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Accertamento bancario: onere della prova sul contribuente

Una professionista riceve un avviso di accertamento basato sui movimenti bancari. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 13509/2024, ha ribadito un principio fondamentale dell’accertamento bancario: l’onere di provare che i versamenti su conto corrente non costituiscono reddito imponibile spetta interamente al contribuente. La sentenza di merito, che aveva invertito tale onere, è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: La Cassazione Ribadisce l’Onere della Prova sul Contribuente

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: l’accertamento bancario e la ripartizione dell’onere della prova. La decisione in esame chiarisce che spetta sempre al contribuente, e non all’amministrazione finanziaria, dimostrare che i versamenti effettuati sui propri conti correnti non costituiscono reddito imponibile. Si tratta di un principio consolidato che rovescia l’errata convinzione che sia l’Agenzia delle Entrate a dover provare la natura illecita dei fondi.

I Fatti di Causa

Una libera professionista impugnava un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, fondato sull’incongruità dei movimenti bancari registrati sui suoi conti correnti, uno dei quali cointestato con il marito. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) aveva parzialmente accolto le ragioni della contribuente, escludendo dalla tassazione i prelevamenti (in linea con la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 per i professionisti) e le somme già dichiarate.

Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in sede di appello, riformava parzialmente la prima decisione. Pur ammettendo il recupero a tassazione di una parte dei versamenti sul conto cointestato, la CTR riteneva che tutte le operazioni sui conti personali fossero già coperte da quanto dichiarato, poiché la contribuente aveva prodotto le fatture emesse che trovavano riscontro nei versamenti. Di fatto, la CTR poneva a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare che quei versamenti non fossero già stati considerati nella determinazione del reddito.

L’Onere della Prova nell’Accertamento Bancario

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente la violazione dell’art. 32 del d.p.r. n. 600/1973. Secondo la tesi dell’amministrazione, la sentenza della CTR aveva erroneamente invertito l’onere della prova. La norma citata, infatti, stabilisce una presunzione legale relativa: i versamenti su un conto corrente si presumono ricavi o compensi se il contribuente non dimostra il contrario.

L’onere dell’ufficio finanziario si esaurisce nell’allegare i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti. A quel punto, scatta un’inversione dell’onere probatorio: è il contribuente a dover fornire una prova analitica, e non generica, per ciascun versamento, dimostrando che gli importi non sono riferibili a operazioni imponibili o che sono già stati tassati.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Gli Ermellini hanno riaffermato il proprio orientamento consolidato, secondo cui la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 resta pienamente valida per i versamenti effettuati sul conto corrente del professionista o del lavoratore autonomo.

La Corte ha chiarito che l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto con la semplice produzione dei dati bancari. Spetta poi al contribuente superare tale presunzione, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ogni singolo movimento ai fatti imponibili. La sentenza impugnata è stata cassata proprio perché aveva posto a carico dell’ufficio la prova che i versamenti “risultassero dalle scritture contabili e quindi fossero imputabili a compensi già dichiarati”. Questo ragionamento, secondo la Cassazione, costituisce una palese inversione dell’onere della prova, in contrasto con la normativa vigente.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque sia sottoposto a un accertamento bancario: non è sufficiente una difesa generica o la semplice produzione di fatture. Il contribuente ha il preciso dovere di fornire una giustificazione puntuale e documentata per ogni versamento contestato, dimostrando che l’importo non deriva da redditi non dichiarati. La decisione rafforza gli strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria e richiama i contribuenti a una gestione contabile e documentale estremamente rigorosa per poter fronteggiare efficacemente eventuali controlli sui movimenti bancari.

In caso di accertamento bancario, su chi ricade l’onere di provare la natura dei versamenti sul conto corrente?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. L’amministrazione finanziaria deve solo presentare i dati dei movimenti bancari, dopodiché spetta al contribuente dimostrare analiticamente che ogni versamento non costituisce reddito imponibile.

La presunzione che i versamenti in conto corrente costituiscano reddito vale anche per i liberi professionisti?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 rimane invariata per i versamenti effettuati sul conto corrente di un professionista o lavoratore autonomo.

È sufficiente per il contribuente fornire le fatture emesse per giustificare i versamenti contestati?
No, non è sufficiente. La prova a carico del contribuente deve essere analitica per ogni singolo versamento. La semplice produzione di fatture che potrebbero corrispondere ai movimenti non è considerata una prova sufficiente a superare la presunzione legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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