sotto tale aspetto l’illustrazione del motivo è, infatti, priva dell’indicazione delle date relative agli avvis i contenenti l’invito rivolto ai contribuenti per la presentazione della documentazione, oltre che dei documenti richiesti in fase procedimentale e di quelli prodotti, tardivamente, dai contribuenti in sede contenziosa. Sul punto la parte ricorrente si lim ita, infatti, a richiamare l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado secondo cui « dagli atti di causa emerge che l’Ufficio ha invitato il contribuente, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del DPR 600/1973 a fornire la documentazione giustificativa delle motivazioni sui conti correnti bancari … ». La ricorrente avrebbe dovuto, tuttavia, indicare, quanto meno, i documenti di cui era stata chiesta l’esibizione al contribuente, non prodotti in sede procedimentale e usati dal giudice di seconde cure a fondamento della decisione (parzialmente) favorevole al contribuente.
3.5. Il motivo è invece fondato in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c., con riferimento all’affermazione contenuta nella
sentenza impugnata, secondo la quale: « l’Agenzia delle Entrate non ha mai contestato nessuna delle singole giustificazioni analiticamente fornite dai contribuenti, limitandosi a dedurre genericamente una carenza di prova.» La ripartizione dell’onere della prova, in caso di indagini bancarie, è cadenzata dall’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 sull’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, in virtù di una presunzione legale. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria ha già assolto l’onere della prova, nel momento in cui ha allegato la presenza di movimentazioni bancarie prive di riscontro nella contabilità del contribuente ed è quest’ultimo a dover fornire la prova contraria alla presunzione scolpita nella legge, peraltro fondata sulla massima di comune esperienza che riconduce i versamenti e i prelievi bancari privi di riscontro contabile ai redditi imponibili non dichiarati e, come tali, bisognosi di rettificazione. In altre parole, a fronte di una presunzione legale, di cui l’amministrazione finanziaria si av valga nel recupero a tassazione di redditi non dichiarati, il contribuente è tenuto a fornire la prova (contraria) dell’esatta riconducibilità dei prelievi e dei versamenti alla contabilità, senza che l’amministrazione -che ha già assolto al proprio onere probatorio -sia tenuta a una capillare confutazione delle argomentazioni del contribuente. Tanto più che la contestazione dell’amministrazione finanziaria è già contenuta, a monte, nell’avviso di accertamento con il quale contesta la riferibilità dei prelievi e dei versamenti sui conti correnti – rilevati nel corso delle indagini bancarie e non riscontrati nella contabilità del contribuente -a redditi non dichiarati.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato devono essere accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, mentre deve essere rigettato il primo motivo.
4.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo e il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 16/01/2025.