Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31196 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31196 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3100/2017 R.G. proposto da
AVV. COGNOME NOME, difensore di sé medesimo ai sensi dell’art. 86 c.p.c. (domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA n. 5707/29/16 depositata il 14 giugno 2016
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 3 ottobre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
All’esito di indagini bancarie condotte ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 7) del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51, comma 2, n. 7) del D.P.R. n. 633 del 1972, la Direzione Provinciale di Benevento
dell’Agenzia delle Entrate notificava all’avv. NOME COGNOME un avviso di accertamento con il quale rideterminava il reddito di lavoro autonomo, il valore della produzione netta e il volume d’affari dallo stesso dichiarati in relazione all’anno 2008, riprendendo a tassazione, rispettivamente ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA, l’imponibile ritenuto evaso.
Il COGNOME impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale, con sentenza n. 5707/29/16 del 14 giugno 2016, accoglieva per quanto di ragione l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, dichiarando legittima la pretesa impositiva limitatamente alla ripresa a tassazione dei versamenti effettuati dal contribuente sul proprio conto corrente bancario nell’anno in verifica.
A sostegno della decisione assunta, per quanto in questa sede ancora interessa, il collegio regionale osservava che: -doveva ritenersi infondata l’eccezione di tardività del gravame erariale sollevata dal Vernacchio, in quanto la notifica dell’atto di appello, eseguita a mezzo del servizio postale, doveva ritenersi perfezionata nei confronti dell’Amministrazione notificante alla data di spedizione del plico, la quale era avvenuta il 27 agosto 2015, e quindi anteriormente alla scadenza del termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., intervenuta il successivo 2 settembre di quell’anno; -alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, «appar (iva) corretto non considerare come reddito non dichiarato i prelevamenti effettuati dal contribuente sul proprio contro corrente, sottraendoli dall’importo di € 79.540,00, comprensivo sia degli accreditamenti che dei prelevamenti» .
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 20, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1 Si contesta alla CTR di aver erroneamente ritenuto ammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate, sebbene il relativo atto fosse stato spedito a mezzo del servizio postale in busta chiusa, e non in plico senza busta, secondo quanto prescritto dal citato art. 20, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.2 Viene, inoltre, soggiunto che, in caso di spedizione dell’atto in busta chiusa, la notifica deve ritenersi perfezionata nei confronti del notificante soltanto alla data di ricezione del plico da parte del destinatario, che nella specie era avvenuta il 19 settembre 2015, dopo la scadenza del termine lungo di impugnazione stabilito dall’art. 327, comma 1, c.p.c..
1.3 Il motivo è infondato.
1.4 Per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, in tema di impugnazioni nel processo tributario, qualora la spedizione a mezzo posta del ricorso o dell’atto d’appello venga effettuata in busta chiusa, anziché in plico senza busta, come previsto dall’art. 20 del D. Lgs. n. 546 del 1992, si determina una mera irregolarità ove non siano contestati il contenuto della busta e la sua riferibilità alla parte (cfr. Cass. n. 3234/2020, Cass. n. 7011/2018, Cass. n. 19864/2016, Cass. n. 15309/2014, Cass. n. 13666/2009).
1.5 È stato, altresì, precisato che la regola dettata dall’art. 20, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, secondo la quale la notificazione del ricorso alla Commissione Tributaria eseguita a
mezzo del servizio postale si perfeziona, per il notificante, alla data di spedizione dell’atto, anzichè a quella della sua ricezione da parte del destinatario, è applicabile non soltanto nell’ipotesi, ivi espressamente contemplata, in cui detta spedizione sia effettuata in plico raccomandato senza busta, ma anche quando avvenga in busta chiusa.
Poiché, infatti, la prescrizione relativa all’invio in piego è volta esclusivamente a conferire certezza in ordine all’individuazione dell’atto notificato, ove nessuna contestazione sia sollevata dal destinatario circa l’effettiva corrispondenza fra l’atto contenuto nella busta e l’originale depositato, non v’è ragione di discostarsi dalla predetta regola, costituente espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario (cfr. Cass. n. 2490/2020, Cass. n. 5889/2017, Cass. n. 915/2006, Cass. n. 10481/2003).
1.6 Nella fattispecie in esame, il ricorrente non contesta che la copia dell’atto d’appello inserita all’interno della busta da lui ricevuta in data 19 settembre 2015 corrispondesse all’originale depositato in giudizio dall’Amministrazione impugnante.
1.7 Rettamente, pertanto, la CTR, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale surrichiamato, ha ritenuto tempestivo l’appello erariale.
Con il secondo motivo è denunciata la violazione degli artt. 3, 24, 53 e 111 Cost..
2.1 Si assume che, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, limitatamente alle parole , i lavoratori autonomi devono ritenersi esclusi dall’àmbito di operatività della presunzione legale della disponibilità di maggior reddito derivante dalle risultanze dei conti correnti bancari, con riguardo sia ai prelevamenti che ai versamenti.
2.2 Avrebbe, perciò, errato la Commissione regionale nel dichiarare legittima la pretesa impositiva per la parte riferibile alle operazioni di versamento sul proprio conto corrente bancario poste in essere dal contribuente nell’anno 2008.
2.3 Anche questo motivo è infondato.
2.4 Va, anzitutto, osservato che la violazione delle norme della Carta fondamentale non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., in quanto il contrasto fra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale (cfr. Cass. n. 15854/2024, Cass. Sez. Un. n. 23794/2022, Cass. Sez. Un. n. 25573/2020, Cass. n. 15880/2018).
2.5 Deve, poi, rammentarsi che l’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, pure richiamato nella rubrica del motivo, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Consulta, con sentenza n. 228/2014, limitatamente alle parole «o compensi», che avevano esteso ai lavoratori autonomi l’àmbito operativo della presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente (così come quelle su questo versate) costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non sono annotate nelle scritture contabili e se non risultano indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti.
Tali parole sono state successivamente soppresse dall’art. 7 -quater , comma 1, lettera a), del D.L. n. 193 del 2016, convertito in L. n. 225 del 2016.
2.6 A sèguito del menzionato intervento del giudice delle leggi, questa Corte ha avuto modo di chiarire che, se da un lato non è più proponibile l’equiparazione logica fra attività d’impresa e attività professionale, onde deve ritenersi definitivamente venuta meno la presunzione (che la norma sanciva) di imputazione
dei prelevamenti effettuati sui conti correnti bancari a compensi conseguiti dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, dall’altro, le operazioni di versamento conservano efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarla solo dimostrando che di tali operazioni hanno tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che le stesse non hanno rilevanza al predetto fine (cfr. Cass. n. 18885/2024, Cass. n. 8266/2018, Cass. n. 19806/2017, Cass. n. 16697/2016, Cass. n. 9721/2015).
2.7 Al ricordato indirizzo di legittimità si è uniformata la Commissione regionale, sicchè la sollevata doglianza si rivela priva di fondamento.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 2.700 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P .R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione