Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34262 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34262 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
IRPEF
ACCERTAMENTO ART. 32 d.P.R. 600/1973
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01435/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo Pec del difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 5778/2/2022 depositata il 5/8/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La posizione fiscale di NOME NOME, esercente l’attività di riparazione di autoveicoli, veniva assoggetta a controllo con riferimento l’anno di imposta 2007. A seguito di invito formulato dall’Ufficio ai sensi dell’art. 32 del DPR 600/73 e dell’art. 51 del DPR 633/72, il contribuente provvedeva a depositare la documentazione contabile richiesta. Alla luce dell’esiguità dei
redditi dichiarati, l’Ufficio estendeva il controllo ai conti correnti intestati al contribuente. Dopo l’instaurazione del contraddittorio, esaminata la documentazione e le giustificazioni addotte dal contribuente in relazione alle singole movimentazioni, l’Ufficio riteneva riconducibili all’attività d’impresa e non giustificati né contabilizzati prelievi e versamenti per € 428.981,00 per l’anno 2006. Di conseguenza, notificava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO mediante il quale recuperava a tassazione i maggiori redditi accertati ai fini II.DD. e Iva.
NOME NOME impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio contestando la domanda e chiedendone il rigetto. La Commissione adita, con la sentenza n. 495/5/2011 accoglieva il ricorso.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza. Il contribuente si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, rigettava l’appello con la sentenza n. 1807/12/14 depositata il 18/02/2014.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione. Il contribuente resisteva con controricorso. La Corte di cassazione, con ordinanza n. 16358/2021, accoglieva il ricorso, rinviando alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione e affermando il seguente principio di diritto da applicarsi nel giudizio di rinvio: «… nel caso di specie correttamente il contribuente afferma che la presunzione discendente dall’applicazione dell’art.32 del d.P.R. n. 600 del 1973 è una presunzione legale e non semplice ed ammette prova contraria, ossia va qualificata come relativa e non assoluta, avente ad oggetto i movimenti bancari alla base dell’avviso di accertamento impugnato in questa sede. Tuttavia, si tratta di una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente solo attraverso una prova analitica (Cass. Sez. 5 -Sentenza n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392 – 01). Ciò deve avvenire non nei termini apodittici usati dal giudice d’appello (l’aver il contribuente riportato in contabilità «tutti i movimenti utili alla determinazione del reddito di impresa», cfr. p.3 sentenza), ma con specifica indicazione della riferibilità della singola giustificazione a ciascun movimento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle singole movimentazioni bancarie contestate non attengono ad operazioni imponibili. A ciò consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze».
NOME Emilio riassumeva il giudizio innanzi al giudice del rinvio. L’Agenzia delle Entrate si costituiva insistendo per l’accoglimento dell’appello avverso la sentenza di primo grado e per il rigetto dell’impugnazione dell’avviso di accertamento difettando la prova specifica ascritta al contribuente. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania accoglieva solo in parte l’appello dell’Agenzia delle Entrate e rigettava nel resto.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con due motivi. NOME NOME si è costituito con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate e la difesa del contribuente hanno proposto memorie in vista della trattazione della causa in camera di consiglio.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 28/11/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. 29/09/1973, n.
600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. perché la sentenza impugnata avrebbe escluso l’imponibilità fiscale di tutte le somme di cui ai prelievi individuati in ragione delle indagini bancarie e tanto in virtù della applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 e, tuttavia, muovendo dal falso presupposto che il contribuente rivestisse la qualifica di lavoratore autonomo mentre si tratterebbe del titolare di una attività di impresa.
2. Il motivo è fondato. La sentenza impugnata nella motivazione afferma: «è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. 600/1973 come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), numero 1, della legge 311/2004 e pertanto sui prelievi ingiustificati da conto corrente bancario effettuati dal lavoratore autonomo tale normativa ha prodotto la loro caducazione ai fini dell’accertamento stesso. Sgombrato il campo dai rilievi relativi ai prelevamenti, che quindi ai sensi della citata sentenza non costituiscono più materia imponibile in sede di verifica fiscale, l’analisi si restringe ai versamenti contestati dall’Ufficio».
2.1. Orbene, la motivazione della sentenza, considera dirimente e assorbente ai fini della decisione sulla irrilevanza ai fini fiscali dei prelevamenti operati dal COGNOME la circostanza che questi fosse un lavoratore autonomo. Per questa via la sentenza viola il giudicato formatosi sulla vicenda a seguito del primo giudizio di cassazione, adottato sul presupposto, peraltro dedotto nell’accertamento e mai contestato nei giudizi di merito, che l’attività svolta dal COGNOME fosse una attività imprenditoriale. Il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 16358/2021, con la quale fu accolto il primo ricorso in sede di legittimità della Agenzia delle Entrate, si riferisce espressamente all’attività imprenditoriale svolta dal contribuente. Sulla circostanza
che l’attività del COGNOME sia una attività imprenditoriale si è, dunque, formato il giudicato. Peraltro la stessa sentenza impugnata, nel primo capoverso dello svolgimento del processo, qualifica esattamente l’attività del contribuente come attività di impresa. Per questa via la sentenza, ritenendo irrilevanti i prelevamenti sul presupposto che il contribuente fosse un lavoratore autonomo, ha violato il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione sul punto e, trascurando il giudicato, ha omesso di attuare il dictum della Corte. Il motivo di ricorso va, allora, accolto e la sentenza cassata.
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. 600/73 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione al giudizio circa la imponibilità fiscale dei versamenti perché il contribuente non avrebbe fornito la prova necessaria a superare la presunzione legale di ascrivibilità di essi ad operazioni di impresa, ma avrebbe fornito solo indicazioni generiche e per classi di versamenti (riguardanti asseritamente titoli di credito) e la sentenza avrebbe errato nel considerare raggiunta la prova specifica.
3.1. La sentenza sul punto afferma: «orbene dall’analisi della documentazione agli atti di causa e da quanto eccepito dal contribuente con CTP e relative memorie occorre rilevare che il contribuente ha analiticamente fornito prova che le somme versate trovavano giustificazione in titoli di credito, corrispettivi regolarmente registrati nei registri IVA ed addirittura in incassi avvenuti a mezzo POS. Il tutto non contestato dalla agenzia. Solo per 12 versamenti per complessivi euro 8.580,00 (euro 250 del 9.1; 750 del 13.1; 200 del 23.1; 1.000 del 13.2; 450 del 16.2; 1.300 del 17.2; 650 del 29.3; 180 del 5.4; 550 del 26.5; 800 del 30.6; 1.590 del31.7; 850 del 31.8) avvenuti per contanti è ipotizzabile la mancata produzione di prova con la conseguente
sottoposizione a tassazione delle relative somme». Di seguito la Commissione tributaria regionale, in via generica e riassuntiva, ha fatto riferimento alla prova che il contribuente avrebbe fornito circa la provenienza dei versamenti dal rendimento di titoli e investimenti.
3.2. La motivazione della sentenza, facendo riferimento a categorie di versamenti, a generiche indicazioni circa la provenienza delle somme, ha omesso di riconoscere puntuale applicazione al principio di diritto affermato dalla Corte nell’ordinanza all’origine del giudizio di rinvio, secondo il quale era rimesso al giudice del grado di appello di valutare la prova rimessa al contribuente «in via analitica (..) e con specifica indicazione della riferibilità della singola giustificazione a ciascun movimento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle singole movimentazioni bancarie contestate non attengono ad operazioni imponibili. A ciò consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze».
3.3. Sul punto assume, peraltro, rilievo il costante e specifico orientamento di questa Corte secondo il quale: in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. 26/10/1972, n. 633, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (per tutte, Cass. 03/05/2018, n. 10480).
3.4. La sentenza impugnata non ha condotto l’analitico rilievo che doveva investire ciascun versamento e per ognuno la concludenza
delle giustificazioni eventualmente fornite dal contribuente e, anche in accoglimento del secondo motivo, va cassata.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 28 novembre