Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22401 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22401 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 388/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
contro
AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE – DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI -intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 1842/03/18 depositata il 04/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1842/03/18 del 04/06/2018, la Commissione tributaria regionale della Puglia (di seguito CTR) rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 2787/08/15 della Commissione tributaria provinciale di Bari (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso della società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2009 .
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso in conseguenza di accertamenti bancari.
1.2. La CTR respingeva l’appello del sig. COGNOME evidenziando che: a) oggetto dell’accertamento era la rideterminazione del reddito, mentre la rideterminazione dell’IVA era solo una conseguenza logico -matematica di tale rideterminazione; b) la questione di costituzionalità dell’art. 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212 era «poco motivata e prima facie infondata, posto che il principio di uguaglianza si applica a situazioni identiche e non semplicemente similari»; c) la documentazione prodotta era insufficiente a fornire la prova delle allegazioni del contribuente, non avendo né data né provenienza certa.
NOME COGNOME impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi.
L’Agenzia delle entrate (di seguito AE) resisteva in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a nove motivi, di seguito riassunti.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 e dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, per non avere la CTR ritenuto che il contraddittorio endoprocedimentale fosse stato sostanzialmente omesso dall’Amministrazione finanziaria, con conseguente nullità dell’accertamento , emesso prima della scadenza di sessanta giorni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, per non avere la CTR ritenuto applicabile la disciplina unionale con riferimento alla necessità del contraddittorio in materi di IVA.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR ha affermato che i documenti prodotti dal ricorrente siano «inconferenti e insufficienti», perché privi di data e provenienza certa.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto subordinatamente al terzo motivo, si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per l’essere la CTR venuta meno al suo dovere di valutare le prove secondo il prudente apprezzamento, omettendo di considerare che buona parte delle prove offerte dal contribuente avrebbero provenienza e data certa e che, in ogni caso, le stesse dovrebbero essere oggetto di considerazione.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia, avendo la CTR omesso di pronunciarsi sullo specifico motivo di impugnazione concernente la nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212, essendo stato l’avviso di accertamento notificato prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato il rilievo concernente il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, non avendo l’Ufficio esplicitato le ragioni per le quali avrebbe disatteso i rilievi del contribuente.
1.7. Con il settimo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto l’insussistenza di validi elementi indiziari idonei a supportare l’accertamento impugnato.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato l’illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24 e 53 Cost., dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
1.9. Con il nono motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciare in ordine al contestato difetto di motivazione specifica con riferimento alle sanzioni e, comunque, alla riduzione delle stesse in ragione dell’intervenuto ius superveniens .
Il primo, il secondo ed il quinto motivo possono essere unitariamente esaminati, riguardando le problematiche concernenti il contraddittorio endoprocedimentale, e vanno disattesi.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 « deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per
l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva » (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013).
2.1.1. Tuttavia, la nullità derivante dal mancato rispetto del termine dilatorio, decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, riguarda -anche con riferimento all’IVA (Cass. nn. 701 e 702 del 15/01/2019) -solo ed esclusivamente il triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività e non anche le verifiche cd. a tavolino.
2.1.2. Con riferimento a queste ultime soccorre la previsione di Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015, per la quale, con riferimento ai tributi cd. non armonizzati, « non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale », mentre per i tributi cd. armonizzati, secondo quanto emerge dal diritto unionale, per come interpretato dalla Corte di giustizia della UE, « l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non
abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa » (cd. prova di resistenza).
2.2. Nel caso di specie è pacifico che non vi sia stato alcun accesso presso i locali dell’impresa, sicché il contribuente non può dolersi dell’assenza del necessario contraddittorio endoprocedimentale per ciò che concerne le imposte dirette e l’IRAP.
2.3. Per quanto riguarda, invece, l’IVA non è dubbio che l’affermazione della CTR per la quale l’accertamento non abbia riguardato direttamente tale imposta è erronea, perché quest’ultima è stata rideterminata unitamente alle altre imposte e, secondo la giurisprudenza interna e unionale il contraddittorio endoprocedimentale è, con riferimento all’IVA, sicuramente necessario.
2.4. Tuttavia, il ricorrente si è limitato a contestare l’assenza del contraddittorio preventivo, facendo un generico riferimento alla documentazione prodotta in giudizio ai fini della prova di resistenza; prova, pertanto, che non è stata data, difettando chiaramente il motivo di autosufficienza in parte qua .
2.5. Né la circostanza che l’avviso di accertamento sia stato notificato senza il rispetto del termine di sessanta giorni è in qualche modo rilevante nel caso di specie: da un lato, la circostanza è stata comunque presa in considerazione dal giudice di appello (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata), con conseguente insussistenza del vizio di omessa pronuncia; dall’altro, il termine non trova applicazione nell’ipotesi di accertamento avvenuto ‘a tavolino’.
2.6. Ne consegue che, sebbene la motivazione della CTR vada corretta nel senso indicato, i motivi devono essere complessivamente rigettati, anche nell’ipotesi in cui si voglia ritenere -conformemente a quanto affermato dal ricorrente -che un vero e proprio
contraddittorio non ci sia stato, ma solo un invito dell’Ufficio a produrre documentazione.
2.7. Né trova applicazione alla presente fattispecie l’art. 6 bis , comma 1, della l. 212 del 2000, che ha oggi generalizzato il contraddittorio preventivo.
Il terzo motivo, con il quale si denuncia motivazione apparente con riferimento all’esame dei documenti prodotti dal ricorrente, è fondato, con assorbimento del quarto motivo, proposto in via subordinata.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la presunzione (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art. 32, anche all’art. 38 del medesimo d.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari).
3.1.1. La previsione in oggetto si articola nel modo che segue: a) i «dati ed elementi» attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori
compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo).
3.1.2. Pertanto, mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che « ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine » (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
3.1.3. Più nel dettaglio, il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità » (Cass. n. 15161 del 16/07/2020; Cass. n. 16896 del 24/07/2014; Cass. n. 13035 del 24/07/2012; Cass. n. 25365 del 05/12/2007; Cass. n. 18016 del 09/09/2005).
3.1.4. A fronte della presunzione legale prevista dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, la quale « non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici », la prova richiesta al contribuente è analitica, « con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi
desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze » (Cass. n. 13112 del 30/06/2020; Cass. n. 10480 del 03/05/2018; Cass. n. 11102 del 05/05/2017).
3.1.5. Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. n. 4829 del 11/03/2015; Cass. n. 21303 del 18/09/2013).
3.1.6. In questo contesto, « a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati » (così Cass. n. 6874 del 08/03/2023, in applicazione dei principi derivanti da Corte cost. n. 10 del 31/01/2023, innovando rispetto al precedente orientamento in materia).
3.2. Ciò premesso, in via generale, sugli accertamenti bancari, qual è quello espletato nella fattispecie, il contribuente ha dedotto e comprovato di avere depositato documentazione idonea a contestare la riconducibilità delle rimesse bancarie allo svolgimento della propria attività imprenditoriale.
3.3. La CTR non solo non ha compiutamente esaminato detta documentazione, ma ne l’ha genericamente considerata inconferente e priva di data certa, senza spiegarne in alcun modo le ragioni, con ciò violando altresì l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze.
3.4. La motivazione resa in proposito dalla CTR è, dunque, sicuramente apparente, laddove, sebbene graficamente esistente , non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019).
Il sesto motivo , con il quale si contesta l’omessa pronuncia in relazione al difetto di motivazione dell ‘avviso di accertamento, è infondato.
4.1. Non è dubbio che la CTR abbia omesso del tutto di prendere in considerazione la questione concernente l’obbligo di motivazione , per così dire rafforzata, dell’Ufficio in presenza di rilievi espressi dal contribuente.
4.2. Tuttavia, « Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti
infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto » (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; Cass. n. 15112 del 17/06/2013; Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 21968 del 28/10/2015; Cass. n. 11838 del 12/05/2017; Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).
4.3. Nel caso di specie, il motivo proposto è chiaramente privo di fondamento, atteso che l’avviso di accertamento, per come riprodotto in ricorso, ha legittimamente adottato una motivazione del tutto incompatibile con le osservazioni formulate dal ricorrente.
4.4. Invero, l’obbligo di una motivazione rafforzata (l’Amministrazione finanziaria deve necessariamente dare conto, nel contesto dell’atto impositivo, delle osservazioni proposte dal contribuente) è previsto, solo in alcune ipotesi specifiche (studi di settore; abuso del diritto), ma non è affatto generalizzato (cfr. Cass. n. 8378 del 31/03/2017; Cass. n. 3583 del 24/02/2016), indicando la legge unicamente che l’atto impositivo debba essere motivato.
4.5. Ciò, all’evidenza, non significa che l’atto impositivo il quale non abbia menzionato e motivato in ordine alle osservazioni del contribuente sia di per sé nullo, occorrendo in proposito che venga dimostrato che quelle osservazioni non siano state in alcun modo prese in considerazione dall’Amministrazione finanziaria; il che, all’evidenza, non è accaduto nel caso di specie.
Il settimo e l’ottavo motivo, involgendo rispettivamente l’omessa pronuncia della CTR in ordine all’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti a fondamento della ripresa e l’omesso rilievo di incostituzionalità dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 , possono essere unitariamente esaminati e sono infondati.
5.1. Come evidenziato trattando del sesto motivo, anche in questo caso l’esistenza di un’omessa pronuncia non impedisce a questa Corte di esaminare il merito della contestazione del contribuente, che riguarda essenzialmente le modalità di espletamento degli accertamenti bancari, di cui si è dato conto diffusamente trattando del terzo motivo.
5.2. Nell’evidenziato quadro normativo e giurisprudenziale, tenuto conto della presunzione ricavabile dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, è evidente che l’Ufficio non abbia nessun onere di indicare ulteriori elementi presuntivi al di fuori delle risultanze degli accertamenti bancari espletati, spettando al contribuente l’onere di provare in giudizio che i singoli prelevamenti e versamenti non abbiano attinenza all’attività d’impresa esercitata.
5.3. Nemmeno sussiste la complessiva denunciata incostituzionalità della normativa, posti i numerosi interventi della Corte costituzionale -di cui, per la parte rilevante, si è dato già conto -la quale ha sempre ritenuto costituzionalmente legittima, nel suo complesso, la disciplina, intervenendo solo su specifici aspetti della stessa.
Il nono motivo, che involge l’applicazione delle sanzioni, deve ritenersi assorbito in ragione dell’accoglimento del terzo motivo, dovendo l’applicazione delle sanzioni essere , se del caso, valutata dal giudice del rinvio.
In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti il quarto e il nono motivo, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il quarto e il nono motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 31/01/2025.