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Accertamento bancario: onere prova e prelievi

Un professionista ha contestato un avviso di accertamento fondato su movimenti bancari. La Corte di Cassazione, revocando una sua precedente decisione per un errore di fatto, ha stabilito un principio fondamentale sull’accertamento bancario: per i lavoratori autonomi, la presunzione legale di reddito non dichiarato si applica solo ai versamenti e non ai prelevamenti. L’onere di provare la natura non imponibile delle somme versate resta a carico del contribuente, anche per i movimenti sui conti dei familiari.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: Limiti e Onere della Prova per i Professionisti

L’accertamento bancario rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Tuttavia, il suo utilizzo non è privo di limiti, specialmente quando riguarda i lavoratori autonomi. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, chiarendo la distinzione fondamentale tra versamenti e prelevamenti e riaffermando i confini della presunzione legale di maggior reddito. La decisione offre spunti cruciali per comprendere l’onere della prova a carico del contribuente e i suoi diritti di difesa.

I Fatti di Causa

Un consulente del lavoro riceveva un avviso di accertamento per l’anno 2006, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava maggiori imposte (IRPEF, IRAP, IVA) e sanzioni per oltre 240.000 Euro. L’accertamento si basava su movimentazioni bancarie, sia versamenti che prelevamenti, ritenute non giustificate. Il professionista impugnava l’atto, ottenendo un accoglimento parziale in primo grado. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, riformava la decisione, dando piena ragione all’ufficio fiscale.

Il contribuente ricorreva quindi in Cassazione. In un primo momento, la Corte rigettava parzialmente il ricorso. Successivamente, però, lo stesso contribuente proponeva un ricorso per revocazione contro la decisione della Cassazione, sostenendo che la Corte fosse incorsa in un errore di percezione dei fatti documentali. In particolare, la Corte non si era accorta che il contribuente aveva correttamente trascritto l’avviso di accertamento nel proprio ricorso, rendendolo autosufficiente.

La Revocazione e la Nuova Valutazione del Merito

La Corte di Cassazione, riconoscendo la propria “svista percettiva”, ha accolto il ricorso per revocazione, annullando la precedente ordinanza e procedendo a una nuova valutazione del merito. Questa nuova analisi ha portato a conclusioni significativamente diverse, incentrate sulla portata dell’accertamento bancario per i professionisti.

L’onere della prova nell’accertamento bancario

La Corte ha ribadito che, in tema di accertamento bancario, l’articolo 32 del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce una presunzione legale relativa. In base a tale presunzione, i versamenti su un conto corrente si considerano ricavi o compensi se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi o che non sono fiscalmente rilevanti. L’onere di fornire la “prova contraria” spetta interamente al contribuente, che deve dimostrare in modo analitico la provenienza e la natura di ogni singola operazione contestata. La Corte ha anche confermato la legittimità delle indagini estese ai conti dei familiari stretti (nel caso di specie, moglie e figlia), spettando sempre al contribuente dimostrare che tali somme non siano a lui riconducibili.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della nuova decisione risiede nella distinzione tra versamenti e prelevamenti per i titolari di reddito da lavoro autonomo. La Corte ha richiamato la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 32 d.P.R. n. 600/1973. La Consulta ha stabilito che la presunzione legale secondo cui i prelevamenti non giustificati costituiscono reddito imponibile è irragionevole per i lavoratori autonomi, a differenza di quanto avviene per gli imprenditori.

Per un imprenditore, un prelievo può logicamente corrispondere all’acquisto di beni o servizi non contabilizzati, generando ricavi “in nero”. Per un lavoratore autonomo, invece, la cui attività si basa principalmente sulla prestazione personale, un prelievo può essere destinato a spese personali o familiari, senza alcuna necessaria correlazione con compensi non dichiarati. Di conseguenza, la presunzione legale di maggior reddito per i professionisti si applica esclusivamente ai versamenti non giustificati, mentre i prelevamenti non possono essere automaticamente considerati come compensi imponibili.

Le Conclusioni

Accogliendo il ricorso per revocazione e decidendo nuovamente nel merito, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Ha stabilito che, essendo il contribuente un lavoratore autonomo, la presunzione legale di maggior reddito poteva applicarsi solo ai versamenti e non ai prelevamenti. Il caso è stato rinviato alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte per un nuovo esame che tenga conto di questo principio. Questa ordinanza rafforza un importante baluardo a tutela dei professionisti, circoscrivendo il potere dell’Amministrazione finanziaria e garantendo che l’accertamento bancario sia condotto nel rispetto della specificità del lavoro autonomo, distinguendolo nettamente dal reddito d’impresa.

Un professionista può essere soggetto a un accertamento fiscale basato sui movimenti del suo conto corrente?
Sì, l’Amministrazione finanziaria può utilizzare le movimentazioni bancarie come base per un accertamento. In particolare, i versamenti sui conti correnti sono assistiti da una presunzione legale e si considerano compensi non dichiarati, a meno che il contribuente non fornisca una prova analitica e rigorosa della loro natura non imponibile.

Anche i prelievi dal conto corrente di un professionista sono considerati reddito non dichiarato?
No. La Corte di Cassazione, conformemente a una sentenza della Corte Costituzionale, ha stabilito che la presunzione legale secondo cui i prelevamenti non giustificati costituiscono maggiori compensi non si applica ai titolari di reddito da lavoro autonomo, ma solo ai titolari di reddito d’impresa.

L’Amministrazione finanziaria può esaminare anche i conti correnti dei familiari del contribuente?
Sì, la giurisprudenza ammette che le verifiche fiscali possano estendersi ai conti bancari intestati a coniugi o familiari del contribuente. In tal caso, elementi come lo stretto rapporto di parentela e la sproporzione tra i redditi dichiarati dal familiare e le somme movimentate possono far presumere che tali fondi siano riconducibili all’attività del contribuente, sul quale ricade l’onere di provare il contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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